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Nassirja, vent’anni fa. La fiamma dell’Occidente

La santità per vincere l’indifferenza e la rassegnazione dell’Occidente

Il 12 novembre 2003 a Nassirja, in Iraq, morirono 28 soldati in seguito a un attacco terroristico islamista. 19 vittime erano italiane, fra carabinieri e soldati, le altre irachene. I militari nostrani facevano parte dell’Operazione Antica Babilonia ed erano in Iraq per favorire la ricostruzione politica e civile del Paese. L’attentato suscitò una certa commozione in Italia, visibile particolarmente in occasione del funerale per le vittime, celebrato dal card. Camillo Ruini il 28 novembre nella basilica di S. Paolo fuori le Mura a Roma.

Al di là dell’opportunità o meno dell’intervento militare in Iraq, voluto in particolare dagli Stati Uniti dopo la strage delle Torri Gemelle del 2001, quell’attentato era un attacco all’Occidente. La reazione degli italiani dimostrò l’esistenza di un popolo (una parte del popolo, probabilmente minoritaria, ma significativa) che non si isolava egoisticamente nel proprio benessere (o ritenuto tale), ma che riteneva doveroso intervenire laddove fosse stato utile per difendere alcuni diritti fondamentali della persona e dei popoli, nel clima di guerra contro l’Occidente scatenato dalle forze islamiste.

Oggi siamo più o meno in quella situazione. Certamente c’è un governo molto sensibile su questo tema e molto impegnato a livello delle relazioni internazionali per favorire una forte identità europea ancorata alle radici ebraico-cristiane, ma forse il mondo cattolico non ha la stessa sensibilità di allora. E la popolazione? Come si percepisce un europeo oggi di fronte alle guerre contro l’Ucraina e Israele, alla libertà perduta da Hong Kong e a quella minacciata di Taiwan a causa dell’imperialismo cinese? I tanti errori commessi dall’Occidente giustificano l’odio contro se stesso, denunciato già tanti anni fa dal card. Ratzinger? Oppure dovremmo tutti abbracciare la cancel culture, e così suicidarci “felici”, a causa dei tanti peccati commessi?

Allora impariamo dalla cronaca e dalla storia per fare le scelte giuste. L’Occidente è ammalato gravemente, come dimostra il barbaro epilogo della vicenda di Indi Gregory, la bambina condannata a morte dai giudici inglesi. Ma nell’Occidente ammalato qualcuno ha saputo ricordare le radici della nostra civiltà, per esempio il governo italiano, che ha offerto la cittadinanza alla piccola bambina, o l’ospedale romano del Bambino Gesù, che desiderava prendersi cura della bambina, così ricordando come gli ospedali sono stati istituiti nella Cristianità occidentale per curare, non per uccidere.

L’Occidente è ammalato, ma può guarire, una Cristianità è morta, ma ne può nascere un’altra. Guardiamo alla fine dell’impero romano, quando un’antica civiltà stava morendo. E impariamo dai santi, che hanno fatto di tutto per costruire un mondo migliore. Il santo della carità che abbiamo appena celebrato l’11 novembre, san Martino; o quello del governo, che ricorderemo fra pochi giorni, ovvero sant’Ambrogio, o ancora il santo della cultura, Agostino di Ippona, che Ambrogio portò al Battesimo. Sono stati loro la fiamma che ha permesso all’Occidente di rinascere: un “ungherese”, un romano e un africano. Pensiamo a Boezio e a Cassiodoro, romani e cristiani in un mondo che stava morendo, che seppero gettare le basi per la ricostruzione. Guardiamo a loro e imitiamoli, perché essi hanno saputo fare ciò che è indispensabile per qualsiasi rinascita: incarnare gli ideali, fare diventare vita la buona dottrina e così restituire la luce a un tempo senza speranza.

Anche noi non dobbiamo perdere la speranza.

Fonte: Marco Invernizzi | Alleanzacattolica.org

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