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La forza di una parrocchia figlia di una Chiesa scalza

SERMIG – Ero giovane quando iniziai a sognare e desiderare una Chiesa che fosse maggiormente secondo il Vangelo. Cominciai a scrivere ciò che sentivo per tradurlo in un libro; arrivai a 150 pagine e le gettai via. Non volevo criticare la Chiesa, condannare, volevo avere il cuore libero, non farmi catturare da rancori, da ideologie. Volevo recuperare con grande rispetto un passato che ci ha trasmesso la fede e nello stesso tempo andare alle radici di questa fede, le radici del Vangelo. Riscrissi per cinque volte quel libro, pregando, masticando la Parola di Dio e alla fine venne fuori proprio come lo sentivo. Il titolo mi uscì dal cuore: ‘Il sogno di Dio’. Il ‘sogno di Dio’ è la Chiesa che ripercorre le orme di Gesù, una Chiesa che non ha bisogno di visibilità, ma di credibilità. Perché se la gente ci trova credibili, trova Gesù. La gente ha fame di Dio e noi possiamo offrirgli quel Pane!

Il 19 maggio del 1976 andai a Roma da papa Paolo VI. Senza appuntamento, cuore a cuore per condividere con un padre i sogni miei e dei miei amici, il desiderio forte di una Chiesa più vicina alla gente, più attaccata al Vangelo. Il Papa mi ascoltò con attenzione e mi abbracciò: «Anche io la penso come lei, ma spesso i cristiani non mi obbediscono. Faccia lei quello che chiede a me. Spero da Torino e dal Piemonte, terra di santi, per una rivoluzione d’amore». Quelle parole furono come un mandato per me e per il nostro piccolo gruppo, furono l’inizio di un sogno che incontrò presto situazioni inimmaginabili: l’Arsenale militare di Torino trasformato in Arsenale della Pace, milioni di persone, imprevisti che cominciarono ad allargare la nostra strada. Camminando, capii quanto fossero vere le parole di un sacerdote che stimavo molto, don Michele Do, discepolo di don Primo Mazzolari. Lui diceva sempre che «la Chiesa non è una struttura che si deve aggiornare, ma una Presenza a cui convertirsi, la presenza di Gesù».

Aveva ragione. Questa nostalgia per una Chiesa semplice e autentica ha spinto e indirizzato ancora di più la nostra comunità nel Vangelo. Ci ha portati a cercare di viverlo noi, prima che pretenderlo dagli altri. Questo desiderio che mi ha accompagnato per tutta la vita mi ha spinto nel 2010 a scrivere il libro che ho intitolato ‘Per una Chiesa scalza’. Scalza, povera perché libera dalla schiavitù dell’avere, casta perché libera di amare fraternamente, obbediente perché libera dalla prigione dell’io, in ricerca solo della volontà del Padre. Io ci credo, non mi stanco di desiderare una Chiesa umile, autentica, una ‘Chiesa scalza’, la stessa che desidera papa Francesco, per cui si spende e di cui dà testimonianza in prima persona. Dopo la sua elezione nel 2013, ho voluto dedicargli le edizioni successive di quel libro: a un Papa scalzo che annuncia una Chiesa scalza. Per me non è una rivoluzione, è un’esigenza d’amore, è rinascere ogni giorno. Gesù è venuto a servire e la vera rivoluzione, per un laico, per un consacrato, per un sacerdote, è semplicemente questa: servire, servire, servire.

Uno stile così può davvero rievangelizzare il mondo, senza trionfalismi, senza clamori, nella concretezza della vita. Nel 2010 terminavo la dedica di quel libro così: «Che tu creda o no, che tu sia cristiano o di un’altra religione, sento che è possibile camminare insieme, perché una Chiesa scalza è sì patrimonio di Dio, ma anche di un’umanità che cerca». La ‘Chiesa scalza’ che sogno, è fatta di parrocchie aperte, capaci di coinvolgere anche non credenti e credenti di altre confessioni religiose. Parrocchie aperte 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. A qualsiasi ora se tu entri in chiesa e hai bisogno di stare in silenzio per rinfrancarti l’anima e lo spirito, nessuno ti caccia via, puoi starci il tempo che vuoi.

