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Matisse, lo sguardo di un padre

Henri Matisse fu legato da un rapporto amorevole e misterioso con una figlia avuta precocemente. Le dedicò più di cento ritratti. In mostra a Parigi

Nella storia dell’arte non esiste nulla di lontanamente paragonabile: un grande maestro e padre che nel corso della sua vita ritrae oltre cento volte un proprio figlio. È il caso speciale di Henri Matisse e di Marguerite, la figlia nata da un’avventura giovanile con una sua modella, Camille Jobleaud.

Questo straordinario connubio è il tema di una mostra in corso in questi mesi a Parigi, eccezionale non solo per la storia che racconta ma anche per il fatto di presentare praticamente tutti quei ritratti dipinti nell’arco oltre 40 anni. Anche il titolo è molto bello e lascia trapelare le ragioni di questa ostinata predilezione: Le regard d’un père (Lo sguardo di un padre).Matisse con la pittura indaga su questa presenza tanto famigliare, diversa e insieme indispensabile alla sua vita. Marguerite, più spesso la sentiamo chiamare Margot, era nata nel 1894. Pochi anni dopo, nel 1898 Matisse si era sposato con un’altra donna, Amélie Parayre, e presto aveva avuto un altro figlio, Jean. Marguerite intanto viveva con Camille, in condizioni di pesanti stenti, al punto che Amélie volle accoglierla in famiglia, con il consenso della madre naturale.

Era stato quindi un inizio non semplice quello del rapporto tra Matisse e Margot. Aggravato poi dal fatto che la bambina a sette anni aveva subito un dolorosissimo intervento di tracheotomia, effettuato a domicilio per l’urgenza.

Proprio in quella circostanza l’artista aveva aperto gli occhi su quella figlia sfortunata, facendole il primo ritratto, dipinto su un semplice pannello, con tante esitazioni piene di tenerezza: il volto lascia trapelare un po’ di sofferenza, la vestina a righe bianche e blu si perde in un non finito.

Quel quadro dipinto sull’onda dell’emozione era piaciuto molto ai coniugi Stein, grandi collezionisti nella Parigi di inizio secolo. Non era stato quindi recepito come un quadro “minore”: spontaneità e freschezza di quella pittura annunciavano l’imminente, folgorante stagione fauve.

Da quel momento, come se sfogliassimo un meraviglioso album, vediamo Marguerite crescere, anno dopo anno. Matisse indugia in più quadri sulla ragazza assorta nella lettura. Poi da signorina la riconosciamo per il vezzo del nastro nero con cui si cingeva il collo per nascondere il segno di quella operazione subita da bambina.

È quasi un assist lanciato al padre, che giocando di contrasto con quell’elemento nero otteneva ancor più energia e luminosità dai colori. Nel 1920 Margot si era fatta operare per cancellare “la traccia di quel buco”. Così il nastrino era sparito, ma pur sparendo dai ritratti restava sottotraccia come emblema di una relazione segnata anche da momenti di grande dolore.

Il più drammatico fu durante la guerra, quando Margot coraggiosamente aveva scelto di scendere in campo con la FTP, la formazione dei partigiani, venendo presa prigioniera dai tedeschi e anche torturata. Nelle lettere al padre aveva motivato con forza la decisione, vincendo la sua resistenza e anche accusandolo di abulia. Per mesi Matisse non ebbe notizia della figlia. “Mi sono sentito annientato”, confessò a vicenda felicemente conclusa.

Quando nel gennaio 1945 finalmente si erano reincontrati, Matisse aveva sentito il bisogno di farle una serie stupenda di ritratti a disegno. Nel primo, a differenza di tutti gli altri, lo stile è insolitamente sfumato e velato da zone d’ombra, come se da padre volesse farsi perdonare addentrandosi nell’esperienza vissuta dalla figlia. Meravigliosa dimostrazione di come disegno e pittura possano essere strumenti per indagare sul mistero profondo che regola affetti e relazioni.

Fonte: Giuseppe Frangi | IlSussidiario.net

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