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Il tempo del raccolto: cosa c’è di bello nell’essere anziani?

Invecchiare è un’arte che richiede preparazione. Come ti stai preparando tu?

Non è che per il fatto di avere più anni si coltivino virtù nuove e migliori, ma se si è disposti a vivere in pienezza ogni tappa della vita ci sono virtù proprie di ogni periodo, che rendono ogni momento della vita qualcosa di unico e prezioso, insostituibile. Ed è soprattutto nella vecchiaia che ci viene concesso di raccogliere e godere quello che abbiamo seminato a tempo debito.

Il teologo Romano Guardini, nella sua opera sulle età della vita, mette in guardia contro la visione infantile di considerare preziosa solo la giovinezza. Attualmente, infatti, il modello di realizzazione personale sembra essere l’“eterno adolescente”, e così l’età adulta e ancor di più la vecchiaia sembrano tappe alle quali non si vuole arrivare e a cui non si vuole guardare, rendendole invisibili a livello sociale. Più grave per la società è quando gli stessi adulti e anziani non valorizzano la tappa che stanno vivendo e guardano ai più giovani con disprezzo e amarezza.

Il contatto con le persone anziane è sempre un confronto silenzioso con il nostro invecchiamento e le nostre paure. Chi rifiuta il proprio invecchiamento trasferirà questo rifiuto sulle persone che ora sono anziane, perché la vita dell’anziano è uno specchio di un futuro possibile e dell’inevitabile invecchiamento di ciascuno di noi. Chi riesce già da giovane ad accettare l’anziano con tutte le sue limitazioni in qualche modo valorizza le virtù proprie della vecchiaia e vede anche i suoi valori e le sue ricchezze. L’amore e il rispetto, la cura e la generosità nei confronti dei più deboli sono un modo di abbracciare la propria vulnerabilità.

Un periodo di accettazione

Una delle esperienze più liberatrici della vita è l’amore di accettazione, sapersi amati e accettati. Forse la più difficile da raggiungere è l’accettazione di se stessi, ma le difficoltà proprie dell’invecchiamento e l’esperienza di nuovi limiti ci obbligano a guardare dentro, a cambiare lo sguardo. Scriveva Guardini che molte cose che sembravano della massima importanza smettono di esserlo, mentre altre che sembravano insignificanti acquistano intensità e peso.

Per poter vivere le cose nuove bisogna morire a ciò che non è più; per aprirsi a ciò che viene bisogna abbandonare quello che non potrà più essere. Dice il filosofo ebreo Martin Buber che non si riesce a invecchiare in modo soddisfacente in un momento, ma bisogna prepararsi bene per questa tappa in cui si perdono molte cose e ci si deve distaccare da molte cose per potersi liberare interiormente. Per Buber il sapore perduto di quello che abbiamo vissuto in precedenza ci obbliga a ricominciare costantemente, con un orizzonte di speranza in quello che verrà.

Non è facile trovare una risposta ai dolori e alle perdite che comporta l’invecchiamento, ma tutte le testimonianze di chi vive la propria vecchiaia con allegria concordano sul fatto che la via migliore è l’accettazione di se stessi e della realtà per come ci si presenta. Vivere nella verità e partendo da questo riconciliarsi con se stessi accettando i propri limiti e guarire le ferite del passato in base all’esperienza dell’amore incondizionato di Dio, che ci spinge ad amarci con un nuovo sguardo, ci restituisce la pace. Il gesuita olandese Peter van Breemen insegna che la vita si può realizzare solo se ci accettiamo con tutto: con i nostri successi e i nostri fallimenti.

Ogni tappa della vita ha i propri compiti, il proprio incanto e la sua bellezza, così come pericoli e limiti, ma più la vita avanza, più si vedono chiaramente i suoi assi fondamentali. Herman Hesse ha scritto che “solo chi è pronto a partire e a peregrinare potrà eludere la paralisi che provoca l’abitudine… di fronte a nuovi spazi che dobbiamo percorrere, le chiamate della vita non finiranno mai per noi”.

Come ha insegnato Heidegger, l’uomo è un essere­per­la­morte, che non solo muore, ma sa che morirà e questo lo angoscia, perché la morte è l’unica possibilità presente in tutte le possibilità della sua esistenza. E ancor di più, la vita autentica è possibile solo quando non si nega la realtà della morte vivendo nella frivolezza, ma si vive con la consapevolezza del proprio essere finiti. Conoscere le proprie limitazioni è la possibilità di condurre un’esistenza autentica. Questa consapevolezza diventa più reale in particolare nella vecchiaia, e le domande sul senso della vita non sono più tanto facili da eludere.

Vivere la vita come dono

La solitudine

Per molte persone anziane, la solitudine è un dramma che arrivano a risolvere solo con grande difficoltà, soprattutto quando il coniuge è venuto a mancare. “Nessuno mi viene a trovare”, “Nessuno ha bisogno di me”, “Mi hanno dimenticato” sono espressioni ricorrenti.

Ci sono tuttavia testimonianze di persone che fanno fronte alla propria solitudine non cercando di sfuggirla, ma affrontandola direttamente, accettandola e trasformandola in un’opportunità di crescita interiore. Chi sa vivere la solitudine come un invito ad andare al di là dei propri limiti e a scoprire tesori dentro di sé ancora sconosciuti trova grande pace e vive la propria solitudine come una benedizione. Ci sono persone che approfittano della propria solitudine per renderla spiritualmente feconda e vivono i rapporti con gli altri con profondità e ricchezza, senza reclami o amarezze, con un cuore grato per l’opportunità di crescita che implica questa esperienza.