Se invece hai bisogno di un confronto, di un consiglio, di esporre un tuo problema trovi sempre qualcuno che ti ascolta senza tirare fuori aria fritta. Nelle parrocchie che ho nel cuore, come in una famiglia, quando un uomo, una donna, si ammalano, immediatamente il tam-tam della solidarietà attiva un volontario preparato, serio e discreto che va a visitarli, si informa e prepara insieme un progetto di sostegno che segue una precisa linea di condotta: esserci, perché nessun ammalato sia lasciato solo. Se poi un ragazzo cristiano, musulmano, ebreo, credente o non credente, un figlio di quel territorio insomma combina qualche guaio, immediatamente il servizio di solidarietà della parrocchia si attiva e va a trovarlo in carcere, e non lo abbandona poi quando esce.

Nelle parrocchie di una Chiesa scalza ci sono gruppi culturali, corsi su qualsiasi argomento. Ci sono oratori dove i bambini, i ragazzi, i giovani possono fare sport in modo serio, dove si insegna chi è Dio e chi è l’uomo, e dove chi si affianca ti aiuta a crescere. C’è un catechismo permanente che dura tutta la vita, uno strumento che aiuta a saper dire dei sì e dei no, a capire cosa è bene e cosa è male; una formazione che spinge giovani e adulti a entrare in politica con spirito di servizio, per farsi gli affari degli altri e non i propri. Sono parrocchie sostenute da chi spontaneamente dà una percentuale del suo stipendio.

Nessuno è obbligato, ma, meraviglia delle meraviglie, lo fanno tutti, credenti e non credenti, perché vogliono sostenere un’opera che serve a tutti i componenti della comunità, in piena trasparenza poiché i bilanci sono pubblici. In questa parrocchia ogni giorno c’è un miracolo: nessun viandante, nessun forestiero trova la porta chiusa o passa la notte fuori, nessuno muore abbandonato, nessuno dorme per strada. Il disabile non è un poverino, ma è una persona che ci restituisce il giusto passo con cui affrontare la vita, ci insegna il rispetto verso gli altri: che sui marciapiedi, sul tram o dove ci sono gradini, si può salire tutti con uno scivolo, senza umiliare chi sarebbe costretto a farlo comunque. Una Chiesa così può essere veramente di tutti: può fare ri-innamorare i battezzati che si sono allontanati, essere saporosa e attraente per chi non crede ma ha sete di onestà e pulizia, per chi crede in un altro modo e celebra altri riti. Sarebbe credibile e vera per tutti.

Sento che la parrocchia che ho in mente fa parte del sogno di Dio. E’ alla nostra portata, ma dobbiamo crederci. Non è utopia perché c’è comunione fra tutti, tutti ne sono responsabili e i sacerdoti, guide spirituali della comunità, non sono schiacciati dalle tante cose da fare perché sono stati capaci di coinvolgere e responsabilizzare i laici. Per una parrocchia così, ci metto la mia faccia, la mia vita. Per una parrocchia così tanti sacerdoti che sono tra le persone più belle in assoluto che io abbia mai incontrato ci stanno mettendo già oggi in ogni parte d’Italia e in tanti altri luoghi nel mondo la loro faccia e il loro cuore.

Un giorno, a un caro amico ho detto che gli esempi migliori li ho trovati nella Chiesa: preti, persone comuni, gente disponibile a togliersi il pane di bocca per chi ha bisogno. Con molta sincerità, aggiungevo che non avrei mai pensato di trovare negli stessi ambienti anche gli esempi peggiori. Tuttavia, la storia si cambia con la luce, con il bene, non recriminando sul male. Dieci, cento, mille parrocchie come quella che ho in mente faranno scoppiare la pace nel mondo intero.

Fonte: Ernesto Oliviero | Avvenire.it

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