Sopra La Notizia

Un triste summit

Un incontro fallito? Solo un trionfo diplomatico per Putin? C’è un problema a monte, il giudizio storico sull’Unione Sovietica.

 

C’è qualcosa di irrisolto, di mai affrontato che precede ogni valutazione relativa al summit fra i presidenti Trump e Putin, avvenuto in Alaska nel giorno dell’Assunzione al cielo di Maria, il 15 agosto. Questo qualcosa è bene espresso dalla maglietta con la scritta che rimanda all’Unione Sovietica con cui è arrivato in Alaska il ministro degli esteri russo, Lavrov. Credete voi che un ministro degli esteri vada a un appuntamento decisivo per le sorti del mondo senza decidere previamente che maglietta indossare? Certo, non era ancora l’incontro ufficiale (ci mancherebbe), ma Lavrov era comunque sotto i riflettori del mondo. Sarebbe come se il ministro degli esteri tedesco si presentasse a un meeting internazionale con una maglietta raffigurante una svastica del Terzo Reich. Sarebbe normale? Vi immaginate le reazioni internazionali?

Il problema irrisolto è appunto l’Unione Sovietica. Non c’è mai stato nulla a livello internazionale che assomigli lontanamente al processo di Norimberga, con cui vennero giudicati i dirigenti nazionalsocialisti. Ma non solo da un punto di vista giuridico (sul quale ci potrebbero essere legittime obiezioni), ma dal punto di vista storico e ideologico. Il costo umano del comunismo (D’Ettoris, 2017) è il titolo di uno splendido lavoro di ricostruzione storica di un grande storico inglese, Robert Conquest (1917-2015), e di altri. Ma queste analisi e i numeri spaventosi degli assassinii perpetrati dal comunismo in Europa e nel mondo non sono mai stati considerati un dato storico pacificamente riconosciuto dalle classi dirigenti europee, né a livello politico né a livello intellettuale. Pochi mesi fa, in televisione, Paolo Mieli chiedeva ad altri giornalisti come mai in Italia le stragi delle BR non venissero mai definite “comuniste”, come a proteggere ideologicamente l’ideologia di Marx e Lenin (e di Togliatti).

Tantomeno una riflessione pubblica è avvenuta in Russia, dove, dopo il periodo eltsiniano degli Anni ‘90, si è cominciato addirittura a rimpiangere pubblicamente l’URSS e ad affermare, con la celebre frase di Putin, che «la fine dell’Unione Sovietica è stata la più grande catastrofe del XX secolo». Chi ha voluto ricostruire una memoria storica delle atrocità comuniste, come l’associazione Memorial, è stata messa fuori legge dalla Corte suprema russa nel 2021.

Non c’è allora da stupirsi se un ministro russo compaia in pubblico mostrando la scritta CCCP, che appunto in cirillico rimanda all’URSS, con l’evidente intenzione di esaltarne la storia, come del resto ha fatto Putin durante il suo intervento alla conferenza stampa finale in Alaska.

Ma in Occidente la storia dell’URSS sembra non interessare più, il costo umano del comunismo è diventato un tema dell’antichità e così la ricostruzione storica viene fatta soltanto da chi, come Putin, ne comprende l’importanza fondamentale per dare un obiettivo alla politica che non sia soltanto legato agli affari.

Di soli affari sembra invece volersi occupare il presidente Trump. Ma con chi, e a che prezzo? Sono solo domande, le mie: al momento non ho risposte convincenti.

Ho ascoltato l’insolita conferenza stampa conclusiva del summit fra i due presidenti, Trump e Putin, ho letto i primi commenti, fra cui quello di Federico Rampini, solitamente equilibrato e documentato. Certo, bisogna aspettare per capire, attendere le risposte dei capi di Stato e di governo europei e soprattutto del presidente Zelensky. Confido veramente nel fatto che la solennità del giorno, la festa dell’Assunzione di Maria, risparmi a Russia e Ucraina una ulteriore perdita di soldati e la fine degli attacchi missilistici e coi droni sulle città ucraine, che uccidono ogni notte centinaia di civili da tre anni e mezzo. Confido che la Madonna faccia il miracolo del ritorno in patria delle migliaia di bambini ucraini rapiti dai russi, come sembra sia stato richiesto anche dalla moglie di Trump, la first lady Melania, in una lettera che sarebbe stata consegnata dal marito a Putin.