Le virtù della vecchiaia

“Come s’addice il giudicare ai capelli bianchi, e agli anziani intendersi di consigli! Come s’addice la sapienza ai vecchi, il discernimento e il consiglio alle persone eminenti! Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice, loro vanto il timore del Signore” (Sir 25, 3­-6)

Gli autori di spiritualità della tradizione ebraica e cristiana sostengono che per invecchiare bene bisogna coltivare alcune virtù proprie della vecchiaia. Tra queste possiamo trovare la pazienza, che nella sua origine greca (hipomoné) significa mantenersi saldi, resistere, ed è una virtù con cui gli anziani sostengono i giovani che nonostante le loro forze disperano e non sanno sopportare. I pazienti sono come colonne che sostengono quanti non sanno aspettare, sono persone che regalano speranza.

La benevolenza è un ampliamento del cuore, uno sguardo che non giudica e che regala misericordia perché accetta la fragilità nella propria storia personale. Le persone il cui cuore è diventato come una grande casa in cui tutti possono entrare senza sentirsi giudicati irradiano tenerezza e dolcezza quando si rapportano agli altri.

Una virtù più facile da coltivare nella vecchiaia è la libertà, perché le persone non hanno più bisogno di lasciarsi guidare dalle aspettative altrui ed esprimono le proprie opinioni senza timore. Non hanno bisogno di creare un’immagine, sono libere di essere chi sono davvero. Anche se si sentono più dipendenti a livello fisico, possono crescere in un’indipendenza interiore che in gioventù non è facile da raggiungere. Doversi distaccare da molte cose fa loro guadagnare la libertà per non attaccarsi a nulla. Non devono dimostrare niente! Seminano uno spazio di libertà laddove altri hanno paura di essere se stessi.

Coltivare un cuore grato determina la qualità della vita. La gratitudine ci fa vivere felici, mentre la lamentela ci secca interiormente. Goethe ha scritto che l’ingratitudine è sempre una forma di debolezza, e Cicerone diceva che la gratitudine non solo è la virtù più grande, ma è la madre di tutte le altre. Nella vecchiaia, la gratitudine è una luce sui ricordi, perché chi ha qualcosa per cui ringraziare ha un tesoro di cui nessuno lo potrà privare, neanche nei momenti di maggiore sofferenza.

Una virtù che oggi la società ha bisogno più che mai di ricevere è la serenità. Non un’indifferenza stoica, ma la capacità di vedere con maggiore profondità eventi e persone, di contemplare la realtà senza volerla cambiare lasciando che le cose si manifestino per come sono. La serenità è necessaria per poter conversare con profondità, per poter arrivare al cuore degli altri. La serenità è una consapevolezza matura del tempo e non si lascia trascinare da pressioni di alcun tipo.

Il teologo tedesco Karl Rahner era convinto del fatto che un compito importante degli anziani è quello di essere un ponte tra le generazioni e di mediare tra la vecchiaia e la gioventù, essendo appunto mediatori che insegnano a vedere la vita con maggiore apertura e più profondità. Gli anziani non devono vivere isolati, ma in mezzo alla società, offrendo la ricchezza della loro saggezza e delle loro virtù.

Molti dicono anche come la vecchiaia li abbia resi più sensibili agli altri, ai gesti quotidiani di attenzione e amicizia, e come abbiano acquisito una maggiore sensibilità per ringraziare per alcuni dettagli della vita che in altre tappe dell’esistenza passano inosservati. Un mondo che ha bisogno di compassione e tenerezza ha bisogno di uomini e donne che ci restituiscano la sensibilità nei confronti degli altri e della natura.

L’arte di invecchiare

Invecchiare è un dono, ma anche un compito. Accompagnare molte persone in varie tappe della vita mi ha confermato quello che mi hanno insegnato tanti anziani: che invecchiare è un’arte che richiede preparazione. Da bambini ci preparano per la nostra giovinezza, nella giovinezza ci prepariamo per la nostra vita adulta, ma non si parla molto – anzi, per niente – della preparazione all’invecchiamento.

Da poco tempo alcune imprese hanno iniziato a scoprire l’importanza dellaformazione pre­pensionamento per evitare tante crisi e depressioni di quanti non sanno cosa fare in una tappa chiamata “passività”. Altri iniziano a farlo di propria iniziativa quando cercano di trovare un senso a questo nuovo periodo della propria vita e provano molteplici vie per cominciare una vita nuova. Coltivare virtù che diventano più forti nella vecchiaia è un’arte che ci prepara ad essere forti interiormente quando ci indeboliamo a livello fisico.

“La vecchiaia si offre all’uomo come la possibilità straordinaria di vivere non per dovere, ma per grazia” (Karl Barth). È vero che la vecchiaia è il momento del ricordo grato, in cui si ha bisogno di narrare, di raccontare la propria storia per assumerla come dono, come grazia, come trasmissione di un’esperienza di fede, di speranza e d’amore, che a sua volta arricchisce la vita di altri. Il racconto può essere sempre l’occasione per benedire la vita altrui con fede e saggezza, con speranza e sensibilità.

La consapevolezza del fatto che è possibile una vecchiaia feconda e piena di dolcezza, pur tra le difficoltà proprie dell’età, ci fa cantare con il salmista “Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (Sal 92, 15)

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