«Che cosa posso fare davanti a tanta guerra?»: è la domanda di tutti in questo momento storico. «Il senso di impotenza nasce dalla sproporzione tra l’imponenza delle atrocità oggi sotto gli occhi di tutti e l’esiguità di ciò che possiamo “fare” per cambiare il corso degli eventi. Ma la percezione di debolezza deve evitarci di scivolare nell’immobilismo, nella rassegnazione, nella disperazione». Con queste intenzioni, mons. Erio Castellucci scrive la sua lettera pastorale «“Cristo è la nostra pace”, disarmata e disarmante», per «tracciare alcuni sentieri di pace per noi cristiani delle Chiese di Modena-Nonantola e Carpi, a partire dalla Pace in persona, Cristo morto e risorto».
Un duplice ascolto
La lettera nasce da un duplice ascolto. Il primo è quello di alcuni giovani. «Marìam, palestinese di vent’anni, vive nel territorio di Gaza. David, ebreo diciassettenne, abita e studia a Tel Aviv. Maksìm, ucraino di ventiquattro anni, risiede con la sua famiglia a Odessa. Vasily, ventinove anni, è russo e lavora a San Pietroburgo. Raja, birmana ventitreenne, studia nelle Filippine; e Yasmin, sudanese di ventidue anni, alloggia in uno studentato al Cairo. Non hanno nulla in comune, se non due cose: sono cristiani cattolici in paesi dove la Chiesa è una piccola minoranza, e vivono in zone pesantemente colpite dalla guerra».
La prima parte della lettera rilegge il dramma della guerra a partire dalle loro domande: la scelta di iniziare un documento ecclesiale con lo sguardo dei giovani rivela una precisa scelta pastorale.
Il secondo ascolto è frutto di quattro incontri estivi diocesani: «Tutte queste persone, adulti e bambini, giovanissimi e giovani – piccola ma significativa fetta delle nostre due diocesi – sono solo la punta dell’iceberg di un popolo intero che dovunque soffre le guerre, cerca la pace, si chiede come noi cristiani possiamo contribuire a costruirla. Un impegno sostenuto quotidianamente da singoli, famiglie e gruppi; portato avanti nel concreto dalle comunità cristiane e civili, concentrate su tanti “fronti di pace”».
L’introduzione denuncia senza mezzi termini il dramma della guerra. «L’impegno per la pace non è di destra o di sinistra: è semplicemente un dovere. La manipolazione politica che purtroppo, specialmente nel nostro Paese, riesce ad infiltrarsi in ogni angolo, anche dentro le comunità cristiane, corrode e guasta l’impegno condiviso per la pace. Ogni guerra, soprattutto “la guerra” per antonomasia, che è quella armata, corrode tutte le dimensioni dell’essere umano e tende semplicemente alla distruzione. Per questo ogni persona e ogni popolo dovrebbe essere contro la guerra, a prescindere dalla visione religiosa, politica o ideale che abbraccia. Chiunque sia a favore della vita, in ogni sua fase, deve essere contro la guerra, senza trovare alcun motivo di giustificazione per essa».
In un secondo passaggio, è descritto il realismo cristiano, che riconosce, nella natura umana, creata buona da Dio, la presenza di un’inclinazione al male. «Anziché, dunque, un pacifismo utopistico, la concezione cristiana della pace fa i conti con la realtà del peccato presente negli esseri umani, e ammette la possibilità di difendere e difendersi contro un ingiusto aggressore. Solo a questo scopo di difesa, sia personalmente sia come Stato, è legittimo utilizzare – come ultima possibilità – anche la forza, e in extremis perfino le armi di difesa, a tutela di coloro che altrimenti sarebbero sopraffatti dai violenti, i quali finirebbero per spadroneggiare».
Il problema nasce quando i limiti della difesa armata sono infranti, innescando un meccanismo di odio che non si arresta. Da qui prende avvio una corsa al riarmo: «Un riarmo massiccio, come quello che negli ultimi mesi sta tentando persino l’Europa, serve solo ad aumentare la tensione e preparare nuovi conflitti. E risponde a logiche di profitto che finiscono per calpestare, di nuovo, i deboli».
Chi può fermare questa corsa mortale? Il vescovo Erio ricorda, con una precisa ricostruzione storica, la presenza dell’ONU, di cui emerge, proprio in quest’ora, la grande debolezza: «Nonostante tutto, si deve evitare ad ogni costo la rassegnazione: questo organismo mondiale, con le sue articolazioni, se debitamente riformato, rappresenta oggi la maggiore opportunità per ridurre la corsa agli armamenti e i conflitti che ne seguono, con tutte le miserie connesse: povertà, fame, violenze, distruzione del creato».
