La scrittrice: «In questi anni ho seguito diversi casi di amici trattati da criminali per accuse infondate da parte delle mogli. Viene esaltata a priori l’irrinunciabilità della figura materna»
Susanna Tamaro e i bambini uccisi dalle loro mamme: «I figli trasformati in bancomat, abbiamo smesso di ascoltarli»
Questa riflessione è dedicata al piccolo Giovanni, alla piccola Alice, a Mattia, a Elia e a tutti i bambini uccisi in questi ultimi tempi dalle loro madri. Ed è dedicata anche a tutte le madri e a tutti i padri prigionieri di quel girone infernale che è diventato il mondo delle separazioni e degli affidi. Episodi di madri infanticide, purtroppo, ci sono sempre stati perché la follia esiste e può esplodere in qualsiasi momento, ma quando la lista dei bambini uccisi diventa quotidiana non si può più archiviare le loro morti come accidentali casi di cronaca.
Famiglie fragili
La distruzione della famiglia ha diffuso nella società invisibili ragnatele di fragilità. Fragilità annegate in un universo di solitudine e di incomunicabilità. La libertà tanto agognata si è trasformata, in realtà, nel laccio nascosto dal cacciatore tra le foglie del bosco, invisibile ma capace di distruggere una vita.
La famiglia tradizionale portava con sé tante complessità e anche tante infelicità, perché dove c’è l’umano queste due dimensioni sono sempre presenti, ma costituiva anche un’ancora di salvezza perché, con la sua molteplicità di relazioni, per chi magari aveva un rapporto problematico con la madre era possibile contare su un supporto positivo da parte del padre o della zia e la solitudine del figlio unico poteva venire mitigata dalla compagnia di uno o più cugini.
Il dominio del mondo psicologico ha messo in ombra la potenza dell’ereditarietà genetica che lega in maniera misteriosa i membri di una famiglia: questo complesso organismo vivente che ha garantito per secoli il progresso della civiltà attraverso l’educazione delle generazioni, pur affrontando scontri, ribellioni, fughe che costituiscono le tappe inevitabili del cammino di crescita dell’essere umano.
Dissolta la realtà di questi legami stabilizzanti, distrutta dal mondo tecnologico la quotidianità fisica dei rapporti, che cosa rimane alle persone? Una siderale solitudine in cui è facile che i fantasmi della mente si manifestino, devastando più o meno rapidamente l’equilibrio mentale.
L’infanzia spezzata
Appartengo alla profetica minoranza di figli di coppie separate già negli anni Cinquanta. All’epoca non c’era il divorzio e le decisioni riguardanti i figli e l’altro genitore venivano prese in famiglia, senza alcun intervento di autorità esterne.
Nostra madre non ci ha mai parlato male di suo marito, sebbene ne avesse piene ragioni, perché pensava che distruggere l’immagine del padre sarebbe stato deleterio per il nostro equilibrio. I miei fratelli ed io passavamo circa una settimana all’anno con nostro padre e questi soggiorni erano per me fonte di grande ansia: ricordo di aver fatto l’unico spaventoso capriccio della mia vita per evitare di partire con lui.
Per fortuna ero a casa dei nonni i quali, di fronte a tanta indomabile disperazione, avevano saggiamente deciso di non farmi andare. Adesso probabilmente sarebbero arrivati i carabinieri per costringermi a farlo, dato che il tribunale aveva stabilito così.
L’istituzione del divorzio nel 1970 ha messo in moto nel corso di cinquant’anni una mostruosa macchina legislativa che lentamente ha imprigionato e soffocato, attraverso un estenuante ricorso a sempre nuovi esperti, ogni possibilità di salomoniche soluzioni di buon senso e di umanità tra le coppie.
La morte del piccolo Giovanni è frutto di questa estrema legalizzazione dei conflitti che, esaltando a priori l’irrinunciabilità della figura materna, è andata incontro a pericolose cecità. Giovanni aveva un padre che lo amava e si prendeva cura di lui e aveva una madre che aveva già tentato di strangolarlo, oltre ad avergli fatto subire degli abusi sessuali.
Tutte realtà refertate, ma ritenute non essenziali dall’imponente apparato di tutela legale. La madre stava meglio, era stato deciso, e dunque non c’era più bisogno di tutela per il bambino, dimenticando due fatti fondamentali: il primo è che le persone psicopatiche sono altamente capaci di mentire e di manipolare la realtà, il secondo che sarebbe bastato alzare il telefono e chiamare il Centro di Igiene Mentale per scoprire che da tre anni la donna non prendeva più alcun farmaco. L’aver focalizzato il rischio per la salute mentale dei figli solo sulla figura del padre ha messo in ombra la tragica realtà delle non poche madri disturbate e manipolatrici.
In questi anni ho seguito diversi casi di amici finiti loro malgrado nel gorgo legislativo e trattati fin da subito da criminali per delle accuse infondate delle mogli. La realtà ormai non conta, conta solo la sua narrazione ideologica: alla madre si crede a priori, mentre il padre deve essere tenuto ossessivamente sotto controllo, anche se tutte le prove sono a suo favore.
Ci sono innumerevoli padri equilibrati e amorevoli a cui sono stati sottratti i figli e che non hanno potuto vederli per anni, senza nessuna possibilità di far sentire la propria voce, mentre i figli e le figlie venivano continuamente manipolati dalle madri per alienare in loro la figura paterna.