Tuttavia, rimane in me un grande punto interrogativo circa il risultato del summit, come penso accada a molti altri. Trump voleva un cessate il fuoco e ha detto che sarebbe stato deluso se non l’avesse ottenuto. Ma il summit si è concluso senza alcun cessate il fuoco, perché Putin preferisce un accordo di pace più completo (così ha detto Trump durante la conferenza stampa conclusiva, senza che i giornalisti avessero la possibilità di fare domande). L’impressione di molti osservatori è che il veterano del KGB sia riuscito a “prendere in giro” il tycoon, che gli ha permesso di continuare ad avanzare militarmente in Ucraina e di presentarsi sul suolo americano come un grande amico e alleato dell’America, nonostante un mandato di cattura internazionale. Infatti, Putin ha concluso il summit parlando prima di Trump e ricordando l’amicizia e la collaborazione fra i due Paesi nella guerra comune durante la Seconda guerra mondiale e, soprattutto, gli “affari” che insieme potrebbero fare se superassero le incomprensioni del periodo della Guerra fredda e di quello recente, quando dopo la collaborazione nella lotta contro il terrorismo negli Anni ‘90 e nei primi anni 2000, è ritornato il gelo fra le due potenze.

A quel tempo bisogna tornare, per capire come mai da Pratica di mare, il paese dove nel 2002 avvenne la «fine della Guerra fredda», con la stretta di mano fra Putin e Bush, secondo le parole dell’allora presidente del consiglio italiano, Berlusconi, si è passati al tentativo di ricostruire l’Unione Sovietica, quindi all’occupazione militare della Crimea nel 2014 e alla guerra esplicita, con l’invasione dell’Ucraina del 2022.

Trump vuole il Nobel per la pace e per questo sta cercando di affrontare e risolvere i diversi conflitti internazionali, come la pace siglata a Washington fra Armenia e Azerbaigian in questo stesso mese di agosto. Nobile proposito. Tuttavia la pace non può essere autentica, se a scapito di verità e giustizia.

Putin ha parlato dell’alleanza fra Usa e Urss durante la Seconda guerra mondiale, ma non della Guerra fredda. Ha detto che la crisi del 2022 nasce dal rischio della perdita della sicurezza per la Russia. Ha anche accennato (bontà sua) alla sicurezza per l’Ucraina in un eventuale prossimo accordo di pace.

Si è così aperto «uno spiraglio di pace», come ha detto Giorgia Meloni? Noi possiamo soltanto sperarlo e pregare per la pace e per la libertà dell’Ucraina. Ma ci sono tuttavia domande che non possiamo non porre, anche se non conosciamo i retroscena dell’incontro in Alaska:

  1. L’Ucraina non vuole diventare come la Bielorussia. E’ legittimo che un popolo considerato “fratello” dalla Russia (come ha detto Putin durante la conferenza stampa) voglia entrare nella Ue e perché no nella Nato? E se per ragioni di prudenza e cortesia nei confronti della Russia si optasse per la rinuncia all’adesione alla Nato, quali reali garanzie potrebbe avere l’Ucraina di non subire una nuova aggressione militare?
  2. Ottima cosa separare la Russia da Cina e Corea del Nord, oltre che dall’Iran. Ma il summit aveva questo obiettivo, come qualcuno ha ipotizzato? E si può pensare di raggiungerlo permettendo alla Russia di continuare l’invasione di un Paese che vorrebbe stare con l’Europa?
  3. Nell’attesa di un piano complessivo per la pace, come auspicato da Putin e subìto da Trump, che avrebbe voluto almeno un “cessate il fuoco”, si può spingere perché ritornino in Ucraina nelle rispettive famiglie i 19.500 bambini ucraini rapiti dalle truppe russe (ne sono stati restituiti finora meno di 1.500)?

Fonte: Marco Invernizzi | AlleanzaCattolica.org

Newsletter

Ogni giorno riceverai i nuovi articoli del nostro sito comodamente sulla tua posta elettronica.

Contatti

Sopra la Notizia

Tele Liguria Sud

Piazzale Giovanni XXIII
19121 La Spezia
info@sopralanotizia.it

Powered by


EL Informatica & Multimedia