Il Faust di Goethe rappresenta una delle più profonde riflessioni sul soggetto moderno, sul patto come fondamento giuridico e sulla colpa come destino. Questo articolo indaga la figura di Faust come paradigma della volontà assoluta, capace di creare e distruggere. Il contratto con Mefistofele è qui letto come metafora della modernità giuridica, fondata sull’autonomia senza misura. La tragedia di Margherita rivela il lato oscuro della libertà moderna. Il diritto, per non divenire pura tecnica, deve tornare a interrogarsi sul limite e sul sacro.
Faust, capolavoro di Johann Wolfgang von Goethe, è una delle più imponenti opere poetiche e filosofiche della modernità. Diviso in due parti, il dramma segue le vicende del dottor Heinrich Faust, insoddisfatto conoscitore della scienza e della teologia, assetato di un senso che il sapere accademico non gli ha offerto. In un moto disperato e prometeico, Faust stringe un patto con Mefistofele – figura diabolica ma anche simbolo dell’intelligenza strumentale – per sperimentare la totalità dell’esperienza umana.
Dalla tragedia intima della giovane Margherita (Gretchen), sedotta e abbandonata, alla titanica impresa di dominio sulla natura nella seconda parte dell’opera, Faust diviene incarnazione dell’homo modernus: inquieto, febbrile, irriducibile alla quiete del pensiero contemplativo, teso verso un ideale che sempre gli sfugge. Goethe, attraverso il suo eroe tragico, mette in scena il dramma della libertà, della colpa e della redenzione, nella crisi del pensiero occidentale post-illuminista.
Riflessione filosofico-giuridica: il patto, il soggetto, la colpa
“Chi sei dunque tu?” – “Una parte di quella forza che vuole sempre il Male e opera sempre il Bene.”
Così si presenta Mefistofele, figura che sfugge alle dicotomie morali e che, in una maniera propriamente moderna, pone in crisi la distinzione classica tra bene e male. Il patto tra Faust e il diavolo non è semplicemente un contratto infernale, ma la forma estrema di un contratto moderno: è un contratto tra la ragione e la sua ombra, tra la volontà di potenza e il rischio della distruzione. È il paradigma di un nuovo diritto, fondato non sulla legge naturale o su una verità data, ma sulla volontà dell’individuo come fonte autonoma del normativo.
Il diritto moderno – come ben sapeva Carl Schmitt – nasce nella tensione tra decisione e norma, tra autorità e legalità. Faust, in questo senso, è l’archetipo del soggetto sovrano: egli decide di abbandonare il limite, rompe il confine del lecito, si fa legislatore di sé stesso. Ma questa decisione sovrana reca con sé una colpa che non può essere interamente cancellata. Il diritto, se slegato da una dimensione etica originaria, diviene procedura vuota, tecnica di dominio, maschera del potere. In Faust, la giuridicità del patto assume i contorni ambigui della perversione della libertà.
L’elemento tragico della vicenda, perciò, non è solo la sorte di Margherita – la vittima innocente, sacrificata sull’altare della volontà di sapere e potere – ma il destino stesso del soggetto moderno. La libertà, quando assolutizzata, si converte nel suo opposto: la servitù all’infinito, alla brama, all’insoddisfazione perpetua. Faust, che vuole “l’attimo eterno”, è in realtà condannato al tempo inautentico, alla rincorsa, al fallimento.
E tuttavia, nella sua redenzione finale, non possiamo non leggere una speranza, sebbene offuscata: l’idea che la giustizia non si dia come calcolo, né come semplice punizione o premio, ma come gesto eccedente, come grazia. È qui che il diritto si riapre alla dimensione della misericordia, tema tanto estraneo quanto necessario alla giurisprudenza contemporanea.
Margherita o della vittima: il sacrificio invisibile della modernità
Nel cuore dell’opera, al di sotto dei grandi temi della conoscenza, del progresso e del dominio, si apre la ferita umana e irriducibile di Margherita – la ragazza sedotta e distrutta da Faust, emblema dell’innocenza sacrificata all’ideale. In lei non vi è grandezza prometeica, né slancio titanico: vi è l’essere-per-l’altro nella sua forma più fragile, vi è l’inermità di chi ama e viene abbandonato.
