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Senza indugi i laici facciano la lotta politica

Intorno ai principi non negoziabili Ruini è riuscito a coagulare, con fatica, cattolici, di diversi partiti. Ma oggi la presenza dei credenti è marginale e liquida. Che fare?

Negli ultimi giorni del 2020 più testate giornalistiche nazionali, da Libero a La Stampa fino a la Repubblica, hanno attaccato nominativamente, e con veemenza, una docente dell’Università Europea di Roma perché, fra i testi di insegnamento, ella adopera il Manuale di bioetica di Elio Sgreccia: lo scandalo è per alcuni passaggi del libro dedicati a matrimonio, aborto e omosessualità. La vicenda ha avuto dei profili surreali: edito per la prima volta nel 1988, il Manuale ha costituito il riferimento per l’insegnamento della bioetica in decine di università, pure di impostazione laica, per cui denunciarne adesso taluni contenuti ha fatto chiedere dove fosse la notizia, prima ancora dello “scandalo”. Senza dire che, guardando quanto riportano in materia il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Codice di diritto canonico fa riscontrare una sostanza identica: le si condivida o meno, si tratta delle posizioni della Chiesa universale, se mai affinate e articolate dal card Sgreccia e dalla sua “scuola”.

Accenno alla vicenda non già per l’aggressione di matrice radicale e libertaria – è nelle cose, se pur fuori dal tempo -, bensì (con rare eccezioni) quest’aggressione non ha visto reazioni dal mondo ecclesiale nel suo insieme, in primis da quelle istituzioni e da quei centri di ricerca che non sarebbero sorti, o non avrebbero conosciuto posizioni di avanguardia sul fronte della bioetica, senza la dedizione e l’impegno del compianto cardinale; e quindi per non aver inteso cogliere che l’obiettivo degli attacchi non era la docente che ha adottato il Manuale, bensì l’impostazione personalistica di quel testo, e prima ancora la libertà di educazione e di insegnamento, che si è teorizzato doversi precludere a chi sostenga quelle posizioni.

L’episodio è l’ennesimo di una serie, troppo lunga, di sostanziale abbandono del campo. Segue altri silenzi, di una parte non marginale della realtà ecclesiale italiana: quelli che negli ultimi dieci anni hanno accompagnato l’approvazione di leggi o l’adozione di provvedimenti giudiziari sovversivi delle basi della comunità familiare, della relazione educativa, dell’aiuto ai più deboli, della tutela del concepito, dell’ammalato, all’anziano: dal divorzio breve al divorzio facile, dalla droga libera al matrimonio same sex, dalla fecondazione eterologa all’aiuto al suicidio, fino al riconoscimento di fatto della maternità surrogata.

L’ultimo argine

Non è stato sempre così: abbiamo vissuto un tempo di testimonianza pubblica incisiva e fruttuosa. Non solo sul piano dell’interdizione: fino a una decina di anni fa più volte si era tentato di far passare ciò che poi è stato introdotto, ma lo si era bloccato con una attiva ed efficace vigilanza. E si riusciva pure a giocare all’attacco: la legge 40, pubblicata nel febbraio 2004, pose ragionevoli argini alla fecondazione artificiale, riconoscendo – per la prima volta nell’ordinamento – il concepito quale soggetto di diritti. Quella legge è stata poi stravolta dalla giurisprudenza, ma la sua approvazione ha tradotto in norme – se pure in parte – una sana antropologia.

La paternità culturale di un simile lavoro, e delle correlate ricadute giuridiche, prima ancora dei laici cattolici e di non pochi laici non credenti, ha il nome di chi in quegli anni ha guidato i Vescovi e la Chiesa italiana. La felice intuizione del card Camillo Ruini a partire dal Convegno ecclesiale di Loreto nel 1985, e quindi dall’inizio degli anni 1990, era che, chiusa l’esperienza della DC con la Prima Repubblica, non poteva terminare l’impegno culturale e politico dei cattolici: doveva assumere forme e modalità operative differenti, più faticose ma nei fatti più incisive. Consapevole che il cattolicesimo italiano già 30 anni fa non era più maggioritario, egli lo ha reso egemone su temi fondanti, aggregante rispetto a sensibilità non confessionali, ascoltato e tutt’altro che elitario, se è vero che la legge 40 è stata difesa nel 2005 dall’aggressione referendaria, e quindi che vi era il consenso popolare.

