Il Nicaragua è il Paese simbolo del trionfo e fallimento della Teologia della liberazione coniugata con il marxismo. Dove oggi la Chiesa continua a essere perseguitata
di Marco Invernizzi
La Chiesa del Nicaragua ci interessa. La Chiesa è il corpo mistico di Cristo e quando una parte del corpo soffre, per quanto sia minima, tutto il corpo soffre. Il popolo di Dio non può essere indifferente di fronte alla persecuzione subita dalla Chiesa di un Paese, anche se quest’ultimo ha meno di sette milioni di abitanti.
Inoltre, il Nicaragua è un Paese importante per la sua storia e per l’insegnamento che se ne può ricavare. Negli Anni ‘80 del secolo scorso, in Nicaragua si è verificato un esperimento politico importante, che portò al governo, dopo una lunga guerriglia, il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (FSLN), un insieme di socialcomunismo e Teologia della Liberazione. Augusto César Sandino (1895-1934) era l’eroe nazionale del Nicaragua, una specie di Garibaldi, ma non c’entrava nulla né con il comunismo né con il cristianesimo, essendo massone e spiritista. Ma serviva per dare una fisionomia nazionalista al movimento sostenuto dall’Unione Sovietica (c’era ancora la Guerra fredda) e venne arruolato. L’esperimento era importante, perché prevedeva un governo con la presenza di religiosi e sacerdoti, per quanto non più in comunione con la Chiesa, che erano esponenti della Teologia della Liberazione. Quest’ultima verrà condannata da una istruzione della Congregazione per la dottrina della Fede (Libertatis nuntius, 1984), che spiegò come fosse impossibile per un cristiano adottare il marxismo come chiave di lettura della storia, mentre con un documento successivo la stessa Congregazione, guidata dal prefetto card. Joseph Ratzinger, fornì le indicazioni per una teologia della liberazione legata alla dottrina sociale della Chiesa e in comunione con il Magistero (Libertatis conscientia, 1986).
L’esperimento in Nicaragua fallì, e celebre divenne lo scontro pubblico fra san Giovanni Paolo II e i religiosi presenti nel governo sandinista durante la visita pastorale nel Paese, nel 1983, quando il Papa venne platealmente contestato durante la celebrazione della Messa a Managua.
E qui possiamo ricavare il primo insegnamento da questa storia. La Chiesa, il suo Magistero, la fedeltà al Pontefice non sono orpelli di cui si può fare a meno. In quegli anni erano di moda la contestazione “da sinistra”, i “teologi della liberazione”, i “cristiani per il socialismo”, il “compromesso storico”, per fare alcuni esempi, anche se purtroppo lo scisma si verificò dall’altra parte, con il vescovo Marcel Lefebvre. Enormi furono i danni provenienti da queste separazioni, in America Latina ma anche in Europa, soprattutto per gli strascichi che lasciarono.
Uno di questi strascichi fu Daniel Ortega, l’attuale dittatore del Nicaragua e persecutore della Chiesa. La ricercatrice Martha Patricia Molina, già responsabile della comunicazione della Chiesa in Nicaragua e attualmente in esilio negli USA, ha stimato in 740 gli attacchi, operati dal 2018, contro la Chiesa da parte del regime di Ortega e di sua moglie Rosario Murillo con la violenza delle forze di sicurezza e delle turbas, bande al servizio del regime.
L’attacco diretto alla Chiesa comincia con l’espulsione del nunzio, mons. Waldemar Stanislaw Sommertag, il 12 marzo 2022. I numeri sono impressionanti: 14 sacerdoti sono stati privati della nazionalità per “tradimento verso la patria”, due vescovi hanno subito lo stesso trattamento, uno dei quali è in prigione da due anni dopo essersi rifiutato di andare in esilio per stare accanto al suo popolo; si tratta di mons. Rolando Alvarez, vescovo di Matagalpa, mentre 83 religiose e altri 70 sacerdoti negli ultimi mesi sono stati costretti all’esilio, 14 dei quali il 19 ottobre dello scorso anno, e sono stati accolti in Vaticano. 15 emittenti e 11 progetti sociali sono stati chiusi e il 18 maggio 2023 lo Stato del Nicaragua ha “congelato” le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Poi, nell’agosto 2023, è stata revocata la personalità giuridica alla Compagnia di Gesù ed espropriata l’Università dei gesuiti “José Simeòn Canas” (UCA). Inoltre, il 20 dicembre del mese scorso un secondo vescovo è stato arrestato: si tratta di mons. Isidoro del Carmen Mora Ortega, di 63 anni, vescovo di Siuna, «rapito mentre si recava a celebrare le cresime, insieme a due seminaristi», come ha ricordato Martha Molino su Roma Sette del 21 dicembre. La sua colpa è di avere ricordato mons. Alvarez, il vescovo in prigione da due anni, durante l’omelia della Messa celebrata il giorno precedente il rapimento, in occasione del 99° anniversario della creazione canonica della diocesi che guida.
Papa Francesco ha denunciato la persecuzione nel primo Angelus del 2024: la giornalista Lucia Capuzzi ne ha scritto su Avvenire del 4 gennaio. Tuttavia, l’attenzione è molto scarsa, anche nel mondo cattolico. I “giornaloni” non ne parlano, radio e televisioni men che meno. Bisogna risalire all’8 aprile 2023 per trovare la notizia dell’Ansa che ricorda, sempre citando Molina, che nella Settimana Santa in Nicaragua sono state vietate 3.176 processioni. Poi, il silenzio.
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