Margherita non è semplicemente una figura tragica: è la manifestazione dell’invisibile nel diritto moderno. Se Faust rappresenta il soggetto giuridico attivo, capace di stipulare, decidere, agire, Margherita è invece l’altra parte, silenziosa e passiva, che non partecipa all’accordo e ne subisce le conseguenze. Il diritto moderno – tutto centrato sull’autonomia – non sa dare parola alla vittima se non ex post, in forme risarcitorie o consolatorie. Ma la sofferenza di Margherita precede il diritto e lo interpella da una soglia altra: da quella della pietà, della compassione, dell’etica.
Si evoca la necessità di un pensiero che non si arresti alla legge, ma interroghi l’originario: ciò che precede e fonda ogni ordinamento. In tal senso, Margherita è figura dell’originario ferito, del volto che chiede giustizia senza poterla esigere. È ciò che il diritto tende a rimuovere: l’incommensurabile. Il suo processo, che si svolge nella seconda parte della tragedia, non è che il simulacro di un giudizio: essa è già stata condannata dal mondo, dalla morale borghese, dalla logica maschile del possesso.
Nel momento in cui Faust torna da lei, Margherita rifiuta la fuga: non per viltà, ma perché ha intravisto la verità tragica della propria condizione. E sarà lei, non Faust, a essere salvata subito, a differenza di lui, che dovrà attendere la redenzione nel tempo. Così Goethe sovverte la gerarchia della modernità: non è il soggetto razionale e attivo ad accedere alla grazia, ma la vittima silenziosa, colei che ha amato senza misura.
Nell’epoca contemporanea il diritto può ancora dirsi giusto solo se saprà ascoltare il grido muto di Margherita. In caso contrario, resterà Faustiano: potente, brillante, eppure tragicamente cieco.
Conclusione
Faust è il dramma di un’epoca che ha rinunciato a Dio, che ha dismesso il sacro come orizzonte del pensiero, relegandolo ai margini come superstizione o follia. È il poema della modernità che, volendo farsi misura di tutte le cose, ha smarrito la misura stessa. Faust incarna il soggetto che ha creduto di poter vivere senza trascendenza, facendo del desiderio e della tecnica i nuovi numi tutelari. Ma in questa hybris non c’è liberazione: c’è la vertigine del vuoto, l’euforia dell’autonomia che si converte presto in angoscia.
E tuttavia Faust non è solo denuncia o rovina. È anche la possibilità di un pensiero tragico, che non si illude di sanare la frattura tra sapere e salvezza, tra diritto e giustizia, ma che sa abitarla. È il pensiero che non esalta la sovranità dell’io, ma ne mostra il prezzo: l’esclusione dell’altro, la distruzione dell’innocente, la perdita del senso. Solo nel riconoscimento di questo limite – nel rifiuto dell’illimitato – può forse aprirsi un’altra via: non la redenzione garantita, ma la domanda aperta, radicale, su che cosa significhi oggi essere giusti.
In questa tensione irrisolta tra il patto e la colpa, tra potere e compassione, tra procedura e pietas, si gioca ancora oggi il destino della nostra civiltà giuridica. Un diritto che dimentica Margherita è un diritto che ha dimenticato l’umano. Un diritto che si fonda solo sul contratto, senza ascoltare il dolore che precede ogni norma, è destinato a fallire come misura della convivenza.
Faust ci consegna, infine, un compito: pensare il diritto non come sistema chiuso, ma come domanda inquieta. Pensarlo non contro la tragedia, ma dentro la tragedia. Non oltre il sacro, ma di fronte al suo silenzio.
Fonte: Daniele Onori | CentroStudiLivatino.it
Bibliografia essenziale
- Goethe, J. W. – Faust (ed. italiana consigliata: a cura di G. Gelli, BUR, Milano)
- Cacciari, Massimo – Dell’inizio, Adelphi, Milano, 1990
- Schmitt, Carl – Il concetto di “politico”, Laterza, Bari, 1996
- Weil, Simone – La persona e il sacro, Adelphi, Milano, 2002