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​Referendum costituzionale, non è questione di soli costi

Una riforma perfettibile, con più garanzie

C’era da scommettere che i sostenitori del “sì” al referendum di ottobre avrebbero dato grande risalto al risparmio di denaro che la riforma comporterebbe, con la forte riduzione del numero dei senatori. E così è stato. Non mi sembra che, sinora¸ da parte dei sostenitori del “no” si sia fatto molto per controbattere su questo punto. Per lo più ci si limita a sottolineare che, da certi calcoli, il risparmio non sarebbe poi enorme: una cinquantina di milioni; e, certo, la cifra non è un granché se confrontata ai numeri di altre parti del bilancio statale; ma -a parte le incertezze sui criteri di calcolo – siamo sicuri che l’impressione sia la stessa, anche per la gente semplice, e soprattutto che argomenti di questo genere non contribuiscano a incrementare, piuttosto che ad attutire, l’irritazione, già tanto diffusa tra i comuni cittadini verso la classe politica e chi le sta attorno? C’è un’altra obiezione, più seria, e addirittura ineccepibile, in via di principio.

Così, nel noto «Documento dei 56 costituzionalisti » per il ‘no’ alla riforma della Costituzione e del bicameralismo perfetto varata dal Parlamento si legge che «il buon funzionamento delle istituzioni non è prima di tutto un problema di costi legati al numero di persone investite di cariche pubbliche… bensì di equilibrio fra organi diversi, e di potenziamento, non di indebolimento, delle rappresentanze elettive». Verissimo, ma quanto farà presa, anche quest’argomento, sul gran numero di persone che deve far quadrare i conti per arrivare alla fine del mese?

A mio modo di vedere, una obiezione più credibile sarebbe questa: come mai, la riforma Renzi-Boschi lascia invece intatto il numero, assolutamente spropositato, dei deputati, seicentotrenta, che oltretutto, specialmente nel quadro di un sistema elettorale come quello in vigore, rischiano, per la più gran parte, di ridursi a signorsì ( yesman o yeswomen) nominati e controllati da un leader o da una ristretta oligarchia? Perché, ad esempio, non pensare invece a una Camera dei deputati, poniamo, di soli 300 deputati, eletti pur sempre con un sistema idoneo a garantire maggioranze stabili, e alla quale attribuire in esclusiva la legislazione ordinaria, nonché – non altrimenti di quanto stabilito dalla riforma Renzi-Boschi – l’elezione del Governo e il mantenimento del controllo sui suoi atti attraverso un costante rapporto fiduciario?

E a un Senato, poniamo, di 200 componenti, per metà rappresentativi delle realtà territoriali e per metà da eleggere su scala nazionale, con sistema rigorosamente proporzionale a tutela di tutte le minoranze non proprio minuscole, e nel quale concentrare le principali funzioni di garanzia di un organo parlamentare, come la partecipazione al procedimento formativo della leggi costituzionali e di altre leggi in materie ‘sensibili’, e, soprattutto, un ruolo determinante per l’elezione di organi come il Presidente della Repubblica, i giudici costituzionali, i componenti del Csm? Rispetto alla riforma su cui saremo chiamati a votare non si avrebbe, penso, una minor riduzione di costi (anzi…), si cancellerebbero ugualmente le storture del bicameralismo paritario, che sino ad oggi ha costretto due Camere a fare, disfare e rifare le stesse cose… ma non si butterebbero a mare importanti garanzie, essenziali per un reale equilibrio tra i poteri e per nulla dannose per la funzionalità delle istituzioni.

Mi piacerebbe, da un lato, che i sostenitori del ‘sì’ rispondessero a obiezioni come questa, e dall’altro che tra gli oppositori ce ne fossero che non si limitassero al ‘no’, ma si impegnassero pubblicamente, nel caso di una loro vittoria, a promuovere ‘e a portare avanti con convinzione articolate proposte, altrettanto attente sia a ‘salvare’ le cose buone che pur ci sono nella riforma, sia a dare contenuti positivi alle alternative che essa, invece, merita da tanti punti di vista.

Fonte: Mario Chiavario |  Avvenire.it

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