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Sogno di Capodanno

Qui su Marte il Capodanno è “la Festa” perché l’anno è oltremodo lungo e cade in inverni con temperature attorno ai 120°C sotto zero che ci costringono a invertire sonno e veglia: 16-20 ore il primo, 4-8 la seconda. Nessuno esce di casa se non chi è stato poco previdente con le scorte e deve raggiungere il Meta-Market attraverso i tunnel stagni a marciapiedi magnetici mobili.

La lunghezza dell’anno e il rigore invernale rendono l’attesa del nuovo giro attorno al Sole ancora più spasmodica, perché la vita qui è ripetitiva come il paesaggio ed estrema come le stagioni, e allora speriamo che accada qualcosa di nuovo, di inatteso: la scoperta di un pianeta abitabile o anche solo di una fonte d’acqua. Per questo i nostri miti narrano del pianeta coperto d’acqua, stranamente chiamato Terra dagli uomini che vi abitavano e migrarono qui, abbandonandolo proprio il giorno di Capodanno: non bastava più solo un anno nuovo, ci voleva un mondo nuovo.

E così intrapresero quello che i poemi chiamano il Viaggio, lasciando quel luogo. “C’era una volta un pianeta in cui le terre galleggiavano sull’acqua…”, comincia così la favola più nota e amata dai nostri bambini, a cui non sveliamo che si tratta solo di una storia fino a che riusciamo. E così proprio a Capodanno ci abbandoniamo anche noi, tornando bambini, a questi racconti di fantasia, durante il cosiddetto Rito della Festa…

Così chiamiamo il racconto che si svolge nell’ultimo giorno dell’anno. Durante il sonno indotto che quel giorno abbiamo deciso duri 24 ore e che per questo è il giorno più bello dell’anno: al nostro cervello viene narrato il Sogno. Non è un racconto orale perché comunichiamo solo per via neurale non potendo sprecare ossigeno per altro scopo oltre la respirazione.

Durante il sonno di quel giorno la Voce, l’intelligenza artificiale innestata alla nascita nel nostro cervello per segnalare anomalie, regolare il riposo e garantire l’equilibrio psichico, “racconta” le storie mitiche ambientate sulla Terra, prima del Viaggio. Tutto quello che vediamo nel Sogno sembra raggiungere la pelle, che qui dobbiamo sempre proteggere dalle radiazioni con la membrana sintetica, che regola la temperatura ottimale ma impedisce di toccare direttamente i corpi. Così al Risveglio, il primo giorno del Nuovo Anno, nei nostri circuiti sinaptici scorre di nuovo Speranza, la droga che non siamo ancora riusciti a sintetizzare artificialmente, perché la parte più arcaica e debole del nostro cervello la produce solo in presenza della bellezza che provoca la meraviglia che innesca l’energia necessaria all’azione e al lavoro: senza Speranza le persone si fermano.

E così la Voce mostra il Sogno: la Terra fantastica dove abitavano gli antenati che compirono il Viaggio. Spiagge incontaminate su isole disperse in distese d’acqua immense e protette da barriere di corallo; foreste di piante verdi alte decine di metri con radici che sprofondano nel suolo e comunicano tra loro; montagne di una pietra che cambia colore in base alla luce del Sole e che un tempo erano i fondali dei mari che coprivano il pianeta…

Il Sogno è poi popolato di animali fantastici dai nomi bizzarri: le tigri, eleganti quadrupedi dal manto dorato striato di nero e denti affilati come lame; le giraffe dal collo lungo più di un metro tanto da svenire quando si sollevano troppo rapidamente; i volatili detti farfalle per le ali sottilissime e colorate, che nascerebbero da pelosi vermi striscianti e vivono solo una settimana; gli insetti detti lucciole per le code luminose che si accendono su distese di fili verdi durante la notte; e poi esseri capaci di vivere nelle acque e muoversi grazie ad ali subacquee…

 La Voce mostra colori possibili solo nel Sogno perché privi di correlativi fisici su Marte, dove non sono in uso le parole per indicare distese d’acqua o di cielo cangianti in base all’ora del giorno: blu, verde, azzurro, turchese, indaco, ciano, cobalto, zaffiro… per noi sono solo suoni. Abbiamo bisogno di queste storie, anche se sappiamo essere solo Sogni.

Niente di questo è mai esistito, ma i Sogni, stimolando i recettori della Speranza proteggono la psiche dalla monotonia, dalla paura, dalla fatica della vita di qui, senza mari blu, alberi verdi e nuvole bianche. Il nostro cervello, in attesa di una mutazione genetica, non può fare a meno della Speranza del Capodanno.

Per questo abbiamo il Rito che quel giorno ci permette di sognare una vita in cui l’aria è respirabile, ci si può parlare e toccare liberamente, l’acqua non è misurata, la città non è dentro la cupola di acciaio e le abitazioni sono tutte diverse, e soprattutto non ci sono sabbia e polvere in ogni angolo…

A Capodanno finalmente vediamo la Terra del Sogno, anche se sappiamo essere solo un’illusione per resistere. Ai nostri bambini facciamo credere che un pianeta simile esiste davvero nel nostro Sistema, ma è irraggiungibile, troppo lontano. Mio figlio l’altro giorno mi ha detto che da grande inventerà un modo per fare il Ritorno.

“Dove?”. “Sulla Terra di acque, papà”. Era così contento che quasi gli ho creduto anche io, il Presidente di questo pianeta, l’uomo che sa meglio di chiunque altro che la Terra del Sogno è frutto della Speranza a cui affidiamo, ogni Capodanno, tutto quello che non avremo mai: mari, tigri, foglie, baci, fiumi, conchiglie, farfalle, aria, colori e carezze.

Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it

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