Cinque azioni alla portata di tutti
Dopo queste premesse, chiare e forti, il cuore della lettera sta nel «pentagono della pace»: Papa Leone indica cinque azioni alla portata di tutti:
1) sdegnarci e alzare la voce;
2) favorire il dialogo;
3) pregare e intercedere;
4) rimboccarci le maniche e aiutare;
5) testimoniare e rimanere fedeli a Gesù.
«Cinque azioni: un pentagono che, a differenza di quello statunitense, ormai sinonimo di strategia bellica, è un pentagono di pace. Nessuno dei suoi cinque lati per un cristiano è trascurabile. È un pentagono che costituisce, del resto, il tessuto quotidiano dell’azione ecclesiale, quella che chiamiamo “pastorale” delle nostre comunità».
- Primo, sdegnarci e alzare la voce: il disarmo delle coscienze. Contro un’anestesia emotiva che sta conquistando il mondo, il testo ricorda la curiosa espressione della tradizione cristiana, la “santa indignazione”, da non confondersi con un semplice fuoco di paglia. Piuttosto è una “brace”, che arde costantemente, ed è risposta alla pace che Gesù porta: non l’apatia e l’insensibilità (l’essere lasciato in pace), ma la spada, che trafigge l’indifferenza e la comfort zone.
- Secondo, favorire il dialogo: il disarmo delle parole. Né il mettere tra parentesi le diversità, né il fondamentalismo che ostenta identità sono generatori di pace. Entrambi soffrono la stessa carenza di maturità e mancano di interesse per il dialogo. L’identità cristiana è per sua natura aperta: l’incarnazione del Figlio con ogni essere umano, permette di vedere in ciascuno l’impronta del Padre creatore e dà occhi per riconoscere l’azione dello Spirito, che regala ovunque i suoi frutti. Il Credo ha nella sua struttura portante i fondamenti del dialogo. «L’annuncio cristiano si innesta quindi dando e ricevendo (Gaudium et spes 43-45), in un dialogo che dichiara esplicitamente i propri fondamenti».
- Terzo, pregare e intercedere: il disarmo delle anime. Le Scritture bibliche ricordano che la pace va invocata. Ma a che serve pregare? La preghiera disarma le anime. «Il primo effetto della preghiera per la pace è proprio quello di curare le ferite di chi si rivolge al Signore: perché avverte che non ha senso invocare la pace se non la accoglie prima di tutto dentro di sé. I discepoli di Gesù sanno che la preghiera non è un esercizio facile: non tanto per l’attenzione mentale che richiede, quanto per la verifica esistenziale che attiva. L’orazione cristiana è diversa dalla meditazione, pure utile e necessaria; è risposta a Dio, che – in quanto tale – prende le mosse dalla sua Parola». La sua forza nasce dalla comunione tra i discepoli; culmina nella più grande invocazione per la pace, quella dell’eucaristia.
- Quarto, rimboccarci le maniche e aiutare: il disarmo delle mani. L’educazione alla nonviolenza si concretizza nell’agire individuale, ma anche in quello in rete, «entrando in associazioni, fondazioni o altri enti, il cui scopo è quello di soccorrere le vittime delle guerre. La rete è anche quella delle comunità cristiane, sia cattoliche sia ortodosse e protestanti, che spesso attivano strutture di accoglienza e di assistenza. E poi tutti, nella società democratica, possiedono “l’arma pacifica” del voto, con il quale è possibile orientare le politiche locali e nazionali al dialogo, all’accoglienza e alla pace». Per questo è necessario attivare in ogni diocesi percorsi di educazione alla nonviolenza, come papa Leone ha chiesto ai vescovi italiani.
- Quinto, testimoniare e rimanere fedeli a Gesù: il disarmo dei cuori. Più che della guerra preventiva, che non ha nessun fondamento nel diritto internazionale, c’è bisogno della «pace preventiva», che nasce dal mandato di Gesù e che i discepoli donano senza aspettare la reazione. Ogni ambiente di vita può educare alla pace, come già accade in tanti «santi della porta accanto»: il testo in particolare ricorda il beato Odoardo Focherini e don Elio Monari, oltre a san Francesco. «Non c’è pace senza perdono: e il perdono richiede, allora come oggi, la mediazione dei santi».
Il testo della lettera, approfondito da molte citazioni bibliche e dal pensiero di papa Francesco e di papa Leone, offre un quadro contemporaneo e sperimentabile per chi desidera, credente e non, impegnarsi oggi per la pace, a partire da Colui che per la pace ha dato la vita sulla Croce.
Fonte: Rolando Covi | Settimananews.it