«Al giornalismo – ha esordito Francesco – si arriva non tanto scegliendo un mestiere, quanto lanciandosi in una missione, un po’ come il medico». Un richiamo moralistico? Tutt’altro. Il Papa sta dicendo che il primo dovere del giornalista è la responsabilità: il che significa considerare l’interlocutore innanzitutto come un cittadino (e dunque titolare del diritto-dovere di informarsi), prima che un cliente. Distinzione, come ognuno intuisce, gravida di profonde conseguenze. In seconda battuta, papa Francesco invita chi lavora nei media a «spiegare il mondo», nel senso di «renderlo meno oscuro». Interpreto questo appello come il richiamo a mantenere sempre vigile una consapevolezza essenziale per chi fa informazione, ovvero che, come leggiamo nell’’Amleto’ di Shakespeare, «ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia ». Ci è chiesto, come giornalisti, di fare fino in fondo il nostro mestiere («pensare, meditare, approfondire, fermarsi per raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia», sottolinea Francesco), sempre però con la coscienza dell’estrema provvisorietà delle nostre analisi e delle conclusioni cui approdiamo.

Una sana sensazione di strutturale inadeguatezza davanti alla complessità del mondo e delle situazioni che siamo chiamati a raccontare, eviterebbe, a noi giornalisti, di cadere nella trappola di un narcisismo esasperato. Un pericolo sul quale il pontefice lancia l’allarme quando ricorda che «raccontare significa non mettere sé stessi in primo piano, né tantomeno ergersi a giudici». Semmai, sottolinea il Papa, se un obiettivo dobbiamo porci è «far sì che chi vi abita (nel mondo) ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia».

Trovo questo passaggio decisivo. Il rapporto tra media e pubblico vive oggi una doppia sfida. Da un lato, infatti, è in vistoso calo, con rare eccezioni, la credibilità del mondo dell’informazione (l’Edelman Trust Barometer segnala che secondo 3 italiani su 4 i giornali di casa nostra non stiano svolgendo adeguatamente in loro lavoro). Dall’altro, appare sempre più importante, in ordine al futuro della convivenza civile, che i media offrano un apporto costruttivo e alimentino la fiducia negli altri e nel futuro. Il che non significa affatto indulgere in una lettura edulcorata dei fatti, bensì proporre – come i lettori di questo giornale sanno bene – un racconto della realtà che, sebbene anche in chiaroscuro, non condanni fatalmente il pubblico al pessimismo e alla rassegnazione, ma, al contrario, aiuti a liberare energie positive della collettività.

A questo, in genere, si replica dicendo che da che mondo è mondo « only bad news are good news », ovvero che il male ‘tira’ più del bene e così via… ‘Avvenire’, ripeto, dimostra il contrario. E dopo aver tenuto il filo diretto per anni con i lettori della ‘Stampa’, anche Anna Masera, ormai ex public editor di quel quotidiano, ha annotato il 17 ottobre scorso: «Piace il giornalismo esplicativo e costruttivo. Un giornalismo che vada oltre gli allarmi e aiuti a trovare le soluzioni, la luce in fondo al tunnel». Papa Francesco rilancia: «Abbiamo tanto bisogno oggi di giornalisti capaci di trovare i tesori spesso nascosti nelle pieghe della nostra società». Un altro sguardo è possibile, e necessario.

Fonte: Gerolamo Fazzini | Avvenire.it