Forse è anche il momento di dire che nella società è nata un nuova forma di bambino — il bambino bancomat — perché alla base di questi interminabili processi c’è spesso un contenzioso economico. Penso a un mio caro amico, manager di una grande società europea che, per un rimprovero un po’ aspro fatto alla figlia adolescente — quei rimproveri che i padri devono fare —, è stato allontanato dalla sua casa e ha passato tre anni senza poter rivedere sua figlia, oltre a doversi sottoporre a dei corsi di rieducazione.
O penso all’altro amico a cui è stato sottratto il figlio senza alcuna ragione, che lotta da due anni per vederlo e al quale è già stato consigliato, qualora riuscisse a portare il bambino a casa, di installare delle telecamere per dimostrare di non abusare di lui.
Il vuoto paterno
Mi chiedo poi come mai, in questi interminabili e costosissimi processi, nessuno pensi mai di indagare sui nuovi compagni dei genitori. Eppure basterebbe avere una modesta conoscenza delle fiabe per sapere che la presenza di una matrigna o di un patrigno in casa può proiettare delle ombre sinistre e inquietanti sul bambino sottratto.
In realtà le ragioni sotterranee dell’attacco al maschio in quanto tale appartengono anche a dimensioni che prescindono l’aspetto legale. L’essere figli del caso ci pone nella condizione di non ammettere l’idea di un Padre celeste, di qualcuno cioè che ha inscritto nel nostro cuore delle leggi che ci permettono di gestire la nostra animalità. La scomparsa del padre sancisce la fine dell’educazione e i livelli di violenza giovanile e di autodistruzione derivano soprattutto da questa assenza di norme, che è appunto assenza di paternità.
Ma c’è anche una seconda ragione, per lo più ignorata, ed è di natura fisiologica. Ormai non abbiamo più bisogno del maschio per riprodurre la vita. Già agli inizi del Novecento il fisiologo russo Ivanov, che si prendeva cura dei cavalli dello zar, aveva messo a punto una tecnica per fecondare artificialmente, attraverso una spugna e una cannula, le giumente. Dagli anni Quaranta in poi, nel campo della zootecnia, la fecondazione artificiale si è praticamente imposta in tutti gli allevamenti.
Quando ero bambina ero terrorizzata dall’incontrare i tori, soprattutto se indossavo una maglietta rossa. Ora i tori, con la loro magnifica possenza, non ci sono più, così come non ci sono più gli stalloni, gli arieti, i galli, i verri e persino i poveri fuchi perché sono stati tutti sostituiti da una provetta.
Se tutto nell’universo è collegato, come ci ricorda il grande fisico Federico Faggin, vuol dire che questo vuoto di maschile si riversa quanticamente sull’equilibrio di tutto il vivente, esseri umani compresi.
La soppressione del maschio è la soppressione dell’alterità. Le nostre società necrofile, nutrite dal culto dell’individuo, non accettano altre realtà che quella del riflettersi in uno specchio. La complementarietà tra maschile e femminile che ha sostenuto fino a pochi anni fa il mondo dei viventi lentamente è stata trasformata in una realtà non molto diversa da quella delle lumache che pur avendo in sé la parte riproduttiva maschile e femminile, vengono considerate ermafrodite imperfette perché per fecondare il partner devono lanciare nel suo corpo uno stiletto calcareo che viene tecnicamente chiamato «dardo d’amore». Ecco, il nostro dardo d’amore è ormai la provetta.
Morti tragiche
La morte di Giovanni era facilmente evitabile. Sarebbe bastato prestare ascolto alla frase che, da bambino mite e gentile qual era, di fronte all’ipotesi di andare in visita alla madre senza tutela, aveva detto: «Non so se è una buona idea».
No, non era proprio una buona idea. Perché la voce di un bambino non è stata ascoltata? Perché la pletora di consulenti, esperti e specialisti non è stata in grado di accogliere questo gentile e disperato appello?
Non sappiamo cosa avrebbero detto Alice, soffocata dalla madre a quattro mesi, né suo fratellino Mattia, ucciso a due anni. Né sappiamo cosa avrebbe detto il piccolo Elia di otto anni trovato morto due giorni fa in casa con ferite compatibili con arma da taglio. Anche lui aveva un padre che chiamava ansiosamente per avere sue notizie.
La memoria di queste morti tragiche e innocenti dovrebbe spingerci a interrogarci sui sempre più profondi livelli di disagio mentale della società e sulla totale incapacità del grande apparato burocratico e giudiziario di farsene carico. Quando c’è l’equilibrio di un bambino in ballo bisognerebbe agire con celerità, cosa che non avviene. Le udienze vengono rimandate di mese in mese, di cavillo in cavillo, ricorrendo a sottigliezze legali in grado di bloccare ogni piccolo passo in avanti.
Le separazioni sono ridotte a guerre civili che si protraggono per anni in cui il buon senso è sempre assente e che hanno un’unica vittima, il bambino conteso, che nel frattempo si logora e muore interiormente, trovando nel cinismo o nell’autolesionismo l’unica via della sopravvivenza.
I bambini posseggono una saggezza innata e se esprimono un’opinione abbiamo il dovere di ascoltarli. A Giovanni non sembrava una bella idea stare da solo con quella madre che aveva già tentato di strangolarlo. Se solo l’avessero ascoltato, sarebbe ancora tra noi.
Fonte: Susanna Tamaro | CorrieredellaSera.it