Sarebbe poco intelligente non prendere sul serio le parole scritte da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 15 ottobre scorso a proposito del suicidio delle società occidentali sotto l’egemonia del progressismo: quest’ultimo «è la democrazia amputata dal suo retroterra, dalla sua storia, dai valori di questa (…) Il progressismo è la democrazia ridotta a misura unicamente dell’individuo, centro e padrone di ogni cosa, abitante solitario di una sfera sempre più ampia di diritti soggettivi universali, universalmente sanciti e garantiti non più dalla politica e dallo Stato, cioè dalla storia, ma da Corti di giustizia transnazionali incaricate di decidere loro ciò che è bene e ciò che è male».
In pratica il politologo ha scritto che l’egemonia progressista ha sradicato l’Occidente dalle sue radici e lo ha condotto alla situazione attuale di società senza anima perché senza radici: «Ma soprattutto il progressismo è la democrazia che ha instaurato la laicità obbligatoria e si avvia a sciogliere il proprio legame con il retaggio cristiano, quindi anche con l’ebraismo, (…) è l’Occidente che dichiara di non avere più nulla a che fare con i Dieci Comandamenti».
L’Occidente non è riducibile alle sue attuali classi dirigenti politiche e intellettuali, che esprimono questa ideologia progressista, egemone da alcuni decenni. Galli della Loggia non è un caso isolato. Altri intellettuali lanciano segni positivi nella direzione della scoperta o riscoperta dei principi fondativi dell’Occidente. Sarebbe presuntuoso trascurare questi segnali, come se non fossero importanti. Di solito un uomo esprime in pubblico quel che sente nel suo cuore. Galli della Loggia ha sentito il bisogno di dire a tutti i suoi lettori che aveva maturato la decisione di prendere pubblicamente le difese dell’Occidente aggredito, in specie dello Stato di Israele, dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023.
Ma quello su cui vorrei riflettere in questa sede riguarda soprattutto le premesse indicate da Galli della Loggia, cioè la crisi dell’Occidente, causata dall’egemonia del progressismo. E’ un’affermazione importante di un intellettuale che è cresciuto in questo clima culturale, ha insegnato nelle università più importanti, ha scritto e scrive sul quotidiano più diffuso, appunto il Corriere. Ha reso pubblico (in realtà già da molto tempo) quello che hanno detto o scritto, e continuano a scrivere, anche Federico Rampini, Luca Ricolfi e altri. Sarebbe supponente rispondere a questo dato di fatto con un atteggiamento del tipo “noi l’avevamo detto 50 anni fa”. E’ vero, ma se a noi interessa “cambiare il mondo”, cioè favorire la conversione non solo religiosa, ma anche culturale delle persone come precondizione per cambiare il mondo, allora dobbiamo prendere atto che è adesso, qui e ora, anche grazie alla loro influenza, che i primi dubbi sul “politicamente corretto” e sull’egemonia del progressismo cominciano finalmente a serpeggiare in una parte (peraltro ancora molto minoritaria) dell’opinione pubblica.
Piuttosto concentriamoci sui contenuti. Il fallimento del progressismo è evidente. Si sta verificando qualcosa che assomiglia agli anni precedenti il 1989, quando si stava «esaurendo la forza propulsiva della Rivoluzione d’ottobre», come disse Enrico Berlinguer per esprimere come il comunismo non «scaldava più i cuori» e, dunque, non era più uno strumento adatto a fare la Rivoluzione.
Accadde quello che sappiamo: nel 1991 finì l’Unione Sovietica, ma non nacque un mondo migliore. Così oggi viviamo nella post-modernità, l’epoca dominata da quel relativismo assoluto o progressismo denunciato da Galli della Loggia. Proviamo a sintetizzare.
La democrazia amputata dal suo retroterra di cui scrive Galli della Loggia rimane un metodo da difendere certamente, ma che va continuamente rinnovato con quei valori che sono stati espulsi dal senso comune: una democrazia senza valori, scriveva san Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae, rischia di diventare pericolosa: «È vero che la storia registra casi in cui si sono commessi dei crimini in nome della “verità”. Ma crimini non meno gravi e radicali negazioni della libertà si sono commessi e si commettono anche in nome del “relativismo etico”. Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione “tirannica” nei confronti dell’essere umano più debole e indifeso? La coscienza universale giustamente reagisce nei confronti dei crimini contro l’umanità di cui il nostro secolo ha fatto così tristi esperienze. Forse che questi crimini cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?
In realtà, la democrazia non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità. Fondamentalmente, essa è un “ordinamento” e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere “morale” non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Se oggi si registra un consenso pressoché universale sul valore della democrazia, ciò va considerato un positivo “segno dei tempi”, come anche il Magistero della Chiesa ha più volte rilevato. Ma il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove: fondamentali e imprescindibili sono certamente la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei suoi diritti intangibili e inalienabili, nonché l’assunzione del “bene comune” come fine e criterio regolativo della vita politica» (Evangelium vitae, 1995).
Quello sollevato dalle parole di san Giovanni Paolo II è il grande tema della verità: se non crediamo che Cristo sia il Salvatore e la Chiesa il Suo popolo, se non siamo convinti che esista una legge naturale uguale per tutti, allora non convinceremo nessuno perché non siamo convinti noi stessi.
Galli della Loggia parte dal mancato sostegno a Israele dopo il 7 ottobre per denunciare, appunto, la sconfitta dell’Occidente, come recita il titolo del suo intervento, ripreso dalle pagine culturali del quotidiano milanese: Perché il 7 ottobre l’Occidente ha perso. Ha perso perché non ha più la sua identità originaria, che ha le sue radici nella tradizione giudaico-cristiana, senza le quali non riesce a comprendere neppure il valore della presenza di Israele nel Medio Oriente e a difenderlo da una aggressione enorme, come quella appunto voluta da Hamas il 7 ottobre 2023. Tuttavia, quei valori possono essere ripresi, non sono scomparsi per sempre, soprattutto non è scomparso il riferimento di quei valori, il Signore Gesù Cristo.
Allora cerchiamo di tirare le fila. Il progressismo ha fallito, ma ha lasciato macerie dietro l’egemonia esercitata soprattutto sulla cultura del nostro popolo, attraverso scuola, università, editoria ecc. Qualcuno ha cominciato ad accorgersi di questa situazione. Prendiamolo sul serio, incoraggiamolo, non lasciamolo solo.
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