Per aumentare le entrate, potenziare gli strumenti di fundraising è certamente una via da percorrere per le paritarie (anch’essa, purtroppo, non senza costi). Battersi perché lo Stato si faccia carico in prima persona degli stipendi del corpo docente e del personale delle scuole paritarie, come già avviene in quasi tutti i 27 Paesi Ue, è un’altra strada.
Nel frattempo, il mondo associativo della scuola paritaria, a sigle riunite, una trentina, è tornato a chiedere a gran voce l’adozione di un “buono scuola” nazionale. Ne hanno fatto, con un convegno in Regione Lombardia prima dell’estate, se non già una vera e propria battaglia sociale, almeno una pressante azione culturale e politica affinché venga rilanciato il diritto civile alla libertà di scelta educativa.
Non è una rivendicazione di parte, non è il tentativo donchisciottesco di difendere un privilegio, ma un’esigenza condivisa da molte famiglie e, sempre per dirla con la Costituzione, da tante «formazioni sociali» della più disparata provenienza. La scuola libera non può essere una riserva indiana né vuole diventare una scuola d’élite. Il suo compito, la sua missione, è ed è destinato a restare eminentemente inclusivo. Per questo la partita della scuola libera andrebbe giocata da tutti. È un bene per tutti, forse il più prezioso. E in quanto tale andrebbe difeso da tutto il Paese.
Fonte: Matteo Rigamonti | Clonline.org