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Un no chestertoniano al taglio dei parlamentari

Leggere il grande GKC per capire che prima di spegnere la luce, bisogna avere un’alternativa. Altrimenti si rimane a discutere al buio

Egregio direttore, la mia iniziale posizione in merito al quesito referendario (sul taglio dei parlamentari, ndr) oscillava costantemente, sulla base di molteplici argomenti che avrebbero condotto ad esiti opposti. Alla fine si erano fatte spazio due considerazioni che, con tutte le riserve sul merito della “riforma”, mi inducevano ad astenermi o a votare sì.

Da un lato, vi era una sostanziale condivisione del giudizio espresso da alcuni esponenti politici (Renzi in particolare, se non sbaglio) in ordine al fatto che si tratti di riforma “inutile ma non dannosa”; risibile l’argomento legato al risparmio di spese ma a mio avviso esagerati i riferimenti ad una (ulteriore) perdita di rappresentatività del Parlamento: che i parlamentari rappresentino realmente un popolo o una sua porzione – anziché essere semplici pedine nelle mani delle segreterie di partito – mi sembra già ora assai dubbio, come testimoniato anche dalla “tranquillità” con la quale molti di coloro che hanno votato a favore di una riforma approvata con maggioranze “bulgare” oggi la vorrebbero bocciata, essendo mutate le convenienze.

Dall’altro – “ragionamento” (sono il primo ad usare il virgolettato) tutto politico – mi sembra che impegnarsi in una campagna per il no, il cui esito positivo appare molto improbabile, rischi di trasformare in una vittoria del M5s, ed in minor misura della Lega, quello che sin qui era visto come un passaggio scontato che andava a ratificare l’operato di quasi tutti i partiti.

Qualche giorno fa, tuttavia, mi sono trovato quasi per caso – meglio: per un altro scopo che nulla aveva a che vedere con il referendum – a rileggere l’introduzione di Eretici, di quel Chesterton che so essere letto ed apprezzato da molti lettori di questa rivista.

Mi consenta di trascrivere il passaggio che mi è parso immediatamente riferibile alla vicenda di cui parliamo:

«Supponiamo che, in strada, si crei un grande scompiglio per, mettiamo, un lampione che molte persone influenti vorrebbero abbattere. Un monaco di grigio vestito, che incarna lo spirito del Medioevo, viene interpellato sulla questione e comincia ad affermare, con il tono arido tipico dell’educatore: “Consideriamo innanzitutto, cari fratelli, il valore della Luce. Se la luce sia di per sé un bene…”. A quel punto, il monaco viene comprensibilmente messo al tappeto. Tutti si avventano sul lampione, che in dieci minuti viene divelto, e si congratulano l’un l’altro per la loro praticità, tutt’altro che medievale. Ma a lungo andare, le cose si complicano. Alcuni hanno divelto il lampione perché volevano la luce elettrica: altri perché volevano il ferro vecchio; altri ancora perché volevano l’oscurità, dal momento che avevano commesso azioni malvagie. Alcuni pensavano che quel lampione fosse inadeguato, altri che fosse eccessivo; alcuni hanno agito perché volevano distruggere un bene comunale, altri perché volevano semplicemente distruggere qualcosa. Di notte si scatena la guerra, tutti sferrano colpi alla cieca. Così, gradualmente e inevitabilmente, oggi, domani o il giorno dopo, riaffiora la convinzione che il monaco in fondo avesse ragione e che tutto dipenda dalla filosofia della Luce. Ma quello che avremmo potuto discutere alla luce del lampione, dobbiamo ora discuterlo nell’oscurità».

Ebbene, ritengo che l’abbattimento del lampione possa essere sostituito con la riduzione del numero dei parlamentari senza che la persuasività del discorso ne soffra.

Non basta una ampia condivisione su un obiettivo immediato – la riduzione del numero dei parlamentari – senza che vi sia una chiarezza ed una condivisione sui presupposti ideali della scelta e sulle finalità del “dopo”.

Se la riduzione è la semplice conseguenza di una svalutazione del ruolo del Parlamento e della democrazia rappresentativa – quale indubbiamente appare nella logica di movimenti per i quali il Parlamentare è un semplice “portavoce” di scelte formate altrove (sia una piattaforma digitale o un ristretto numero di dirigenti di partito) – non potrò mai votare sì perché, quand’anche non fossi contrario alla riduzione del numero di parlamentari, certamente sono contrario agli ulteriori passi che una tale scelta, quando mossa da tali posizioni “ideali”, nel tempo porterebbe necessariamente con sé.

Se si mira all’efficienza – e per inciso sarebbe interessante leggere, per chi voglia, le considerazioni che Chesterton, nel medesimo testo richiamato, svolge in ordine all’insistente richiamo all’efficienza – non si può evitare di prospettare ed approntare previamente gli strumenti perché la riduzione del numero dei parlamentari si traduca in una maggiore efficienza (non è dato di capire come, permanendo il bicameralismo perfetto, la riduzione delle persone chiamate a svolgere i medesimi compiti debba automaticamente portare ad una migliore efficienza o ad una maggiore rapidità) o in un miglioramento qualitativo dei parlamentari (quando tutto porta a pensare che i “pochi” rimasti saranno semmai proprio i nominati, tali non certo per competenze; del resto al “portavoce” non è richiesta alcuna competenza particolare).

Si tratta di approfondimenti che vanno fatti ed esplicitati prima che si abbatta il lampione.

In assenza di ciò credo che il No si imponga.

Un cordiale saluto

Stefano Cavallini

Caro Stefano, ai tuoi ragionamenti “chestertoniani” – che condivido – aggiungo qualche nota a margine. Non riesco a trovare tra i sostenitori del sì ragioni convincenti per votare il taglio. Non espongono motivazioni nel merito della questione, se non quella ideologica di lotta alla casta. È l’unica finora che è stata espressa perché l’idea che poi «si aprirà la stagione delle riforme», come ha detto ieri Nicola Zingaretti, è un puro auspico, essendo la legge elettorale per ora scritta sull’acqua. Non mi pare un caso, infatti, lo avrai notato anche tu, che a parte Luigi Di Maio (che si spende nella campagna solo per ragioni personali, per ritrovare un posto al sole), nessun leader di partito ci voglia mettere la faccia. Lo stesso Zingaretti lo fa con riluttanza, e sempre premettendo che è un taglio pasticciato. E avrai anche notato che i sostenitori del sì non si presentano ai dibattiti: mi pare un dato significativo del fatto che non hanno argomenti. Anche io, come te, non sono a priori contrario al taglio, a patto che mi spieghino “perché” vogliono farlo, “come” e “cosa” pensano di fare per rendere più efficiente il funzionamento di Camera e Senato. Se vogliono solo fare i teppisti e spegnere la luce del lampione, anche io, come te, dirò di no. (eb)

Fonte: Tempi.it

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