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Lune di miele

Dalla distanza il lunedì e la gioia dipende il nostro livello di felicità: ecco le tre “m” necessarie per rendere la vita più viva

Se il lunedì indica la ripresa della vita ordinaria, oggi è il primo vero lunedì dell’anno, il lunedì più lunedì di tutti. La sveglia è più faticosa, abbiamo addosso tutto il nostro fuso orario esistenziale. Infatti dalla distanza tra il lunedì e la gioia dipende il nostro livello di felicità: se la vita ordinaria è una condanna, il lunedì è il peggior nemico.

Eppure un tempo era il giorno dedicato alla Luna, Lunae dies, divinità femminile che lo rendeva propizio a fecondità e crescita, alla semina e al focolare domestico, alla memoria e ai racconti. Tutti significati erosi dalla cultura dell’efficienza che vede nel lunedì il primo giorno «non libero», dal momento che ci siamo abituati a percepire come «libero» solo il tempo senza lavoro, come se il lavoro fosse solo una condanna e non il luogo principe della capacità creativa e delle relazioni.

Eppure il gusto buono del giorno lunare rimane nell’espressione «luna di miele», che indicava il primo mese di matrimonio, sia perché in quel mese si compiva l’intero ciclo femminile sia perché gli sposi mangiavano miele o bevevano idromele, si riteneva infatti che il prodotto delle api avesse proprietà afrodisiache e fecondanti.

In questo primo lunedì di tutti i lunedì del 2024 mi sono chiesto se c’è modo di portare un po’ di questa gioia senza che si tratti dell’ingannevole «luna nel pozzo», un modo per indicare l’illusione che nell’acqua ci sia la Luna e non un semplice riflesso. Che cosa manca ai nostri lunedì perché siano un po’ «di miele»?

Sono da poco tornato dalla mia «luna di miele» e vorrei trovare qualche risposta alla domanda proprio in alcune caratteristiche di questo periodo «lunare». La prima cosa che si cerca è lo straordinario: si va «sulla Luna», in posti lontani, più o meno esotici, alla scoperta del mai visto. Nel nostro caso sono stati i paesaggi della Terra del Fuoco e della Patagonia, da capo Horn, il punto più a sud delle terre abitate, alla steppa patagonica, passando per un’imponente distesa di ghiacciai, terzi solo ad Antartide e Groenlandia. In queste terre nel 1519 Magellano trovò il passaggio per accedere per la prima volta al Pacifico e compiere il primo periplo terrestre. Qui il giovane Darwin vide le dinamiche che governavano le specie e ne intuì la logica. Con noi c’erano persone di tutto il mondo: coppie, famiglie, amici, gruppi di viaggiatori… Che cosa c’era in comune fra tutti noi e fra noi e quegli intrepidi esploratori del passato? Cercavamo quel po’ di meraviglia che la vita ordinaria non sembra concederci. Eravamo a caccia di quelli che argentini e cileni, che condividono con cura un ecosistema sorprendente, chiamano «miradores», i nostri «belvedere», punti da cui ammirare a bocca aperta cose mai viste.

«Mirador» viene dal latino «mirare», ciò che non si può non guardare, dalla stessa radice i nostri «miracolo» e «ammirare». Spesso perdiamo la capacità non dico di credere, ma di vedere i miracoli, eppure li abbiamo sotto gli occhi. Perché il lunedì sia meno lunedì servono «miradores», dei «belvedere», cioè momenti «contemplativi», pochi minuti per tornare a stupirsi di qualcosa che diamo per scontato. Per far questo bisogna fermarsi e fissare l’attenzione, come per scattare la foto di un tempo, con il rullino: non potevi fallire e poi dovevi attendere il risultato, ed era come riscoprire la cosa fotografata. Per esempio per me può essere curare in modo particolare l’appello perché sia il «belvedere» sui ragazzi: che cosa scorgo di mai visto? Oppure dedicare qualche minuto a guardare qualcosa di diverso dal cellulare, scattate una foto analogica a qualcosa di scontato per poi «svilupparla» nella «camera oscura» del vostro cuore: un luogo, un evento, una persona…

Al Sud del globo tra iceberg e pinguini, tra cascate e balene, sembrava di vedere per la prima volta il miracolo del mondo in cui siamo capitati. E grazie a questo che ci si innamora di nuovo della vita. La seconda cosa scontata della luna di miele, e forse per questo sottovalutata, è che si condivide tutto, senza pause, con qualcuno, e la meraviglia è il miele, «afrodisiaco» che rende la relazione più viva.

Non basta però trovare la bellezza, è necessario condividerla, che significa moltiplicarla. Oggi lo facciamo con i social che ci permettono di condividere tutto e subito, ma proprio per questo rischiamo di mostrare prima ancora di ricevere, ma si può (con)dividere, senza che sparisca, solo ciò che prima si possiede e si è fatto memoria: carne della nostra carne, vita a cui poter attingere in qualsiasi momento successivo a quello goduto (questa è la differenza tra felicità e sensazione, la prima è uno stato rievocabile quando si vuole, la seconda un’emozione persa con il momento che l’ha generata). E non basterà la foto con quello sfondo a rinnovare la vita ricevuta (il nostro aggrapparci a migliaia di foto è forse la dimostrazione che fatichiamo a ricevere il presente con calma per averlo poi per sempre con noi?), se quello sfondo non è divenuto fondamento: 14 miliardi di anni dell’universo si giustificano proprio perché due ne parlano con stupore e ne possono far memoria perenne del loro rapporto.

Il terzo aspetto che mi piace mettere in evidenza è che tutto questo non crea una magia, una luna nel pozzo, un incantesimo lanciato sull’ordinario per nasconderlo, perché l’ordinario, anche in luna di miele, continua a imporsi, ma si ha l’energia per accettarlo, si ride di debolezze, limiti, ossessioni, tutto ciò per cui temiamo di non essere amabili, e lo si fa diventare il campo della tenerezza anziché quello dell’incomprensione, della misericordia anziché della distanza.

Sono solo spunti, magari utili perché il lunedì possa essere il giorno della Luna grazie a tre ingredienti: meraviglia, memoria, misericordia. Tre «m» per «sbarcare il lunario», la luna torna in questa icastica espressione con cui indichiamo il riuscire a ottenere il necessario per vivere, l’arrivare in porto a fine anno, il lunario era infatti l’almanacco popolare che segnalava fasi lunari, giorni e mesi dell’anno. Vi auguro allora un 2024 in cui «sbarcare il lunario» non sia sopravvivere ma trovare ciò che rende la vita più viva, un po’ di miele anche nei lunedì, perché siano, almeno un po’, lune di miele.

Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it

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