La strategia di don Camillo

Il richiamo di S. Giovanni Paolo II ad aprire, anzi a spalancare, a Cristo “i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo” è stato declinato da Ruini riunendo i cattolici impegnati in politica, al di là degli steccati partitici: ha riscosso seguito più da uno schieramento che dall’altro, ma ha ottenuto comunque attenzione e risultati. Con un metodo di lavoro che non poneva nessuno in una posizione di preferenza, poiché partiva da comuni presupposti antropologici, non declamati in slogan ma scientificamente articolati col supporto di uomini di cultura e di scienziati, per giungere alla loro coerente traduzione in proposte e in leggi: la legge 40 è nata così, dopo sette anni di lavoro condiviso al di là delle coalizioni.

Si poteva fare di meglio? Certamente. Si è dedicata maggiore attenzione a vita, famiglia e libertà religiosa invece che a lavoro, povertà e marginalità? Può darsi. Ma il confronto con quel che oggi passa – si fa per dire – il convento fa impressione. Che cosa è accaduto in poco più d’un decennio da affievolire a tal punto il peso sociale e politico dei cattolici italiani? Da renderla frangia marginale, nemmeno chiaramente riconoscibile. E’ un quesito cui rispondere senza automatismi del tipo “da quando c’è Papa Francesco…”: che, più che un equivoco, è un alibi per la propria inerzia. L’ultima modalità di presenza pubblica dei cattolici italiani, col coinvolgimento formale della realtà ecclesiale, è stato il Family day del 2007, sei anni prima dell’avvio dell’attuale Pontificato (i Family day del 2015 e del 2016 hanno visto i pastori formalmente estranei, se non ostili). L’abbassamento di profilo è iniziato subito dopo, nonostante il prezioso magistero di Papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e politica.

Prendersi le proprie responsabilità

Come dare senso oggi al lavoro così a lungo curato dal card. Ruini? Vi è una espressione cara a Papa Francesco: “non esistono i vescovi-pilota”. Vuol dire che per le questione sociali e politiche la responsabilità all’interno della Chiesa è tutta dei laici: senza attendere deleghe o indirizzi, perché tanto non arrivano. Non mancano sul punto né gli insegnamenti – abbondano fra i documenti del Concilio Vaticano II -, né i precedenti: quando le armate di Bonaparte si allungarono verso Est e verso Sud per esportare la Rivoluzione, i capi fuggirono. Rimasero i popoli: che non si arresero all’imposizione di un regime che calpestava quel che costituiva l’essenza della loro vita quotidiana. E quando, poco meno di 80 anni fa, all’epilogo di una guerra che aveva ridotto in macerie le nostre città, il re dell’epoca se la diede a gambe, lasciando esercito e Nazione senza un comando, furono ancora le popolazioni italiane a prendere in mano il proprio destino e ad animare la ricostruzione, nonostante i lutti e le divisioni. Nella profonda diversità fra le epoche, il dato comune è che viene il momento in cui o te la vedi senza aspettare ordini e permessi, o con la tua inerzia accetti la corresponsabilità della rovina.

Il post Ruini oggi significa sapere che non ci sono altri che assumono le responsabilità che toccano a noi. E che anzi tra coloro da cui dovrebbe giungere il sostegno qualcuno scompare sul più bello, o addirittura fa capolino dall’altra parte. Significa mostrarsi uomini; di fiduciosa preghiera, ma anche di azione responsabile, in un momento di così accentuata irrilevanza, e quindi di sacrificio. Il nostro, non quello degli altri.

Fonte: Alfredo Mantovano – pubblicato su Il Timone, n. 203 febbraio 2021 | CentroStudiLivatino.it

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