La strategia imperialista di Putin si regge su pilastri chiari: avanzare ancora sul territorio, dislocare più uomini e più armi, consolidare le conquiste fatte e disinnescare Kiev. Domande e risposte
Quali sono le rivendicazioni del Cremlino? E a cosa puntano?
Sono molteplici, tutte prodromiche a una fine della guerra in Ucraina. Dal livello micro a quello macro, contemplano il riconoscimento “de jure e de facto” della sua giurisdizione sulle regioni non integralmente ghermite di Luhansk, Donetsk, Kherson e Zaporizia, la rinuncia ucraina alla penisola di Crimea, la neutralizzazione militare del paese, la sua scissione in sfere d’influenza e il bando sempiterno ad un ingresso nell’Alleanza atlantica oltre che di contingenti, basi e dispositivi eterodiretti nelle steppe ucraine. Dal 2023 a oggi, riecheggiano nei circoli dirigenti russi piani per una zona cuscinetto oltre confine, anche a nord, incorporante, secondo Kiev, Kharkiv, Sumy e Chernihiv. Rivendicazioni tese ad esorcizzare la sindrome di accerchiamento patita dai russi dal 1700 e galvanizzate pure dalla dottrina del panslavismo e della russofonia da tutelare, diplomaticamente o manu militari, attraverso la riconquista dell’estero vicino, parte di una pulsione da grande potenza cui la Mosca eurasiatica non è assolutamente nuova
Cosa comportano per l’Ucraine e per la Nato?
Tratta e combatte l’Orso, giocando su più tavoli, con obiettivi palesi e reconditi, fra cui le mire inconfessate su Odessa e il tentativo di sfilare l’Ucraina dalla sfera d’influenza occidentale, in una contesa che va avanti dal 2004, antitetica al nazionalismo autoctono. Al tavolo negoziale in fieri, Kiev siederà poco propensa a compromessi territoriali definitivi, contraria all’ipoteca sulla Crimea ventilata pure dall’amministrazione statunitense, ma costretta “obtorto collo” a congelare i sogni di riconquista lungo l’attuale linea del fronte. Punterà a una libertà d’azione diplomatica futura, a garanzie di sicurezza euro-atlantiche vincolanti, a un meccanismo di monitoraggio super partes del cessate il fuoco e all’imprescindibilità di forze armate nazionali robuste. Sebbene le porte della Nato siano al momento invalicabili, il futuro dirà se le relazioni ufficiali stabilite nel 1991, l’inclusione nel partenariato per la pace (1994), il piano d’azione bilaterale e le promesse datanti da Bucarest (2008) si trasformeranno in una membership a 360°
Fino a dove può spingersi l’espansione del Cremlino?
Sono requisiti di sovranità collidenti con i “desiderata” russi: di una Russia che si sogna neo-imperiale anche con la profondità strategica ucraina, persa con l’implosione dell’Urss. Nell’idea di Mosca, il vicino dovrebbe essere un cuscinetto fra Est e Ovest, privo di forze armate pletoriche e limitato nella tipologia di armamenti. Dovrebbe inoltre abiurare all’aspirazione di riparazioni belliche. Mosca pare stufa di fare concessioni all’Occidente: si vede perno civilizzatore di un mondo multipolare che vezzeggi l’anima russa, contrapposto all’ordine liberale euro-centrico. Ambisce a cancellare l’onta degli anni post-sovietici, in cui un impero declinante aveva accettato l’adesione di Estonia, Lettonia e Lituania al polo atlantico, ingoiato plurimi allargamenti della Nato e aperto infine all’ingerenza militare degli Stati Uniti in Asia centrale. Sogni di grandeur, empiti anti-democratici e spinte centripete complicano le prospettive ireniche, tanto quanto l’inerzia del teatro bellico, favorevole all’Armata rossa dall’autunno 2024
Dal punto di vista militare, cosa è cambiato?
Spinge su molteplici assi la Russia. Si sarebbe portata ai margini dell’oblast di Dnipro e ha ampliato le opzioni operative con la nuova offensiva di primavera. Combatte in superiorità numerica e sembra aver preso il sopravvento anche nel comparto dronistico filo-guidato, per ora immune alla guerra elettronica. Ha innovato, precedendo il nemico nell’integrare in unità reparti motociclistici e un’ampia gamma di veicoli civili, più fruibili e più sfuggenti ai sensori. Abile nel logorare, fatica tuttavia a imbastire manovre coordinate di grande respiro, forse proibitive in un teatro a-permissivo come quello ucraino. Pokrovsk, Toretsk e altri cardini della logistica ucraina focalizzano la sua attenzione: se mai saltassero, potrebbero ripercuotersi sul binomio Kramatorsk-Sloviansk e pesare a livello negoziale. Costano in uomini e mezzi, ma ghermire un massimo di territori pare a Mosca obiettivo fattibile, come allungare la pressione sul fronte e sfruttare la semi-indifferenza del presidente statunitense alle sorti di un’Ucraina in difficoltà
Fonte: Francesco Palmas | Avvenire.it