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Mattia, detenuto all’ergastolo a Bollate, sul palco al Castello: «Racconto la mia storia. Di ombre scambiate per realtà»

A diciott’anni uccise due ragazzi: «delitto d’onore». Oggi a 31, in permesso premio, racconta la sua storia. In carcere si è diplomato e sta studiando per la laurea

A diciott’anni aveva una pistola in tasca e l’onore come unica bussola. Oggi, a trentuno, Mattia sale sul palco del Castello per raccontare — davanti a centinaia di persone — la sua colpa, la sua metamorfosi, e il suo diritto a non essere più solo «l’ergastolano di Abbiategrasso». Il 31 luglio, nel monologo «Attraverso la mia ombra» scritto e diretto da Serena Andreani e prodotto dalla cooperativa Le Crisalidi, per la prima volta darà voce alla storia che ha cambiato la vita di due famiglie: quella dei ragazzi albanesi uccisi per vendetta, e la sua. Un omicidio «d’onore», come lo chiamavano allora. Un’idea che oggi lo fa rabbrividire.

«Mi sembrano idee così lontane da me. Quella minuscola porzione di mondo era tutto ciò che conoscevo», dice Mattia. Quel mondo — violento, chiuso, intossicato di codici tribali — lo ha lasciato per sempre tredici anni fa, in una cella di isolamento di tre metri per due, senza luce, senza voce. E senza più un alibi. «Non volevo morire lì dentro, ma non sapevo ancora come vivere fuori dal mio errore». E dalla violenza.

Da allora non si è più voltato indietro, se non per capire. Il suo è uno dei rari casi in cui il carcere ha funzionato davvero. Non come punizione, ma come attraversamento. A Bollate si è diplomato e sta studiando per la laurea in Scienza della formazione. Lavora per una azienda, vive in articolo 21 e da poco ha ottenuto i permessi premio. Ma soprattutto è diventato padre: una figlia di undici mesi, nata in un giorno d’autunno. «Non mi ero preparato a questo. Nessuno lo è. Ma c’ero. Sono stato io a sentirla piangere per primo».

Perché questa storia non è una parabola edificante, né un’abiura in punta di piedi. È un viaggio dentro la complessità: di una colpa che non si cancella, ma si attraversa. Di una pena che non finisce con un numero, ma con un senso. Di un uomo che si è guardato allo specchio e ha deciso di non rimanere l’ombra del ragazzo che fu. «Quel giorno in Tribunale — ricorda — ho incrociato lo sguardo dei genitori delle vittime. Mi sono sentito morire. Non ho mai avuto la forza di cercarli. Ma ho fatto tutto quello che potevo, con chi potevo».

Dal carcere ha parlato con studenti, professori, psicologi, ex allenatori, vigili urbani. Ha parlato anche con sé stesso. «In carcere ti ci sei messo tu. Un’altra frase fatta, ma vera. E allora devi trovarti un modo per uscirne. Per capire chi sei mentre sei lì». Un giorno, nella minuscola biblioteca del penitenziario, trovò la Repubblica di Platone. Lesse il mito della caverna, e capì: «Era la mia storia. Di ombre scambiate per realtà. Di una verità che sta altrove, ma devi volerla cercare».

Non è una favola. Non c’è redenzione definitiva. Le catene e le ombre — e il dolore provocato — ci sono ancora e ci saranno sempre. Ma c’è l’impegno, anche con il volontariato nelle periferie, e c’è la possibilità di essere visti per intero, almeno una volta. Sul palco. Con buio e luce.
Mattia non si assolve, e non pretende di essere assolto.

«A volte penso di aver ucciso anche per mancanza di parole. Non ne avevo per spiegarmi, non avevo alternative». Parlerà della vendetta travestita da giustizia, della libertà che non è fare ciò che si vuole, ma sapere chi si è. Di un padre che si interroga se avere una figlia, nelle sue condizioni, sia stato un atto d’amore o di egoismo. Di un uomo che ha imparato a sentire gli altri — anche quando fa male — perché qualcuno, un tempo, si è interessato a lui. Cerca disperatamente il riscatto umano perché la vita, dopo gli sbagli, non deve finire.

Costa fatica restare umani, farsi toccare profondamente dal dolore. Dai legami, dalle fratture, dalle separazioni, dai cambiamenti. «A volte penso ai miei genitori, a come questo percorso mi abbia portato lontano dall’ambiente in cui sono nato e cresciuto. È bello, perché sono un altro, ma è anche molto triste».

Il carcere, dice, non è sempre fuori. A volte è dentro. Dentro una società che corre, che dimentica, che giudica senza ascoltare. Nessuno può sapere cosa succede davvero quando si riapre il cancello. Ma a questo punto, Mattia ha conquistato la cosa più difficile: la possibilità di essere un uomo intero. Non libero, non colpevole, non assolto. Intero. E capace di restituire, parola dopo parola, la complessità del male. E il rischio fragile, coraggioso, di voler scegliere — stavolta — il bene.

Il monologo «Attraverso la mia ombra», scritto e diretto da Serena Andreani e prodotto da Cooperativa le Crisalidi, recitato da Mattia Archinito, sarà in scena giovedì 31 luglio alle ore 21, nell’ambito dell «Estate al Castello». Costo: 15 euro

Fonte: Elisabetta Andreis | Corriere.it-Milano

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