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Costruire la pace: cuori, desiderio e azioni concrete

Anche quest’anno la Cena di Santa Lucia ha mostrato come la pace non sia uno slogan o una parola

In un tempo attraversato da immagini incessanti di guerra, di violenza disumana, di sterminio e distruzione, la parola “pace” cresce come desiderio nel cuore delle persone. Eppure rischia di tingersi di retorica o di essere ridotta a un fattore funzionale al progresso, intesa “come fondamento di crescita e coesione sociale”, secondo l’ultimo rapporto CENSIS 2025.

Esistono però luoghi e momenti in cui questa parola torna a riempirsi di carne, di volti, di gesti. La Cena di Santa Lucia, giunta alla 23ª edizione e tenutasi a Padova il 9 dicembre u.s., è uno di questi luoghi.

Nata nel 2002, la Cena di Santa Lucia ha da sempre lo scopo di sostenere le Tende AVSI, sensibilizzando e aiutando concretamente questa realtà, alla quale negli anni si sono affiancati altri interlocutori come il CUAMM e il Patriarcato Latino di Gerusalemme. La Cena di Santa Lucia non come evento da raccontare, ma come esperienza che provoca una domanda decisiva: come si costruisce davvero la pace?

“La pace non è un’utopia spirituale”, ha detto papa Leone XIV alla CEI nel giugno di quest’anno, “è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa”.

Dal cuore di una terra ferita come Gerusalemme, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa ha richiamato l’origine più vera: una pace che non nasce dal dominio, ma dalla fraternità; non dall’imposizione, ma dalla prossimità. Non c’è più tempo per slogan e orpelli: “I grandi non potranno mai realizzare la pace se i piccoli non la vivono già”, ha detto a più riprese. “Per avere la pace non basta denunciarne l’assenza, ma bisogna avere il coraggio di costruirla nonostante tutto”.

I preparativi per la cena di Santa Lucia

Una storia di cambiamento e costruzione quella dei monaci benedettini che, senza clamore, pezzo dopo pezzo, hanno contribuito a ricostruire l’Europa intera, ha ricordato il Prof. Giorgio Vittadini. È la stessa radice che muove ogni progetto autentico: anche se cambiasse una sola persona, la sua vita cambierebbe per sempre. “Come una famiglia di amici” – ha raccontato Vittadini – “che, pressata dalle domande del figlio piccolo sulla guerra nella Terra di Gesù, ha deciso di adottare a distanza un bambino di Gaza”. Così il desiderio di pace compie i suoi primi passi e diventa generativo.

La stessa concretezza emersa dalle parole di Luca Sommacal, presidente di Famiglie per l’Accoglienza, impegnata in un progetto con AVSI sui minori stranieri non accompagnati, quando ha ricordato che “la via della pace inizia proprio in famiglia, primo luogo di accoglienza dove si impara a riconoscere e ad abbracciare la diversità dell’altro. È lì che la pace smette di essere un’idea e diventa esperienza”.

Questa dinamica non resta teorica. Si è resa visibile nei volti e nelle mani dei 400 volontari della Cena: studenti della scuola alberghiera e delle scuole superiori, universitari di diverse facoltà, adulti e professionisti che hanno donato tempo ed energie, prendendosi ferie, per costruire insieme questo gesto. Un popolo vero, senza il quale nulla di tutto questo sarebbe possibile. Così come nel gemellaggio con i Mastri Risottari della Fiera del Riso di Isola della Scala, che hanno portato la generosità letteralmente in tavola.

Anni fa un volontario di AVSI chiese a una mamma in un territorio di sfollamento di cosa avessero più bisogno, e lei rispose subito: “Che non ci dimentichiate!”. E allora la pace non è solo un fattore di coesione sociale, ma un fatto che riguarda ognuno di noi. Una “pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante”, come ci salutava dalla loggia della Basilica di San Pietro il neoeletto papa Leone XIV.

La prima persona da non dimenticare sono io, con i miei desideri e le mie fatiche. Il primo luogo in cui cogliere questa pace disarmata è dentro di me: fare pace con me stesso è già disarmante.

Alla Cena di Santa Lucia, da 23 anni, mille invitati e quattrocento volontari partecipano per permettere un piccolo cambiamento in loro stessi e, intrecciando “pazienza e coraggio, ascolto e azione”, contribuire a cambiare il mondo. Lo diceva magistralmente Václav Havel, primo Presidente della Repubblica Ceca, in una frase cara a don Giussani: “Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono felice l’uomo. L’individuo, che a prima vista è l’essere più impotente di fronte alle proporzioni dei meccanismi che governano la vita politica, ne è invece il protagonista necessario”.

Questo è l’augurio che ci facciamo e che muove la Cena di Santa Lucia: poter sperimentare noi per primi questa felicità, perché sia il motore di un desiderio di pace davvero disarmato e disarmante, umile e perseverante.

Fonte: Enea Simonato | IlSussidiario.net

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