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Le nostre mani: il lavoro secondo papa Francesco

Gesù e il suo mestiere, le parabole nate nelle botteghe, le mani ferite dei lavoratori di oggi. Papa Francesco nel suo magistero ha riletto il lavoro come luogo di vocazione, dignità e redenzione. E ha denunciato con forza: “Siamo persone, non pezzi di ricambio”

Papa Francesco ha affrontato il tema del lavoro con «una capacità di riflessione originale», lasciando un magistero che unisce «contenuto e gesto» e che «indica sempre un impegno concreto». Centrale è la figura di Gesù «il falegname» (Mc 6,3), «che si guadagnò il pane lavorando con le sue mani» (AL 65). Il lavoro di Cristo è «un apprendistato rispetto alla vita» e «ha santificato l’esperienza lavorativa». La sua manualità «trasforma la materia secondo un progetto e un disegno», ed egli «sa vedere un capolavoro nella materia inerte».

La teologia del lavoro di Francesco si fonda anche sull’idea che «senza l’attività lavorativa probabilmente Gesù non avrebbe dimostrato la straordinaria familiarità con quei luoghi di lavoro» da cui trae le sue parabole. Il lavoro diventa così «il caso serio della vita», perché «Dio lavora e invita a lavorare». Secondo Francesco, «fare non equivale a produrre», ma significa «tenere insieme l’abilità delle mani, la passione del cuore e le idee della mente». E ancora: «Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro» (GE 14).

Per Francesco, «il lavoro è cosa buona», perché «assicura la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno» (FT 162). È «una dimensione irrinunciabile della vita sociale», che serve «non solo per guadagnarsi il pane, ma anche per la crescita personale», per «vivere come popolo». In quest’ottica, «la tecnica può fare molto», ma «non ci dice il perché» delle nostre azioni. Il lavoro diventa quindi una «esperienza terapeutica», che «valorizza la persona e fa crescere lo stile comunitario», al punto che «a volte si guarisce lavorando con gli altri, insieme agli altri, per gli altri».

Francesco ha anche «affrontato le ferite sanguinanti del lavoro». La sicurezza è «come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare». Contro il «carewashing», denuncia che «si preferisce curare la propria immagine invece di salvare esistenze fragili». E ammonisce: «La vita non si smercia per alcuna ragione, tanto più se è povera, precaria e fragile».

Attenzione particolare è data a giovani, donne, migranti e «lavoratori poveri che fanno la fame con salari insufficienti». Contro «lo sfruttamento delle persone come se fossero macchine da prestazione», Francesco denuncia «il caporalato, la schiavitù dei braccianti, i turni massacranti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia». Il lavoro, invece, è «cammino di maturazione e di inserimento sociale» (ChV 271). Francesco incoraggia i giovani a «non seppellire il proprio talento» e a «inseguire i propri sogni».

Il Pontefice argentino ha più volte ribadito che «la vera ricchezza sono le persone», e che «senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia». Togliere il lavoro, o proporre un «lavoro indegno o malpagato» è «anticostituzionale», e Francesco ha detto con forza: «dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”!». Ha denunciato che «la corruzione si alimenta nel torbido dell’illegalità», perché «ogni cedimento alla corruzione è adorazione idolatrica del denaro».

Tuttavia, «le situazioni problematiche non devono far assumere atteggiamenti remissivi». Francesco invita a «dare motivi di speranza», valorizzando un metodo cooperativo dove «uno più uno fa tre». Ha promosso dialoghi concreti, come con i pescatori italiani di «A pesca di plastica». E ha indicato nella formazione continua una via maestra: «la formazione tocca non solo il capitolo delle competenze, ma anche quello del senso».

«Si evangelizza attraverso l’opera delle mani realizzata con amore e nella giustizia». Il lavoro, per il magistero di Bergoglio, «è esperienza primaria di cittadinanza», costruisce «una comunità di destino» e tesse «il tessuto della democrazia». Per questo, si deve concludere con un’espressione affettuosa e potente: «Musica, Maestro!».

Fonte: Bruno Bignami | FamigliaCristiana.it

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