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La piena libertà è ancora lontana

Dal 2000 la parità scolastica è stata introdotta nell’ordinamento italiano. Ma sulle scuole non statali continua a gravare una profonda disuguaglianza di trattamento

Da quando la parità scolastica è stata introdotta nell’ordinamento con la legge 62/2000 (la riforma Berlinguer, dal nome del ministro dell’Istruzione che la attuò), l’attenzione sulle risorse pubbliche assegnate alla scuola paritaria è cresciuta parecchio. Anche perché da ciò dipende che il pluralismo educativo sia reale in Italia e la possibilità di scegliere garantita. L’esborso dello Stato per l’istruzione nel 2022 è stato di 79 miliardi di euro, mentre le paritarie ricevono 753 milioni di euro. La quota maggiore di tali stanziamenti finanzia un fondo “storico” da 500 milioni, sostanzialmente stabile da quindici anni e confermato dal Governo in carica, ripartito, secondo una stima della CdO Opere Educative, in 300 milioni alla scuola dell’infanzia, 170 alla scuola primaria e 30 alla scuola secondaria di primo e secondo grado. A tale fondo si aggiungono 163 milioni di euro a sostegno delle necessità degli alunni con disabilità (aumentati di 50 milioni dall’attuale esecutivo) e ulteriori 90 per l’infanzia. C’è la possibilità, per i genitori, di detrarre il 19% delle spese di istruzione non universitarie su un massimo di 1.000 euro (fino al 2024 l’importo massimo su cui applicare tale detrazione era di 800 euro); misura che può arrivare a produrre un risparmio fiscale di 190 euro l’anno a fronte di rette da migliaia di euro. Una possibilità di aiuto in più è offerta dai voucher regionali. Gli esempi più virtuosi sono quelli di Lombardia, Veneto e Piemonte, dove la presenza delle paritarie è particolarmente rilevante. In Lombardia vengono stanziati 33,5 milioni di euro con la Dote scuola, mentre in Veneto l’erogazione per il 2024/25 è di 3 milioni di euro con il Buono scuola. In Piemonte la spesa è di 6,5 milioni di euro.

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Nonostante le risorse esigue, la scuola paritaria sfiora il 10% del totale degli studenti italiani (790.460 alunni su 7.984.860 nell’anno scolastico 2023/24). Un dato che ne conferma l’importanza nel sistema nazionale d’istruzione, garantendo così per molte famiglie la possibilità di esercitare il diritto-dovere all’istruzione sancito dall’articolo 30 della Costituzione. Tra gli iscritti alle scuole paritarie, il 54,8% frequenta la scuola dell’infanzia (433.583), il 19,6 la primaria (155.248), l’8,8 la secondaria di primo grado (69.345) e il 16,8 quella di secondo grado (132.284). Al netto dell’andamento della demografia in Italia, è curioso notare come, nell’ultimo decennio, sempre secondo la CdO Opere Educative, il calo del numero di iscritti alle scuole paritarie dell’infanzia (-30%) e primaria (-17%) è in linea con la diminuzione degli iscritti alle medesime scuole statali (rispettivamente -23% e -16%). Tendenza diversa, invece, nella scuola secondaria, dove gli alunni delle paritarie aumentano del 5% alle medie e dell’11% alle superiori; viceversa, si registra un -9% nelle medie statali e nessuna variazione nelle superiori. E questo avviene nonostante alcuni istituti paritari secondari abbiano chiuso (-7% di medie e -2% di superiori). Più elevate le chiusure di istituti per l’infanzia (calati del 17%) e alla primaria (-11%) nel medesimo periodo.

Come si spiega questa tenuta? Secondo il Quarto monitoraggio sulla qualità della scuola cattolica in Italia (la quale rappresenta il 65% delle scuole paritarie), elaborato dal Centro studi per la scuola cattolica della Conferenza episcopale italiana in riferimento all’anno scolastico 2021/2022, è la «qualità della proposta educativa e didattica» a spiegarne la tenuta, nonostante le difficoltà economiche che ogni giorno gli istituti devono affrontare sia per la scarsità di fondi pubblici sia perché le famiglie hanno meno soldi per poter scegliere liberamente e secondo coscienza quale tipo di istruzione dare ai figli. Specie quando non hanno famiglie di origine alle spalle che possano dare una mano.

