Avevo quattordici anni quando alla radio intercettai Joe Temerario di Ron, singolo inedito incluso in una raccolta di successi. Acquistai quel vinile e lo conservo ancora come una reliquia: memoria di un imprevisto che allargò gli orizzonti musicali e non solo. Una canzone che trattava di un dialogo tenero tra padre e figlio e che rivelava a un adolescente irrequieto un modo costumato di vivere i rapporti familiari. Le canzoni di Ron aprono finestre sul mondo. È per questo motivo che ho voluto invitarlo al prossimo Meeting di Rimini per un miniconcerto intervallato da un dialogo sui brani. Al telefono, mi ha comunicato a sorpresa la volontà di ampliare la scaletta: «Dai, cantiamo! È quello che mi piace di più, suonare e cantare». È patrimonio della storia culturale del nostro Paese e messaggero di una fede illuminata dalla grazia, caratteristica spesso ignorata dall’industria discografica e derisa dalla critica musicale. Ron parla della musica come di uno spazio di silenzio e pace, un baluardo contro il frastuono del mondo: «Viviamo in un mondo malato e chiassoso. Io cerco nuove sonorità, specie ora che sto riarrangiando molti brani con l’aiuto di un grande pianista e della mia band. Tutto nasce dal silenzio, dal bisogno di tenermi lontano dal rumore». È la pace, dunque, la condizione indispensabile per ricrearsi. Lo canta in una canzone: «Solo nel silenzio non si è soli mai / Porta fino in fondo là dove c’è Dio / Dove sei te stesso.» (Nel silenzio, dall’album “Adesso” pubblicato nel 1999).
La sua musica è intrecciata alla fragilità della vita. Lo dimostra il legame con Mario Melazzini, medico e già presidente dell‘Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica (Aisla). Quando a Melazzini fu diagnosticata la sla, la loro amicizia si fece più intensa, segnata da un’autentica condivisione del dolore. Mise a disposizione la sua musica per sostenere l’associazione e consolare. Nel 2016 nacque La forza di dire sì, un album di ventiquattro duetti con artisti italiani – tra cui De Gregori, Jovanotti, Pino Daniele, Lucio Dalla – per raccogliere fondi e ridare slancio alla ricerca. Non un gesto di beneficenza di facciata, ma la fioritura di un’amicizia compassionevole.
Ron parla di Melazzini: «Mario è stato – e lo è ancora – un vero maestro. È una persona che non abbandona mai nessuno. Mi ammalai anch’io. Impedito nel fare il mio lavoro, mi resi conto di quanto stavo perdendo. Poi sono ripartito grazie alla sua vicinanza. In lui ho visto la speranza. Ancora oggi combatte battaglie importanti, torna a casa arrabbiato, indignato, ma con un carico di attese, fiducioso». Un altro incontro decisivo fu quello con padre Silvano Fausti, in un periodo di smarrimento: «Avevo incontrato persone molto lontane da quello che predicavano. Ne ho sofferto tanto. Proprio in quel dolore mi sono aggrappato a padre Silvano. Ero deluso, non avevo più voglia di cantare». Gli ha insegnato la leggerezza, dando spessore spirituale alla sua ricerca di senso: «Ricordo che quando gli dicevo: “Sai, faccio fatica a pregare”, padre Silvano rispondeva: “Va bene, non preoccuparti, pregherà Lui per te”. Era una risposta che mi disarmava e insieme mi sollevava».