«Ciò che vi sarà di stupefacente per i sofisti», notava Chateaubriand, «è che, fra i mali che hanno causato, non avranno neppure la soddisfazione di trovare il popolo più incredulo». Il grande francese, scrittore e ministro, era avvezzo a battagliare con i demoni della mente, titolo e oggetto del libro del giornalista Mattia Ferraresi. Non a caso, l’autore di Genio del cristianesimo aveva aggiunto che «si è ben vicini a credere a tutto quando non si crede a nulla»: l’eccesso di diffidenza, la sfiducia nella conoscibilità del reale, si traduce in un’ipertrofia razionalista irragionevole, capace dei peggiori complotti o delle peggiori incrostazioni ideologiche. Una nuova credulità che rientra dalla finestra.
Eppure il libro di Ferraresi non è un libro sul complottismo. È un saggio che indaga l’approccio della mente contemporanea sorprendendola anchilosata. Incidono, forse, le grandi disillusioni rispetto alle promesse sulla pace, sul benessere economico, sul potere “buono” del digitale, sulla salvezza grazie alla scienza: di fronte al dato (notizie, fatti, avvenimenti epocali o cronache minute), il primo moto pre-cognitivo ci spinge a interrogarci su dove stia la fregatura. A chiederci cosa ci sia dietro, e non cosa abbiamo davanti. Da questo punto di vista, c’è molto in comune tra chi è convinto che qualunque nuovo medicinale celi un disegno malvagio di dominazione occulta su popoli-cavia e chi ravvisa in ogni violenza l’inevitabile conseguenza dell’ingiustizia patriarcale delle nostre società. Si potrebbe obiettare che il potere tende ad assecondare decisamente la seconda istanza, ma sul piano del pensiero l’intuizione è feconda. Il «terrapiattista» o presunto tale che rifiuta di bersi le fole degli imbonitori e il woke radicale, un po’ in disarmo sotto i colpi del trumpismo, sono più simili di quanto possa apparire: rappresentano un’inconsapevole deriva gnostica secondo cui l’essenza vera della realtà è accessibile solo a chi sia disposto a liberarsi delle pastoie che vincolano il resto del mondo.