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Usare il telefono per parlare con Gesù

L’intelligenza artificiale oggi è più vicina, più presente e più “umana” che mai, tanto da accompagnarci anche in situazioni intime e personali della nostra vita, come la fragilità emotiva, la fede e le relazioni.

Ma cosa succede quando i confini tra compagnia e connessione iniziano a diventare confusi? Quando la differenza tra comprensione e simulazione diventa così sottile da fare difficoltà a distinguere l’una dall’altra? E quali criticità rischiamo di perdere di vista mentre confidiamo i nostri pensieri più privati ad un algoritmo? Oggi parliamo di questo, con tre diverse tipologie di chatbot e di modalità di fruizione dell’IA che stanno sempre più prendendo piede.

Psicoterapia mobile

Iniziamo con un dato: secondo dati raccolti da Telefono Azzurro, il 22% degli adolescenti preferisce confidarsi in forma anonima via chat anziché rivolgersi ad un professionista. Il 63 % considera l’AI, chatbot e app di salute mentale facilmente accessibili; il 62 % apprezza l’assenza di giudizio che caratterizza questi strumenti. Sono sempre di più gli adolescenti e i giovani adulti che scelgono di rivolgersi ai chatbot in cerca di supporto emotivo, spesso come primo passo prima di contattare uno psicologo, altre volte in sostituzione al supporto di un professionista.

Perché? L’IA è disponibile 24 ore su 24, non giudica e garantisce l’anonimato. Inoltre, la sua capacità di elaborare dati e contenuti complessi in tempi rapidissimi garantisce risposte in tempo reale, simulando empatia con estrema naturalezza.

Questi strumenti, che possono essere un’interessante forma di aiuto complementare, sono considerati utili per sfogarsi, regolare emozioni quotidiane e ricevere consigli pratici. Ma non devono (e non sono in grado!) di sostituire il supporto di un professionista e della psicoterapia in un’ottica di risoluzione del disagio.

Spiritualità 4.0

Non è una novità: la Chiesa si sta muovendo con più decisione nel digitale. Anche attraverso l’apertura al linguaggio dei social, che quest’anno culminerà il 28 e 29 luglio con il Giubileo dei Missionari Digitali. Chi sono? Creator e influencer che si impegnano a diffondere il messaggio cristiano online, attraverso veri e propri canali ufficiali di evangelizzazione.

Parallelamente, sono diverse le iniziative che stanno invece sperimentando con l’IA per sviluppare chatbot spirituali, software in grado di rispondere a dubbi di fede, fornire supporto teologico e accompagnare il cammino dei credenti. Online si trovano infatti app come Text With Jesus, sviluppata da Cat Loaf Software a Los Angeles, GitaGPT, sviluppata dall’ingegnere Sukuru Sai Vineet e ispirata agli insegnamenti della Bhagavad Gita, QuranGPT, progettata per rispondere a domande sul Corano dall’allora studente di ingegneria Raihan Khan.

Proprio secondo Khan, “applicazioni come questa hanno il solo scopo di colmare un vuoto nel mondo moderno, dove le giovani generazioni trovano difficile orientarsi nella propria religione“.

Ma in questo nuovo rapporto con la fede, dove finisce la spiritualità e dove comincia la simulazione?

Relazioni Artificiali 

E quando si parla di relazioni? Ci sono gli AI companion, chatbot avanzati pensati specificatamente per offrire compagnia, ascolto e supporto emotivo, spesso simulando un’amicizia o persino una relazione affettiva.

Funzionano come “confidenti digitali” disponibili 24/7 e rappresentano uno spazio sicuro soprattutto per le persone più giovani e vulnerabili, che possono così aprirsi senza timori. Tra i benefici più evidenti del loro utilizzo nel breve periodo ci sono la riduzione della solitudine, il miglioramento della regolazione emotiva e la possibilità di esercitare abilità comunicative in un ambiente protetto.

Nel lungo periodo, però, l’interazione unidirezionale con L’IA può generare un attaccamento emotivo profondo ma non reciproco, favorendo dipendenza affettiva e isolamento sociale. Inoltre, un uso intensivo degli AI companion può ridurre la tolleranza alla frustrazione e la capacità di gestire relazioni complesse nella vita reale. Particolarmente delicato è l’impatto sugli adolescenti, per i quali l’attaccamento emotivo agli AI companion può distorcere le dinamiche affettive e incrementare il rischio di isolamento e vulnerabilità.

I rischi 

Che si parli di fragilità, di fede o di solitudine, la domanda non cambia: cosa succede quando diamo in pasto ad un algoritmo informazioni, pensieri e emozioni così intrinsecamente personali e intimi? Dietro l’apparente comodità di un confidente sempre a portata di touch, ci sono diverse questioni da considerare. In primis la privacy.

Molti chatbot raccolgono dati sensibili senza specificare quale uso ne verrà fatto, se verranno utilizzati per addestrare gli algoritmi o, peggio ancora, se saranno vulnerabili a possibili violazioni della sicurezza. La mancanza di trasparenza sulle modalità di gestione di queste informazioni spesso espone l’utente in maniera considerevole senza che vi sia consapevolezza.

C’è poi il tema dell’empatia, che le IA non provano. Possono essere addestrate a simularla, ma quando interagiscono con gli utenti si limitano a processare gli input che ricevono per produrre l’output desiderato, con una tale naturalezza che il rischio di dimenticare la loro natura è estremamente concreto. Sottovalutare questa possibilità può sfociare in dipendenze emotive e ulteriori solitudini e isolamenti, aggravando ulteriormente le difficoltà che invece si cercava di risolvere.

I chatbot sono strumenti che, se usati con consapevolezza, possono essere utili e portare grandi benefici. È sempre importante però tenere a mente che si tratta di terreni delicati e con diverse zone d’ombra.

Fonte: ParoleOstili.it

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