I recenti dati di Moneyfarm parlano di un costo complessivo medio di 156.000 Euro per far crescere un figlio da 0 a 18 anni. Ma perché questo costo così rilevante deve rimanere a carico prevalente dei genitori, e non essere sostenuto e condiviso anche dalla collettività? In fondo un figlio non è solo una “libera scelta privata”, ma è un bene comune.
I recenti dati di Moneyfarm sul costo dei figli sono una preziosa occasione per qualche riflessione più generale, che consenta di uscire dalla semplice valutazione economica. Le stime proposte parlano di un costo complessivo medio di 156.000 Euro per far crescere un figlio da 0 a 18 anni, con una forbice molto ampia tra un minimo di 107.000 e un massimo di 205.000 Euro, secondo il livello di reddito o lo status socio-economico della famiglia. In media circa 8.500 Euro all’anno, cifra non molto lontana dai dati Istat e Neodemos di qualche anno fa, che parlavano di 645 Euro al mese. Naturalmente i costi variano in modo significativo anche nel corso degli anni, inseguendo i bisogni dei figli, evidentemente molto diversi tra 0, 10 e 16 anni. Un conto è comprare il lettino e i biberon, un conto è dover provvedere all’acquisto di un cellulare, vestiti, attività sportive ecc. Queste riflessioni conducono però ad un primo elemento cruciale, che troppo spesso viene dimenticato: i costi medi dicono poco, mentre è importante evidenziare le forti differenze tra famiglia e famiglia: chi ha redditi più elevati può spendere di più, offrendo ai propri figli opportunità migliori, mentre a redditi bassi corrispondono costi (e spese) più bassi, mentre i bisogni evolutivi dei figli sono sostanzialmente uguali. Quindi è certamente necessario intervenire per sostenere i genitori di fronte al costo dei figli, proprio per prevenire le disuguaglianze di base attraverso sostegni economici: altrimenti, affidare al ”libero mercato della natalità” la promozione di nuove nascite non farà che aumentare la forbice tra i più ricchi e i più poveri: i primi avranno “spazi di manovra” nei propri redditi per prodotti di migliore qualità, per un anno all’estero, per una visita medica in più; i più poveri dovranno invece necessariamente “comprimere” le spese per sé e per il figlio, alla sua nascita (e magari non riusciranno nemmeno a decidere di accogliere un figlio – o un figlio in più).
Un altro elemento confermato dai dati Moneyfarm è la nuova criticità dei costi quando i figli sono più di uno: l’efficacia di “economie di scala” (sicuramente presenti) è stimata infatti molto meno rilevante di un tempo. Per capirci: è vero che quando metto i piatti a tavola, una persona in più costa relativamente poco, e che magari uso lo stesso passeggino anche per il secondo figlio: però è molto meno vero di un tempo che ci si possono passare i vestiti, e alcuni costi sono diventati realmente “individuali” (il telefonino, le attività sportive, ecc.). Moneyfarm stima un costo aggiuntivo, per il secondo figlio, pari a circa il 70/80% rispetto al primo, nell’arco dei 18 anni: ben diverso dagli algoritmi che guidano il coefficiente familiare dell’ISEE, che aggiunge, per un figlio aggiuntivo, un coefficiente di circa il 40%. Insomma, costano l’80% in più, ma l’ISEE stima questo costo aggiuntivo solo al 40%. Una sostanziale riforma dell’ISEE si conferma quindi urgente e fondamentale, per non penalizzare ulteriormente quei genitori che hanno addirittura “osato” mettere al mondo un figlio in più. Del resto, se il crollo della natalità è riconosciuto ormai come una criticità del sistema Paese nel suo complesso, perché conservare un indicatore così avaro di protezioni per le famiglie più numerose?
Potremmo così concludere, un po’ provocatoriamente: ma perché questo costo così rilevante deve rimanere a carico prevalente dei genitori, e non essere sostenuto e condiviso anche dalla collettività? In fondo un figlio non è solo una “libera scelta privata”, ma è un bene comune, è la possibilità, per un popolo e per un Paese, di costruire il proprio futuro, e i costi per la sua crescita non sono “spese private”, ma investimenti di rilevanza pubblica. Per questo è ormai tempo che le politiche economiche di sostegno alla natalità divengano consistenti e strutturali, per tendere a coprire in modo rilevante questi 8.500 Euro annui che ogni genitore deve mettere in conto, almeno per 18 anni – e spesso anche per molti anni in più.
Fonte: Francesco Belletti* | FamigliaCristiana.it
*direttore del Cisf