Nonostante l’aumento dei costi gli istituti paritari reggono: vi si iscrive uno studente su dieci. Secondo l’ultimo monitoraggio sulla qualità della scuola cattolica, il punto forte è «la qualità della proposta educativa e didattica»

Il costo medio di uno studente in Italia è certificato dal ministero dell’Economia per ancorarvi i criteri in base ai quali attribuire i contributi alle paritarie: esso è pari a circa 7.500 euro alle superiori, 6.700 euro all’infanzia e alle medie, 8.500 euro alle elementari. Tale spesa è interamente a carico delle casse pubbliche per gli alunni delle statali. La situazione si rovescia nelle paritarie, dove ogni studente riceve dallo Stato circa 950 euro più altri 200 scarsi sotto forma di detrazioni: il resto ricade sulle famiglie e sulle scuole. È una discriminazione macroscopica.

Altro versante su cui la scuola paritaria rischia di subire crescenti diseguaglianze di trattamento è quello degli stipendi dei docenti e dei presidi. Se nella statale, infatti, essi sono garantiti dal contratto collettivo, nelle paritarie dovrebbero esserlo da almeno tre fattispecie contrattuali, a seconda della tipologia di scuola, che però, soprattutto per quanti sono a inizio carriera, non è detto riescano a tradursi in buste paga egualmente competitive. In genere chi insegna alle paritarie a fine mese guadagna da 200 a 400 euro meno dei colleghi stipendiati dallo Stato. E non dimentichiamo che quei docenti, tante volte, sono loro stessi padri e madri che devono a loro volta iscrivere uno o più figli alla scuola.

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Insomma, aprire o provare a tenere aperta una scuola paritaria in Italia è un’impresa vera e propria: impresa sociale, certamente, ma anche sfida imprenditoriale a 360 gradi che richiede lungimiranza e competenze. Alle energie e risorse necessarie per la gestione ordinaria, la formazione continua relativamente alla programmazione didattica e il sostegno agli alunni con bisogni educativi speciali e disturbi specifici dell’apprendimento, si aggiungono ostacoli sempre nuovi. Non si tratta solo di imprevisti. Basti pensare a quell’enorme spada di Damocle che ancora pende sulla testa dei gestori e va sotto il nome di Imu, la tassa sugli immobili. L’esenzione da questa imposta, per le paritarie, dipende da quanto deciderà l’Unione Europea a riguardo. Il ministro Giuseppe Valditara l’ha chiesta ma la risposta positiva non è scontata.

Di certo, le scuole statali non devono preoccuparsi di aggiungere a bilancio questa ingombrante voce. Va ricordato che l’articolo 33 della Costituzione pone un principio di non discriminazione: «La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare a esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali».

Per aumentare le entrate, potenziare gli strumenti di fundraising è certamente una via da percorrere per le paritarie (anch’essa, purtroppo, non senza costi). Battersi perché lo Stato si faccia carico in prima persona degli stipendi del corpo docente e del personale delle scuole paritarie, come già avviene in quasi tutti i 27 Paesi Ue, è un’altra strada.

Nel frattempo, il mondo associativo della scuola paritaria, a sigle riunite, una trentina, è tornato a chiedere a gran voce l’adozione di un “buono scuola” nazionale. Ne hanno fatto, con un convegno in Regione Lombardia prima dell’estate, se non già una vera e propria battaglia sociale, almeno una pressante azione culturale e politica affinché venga rilanciato il diritto civile alla libertà di scelta educativa.

Non è una rivendicazione di parte, non è il tentativo donchisciottesco di difendere un privilegio, ma un’esigenza condivisa da molte famiglie e, sempre per dirla con la Costituzione, da tante «formazioni sociali» della più disparata provenienza. La scuola libera non può essere una riserva indiana né vuole diventare una scuola d’élite. Il suo compito, la sua missione, è ed è destinato a restare eminentemente inclusivo. Per questo la partita della scuola libera andrebbe giocata da tutti. È un bene per tutti, forse il più prezioso. E in quanto tale andrebbe difeso da tutto il Paese.

Fonte: Matteo Rigamonti | Clonline.org

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