Come 50 anni fa c’è chi semina odio. Bisogna evitare di cadere in una trappola mortale
Erano molto diversi: uno studente liceale colpevole di essere anticomunista, l’altro un militante conservatore, reo di mettere in crisi i suoi interlocutori di sinistra con il dialogo, che offriva a tutti. Uno un ragazzo, l’altro un giovane padre di famiglia, uno italiano l’altro americano. Entrambi, però, avevano in comune una ferma e coraggiosa opposizione al “sol dell’ avvenire”, al socialcomunismo considerato inevitabile, ma che non avevano mai accettato. Entrambi avevano rifiutato di cedere senza combattere alla violenza dell’ideologia e così si sono schierati, hanno preso posizione pubblicamente, si sono esposti all’odio.
L’odio. Chi ha vissuto in Italia negli Anni di piombo lo ha assaggiato. Ti penetrava dentro, quando entravi a scuola e venivi guardato come un nemico, quando la sera tornavi a casa e facevi diversi giri dell’isolato prima di parcheggiare, quando la mamma ti raccomandava di portare il casco mentre uscivi di casa per andare a scuola. Penso che sia lo stesso odio che ha ucciso questo grande militante conservatore americano, che cercava di convincere il suo prossimo ad amare la vita e la famiglia, la patria e la giustizia, che certamente non odiava quelli che invitava ai suoi contraddittori, sempre pubblici e pacifici.
L’odio ti mangia dall’interno, se non stai attento. Se non sei capace di rispondere con l’amore all’odio che respiri in una società ammalata rischi di entrare in una spirale perversa, dalla quale non si riesce più a uscire.
L’odio cresce e ritorna, anche in Italia. Certamente cresce in America, come dicono i testimoni e tutti i servizi giornalistici, non soltanto di questi giorni, ma da anni. Ma rischia di tornare al livello degli Anni di piombo anche da noi, se non viene curato e fermato. Del resto, non si seminano disprezzo e rifiuto dei valori che hanno fondato una civiltà della verità e dell’amore senza conseguenze. La civiltà cristiana dei secoli della fede ha tenuto fin che ha potuto sotto gli attacchi delle diverse rivoluzioni, dal XVI secolo in poi. Non era certo il Paradiso in terra, ma evocava valori che in qualche modo penetravano nel senso comune delle popolazioni: il male c’era eccome, ma non veniva giustificato o addirittura esaltato.
Così non è più accaduto dopo il trionfo delle ideologie. L’odio è diventato protagonista: si può uccidere, ma esaltare l’omicidio di Sergio Ramelli, come è avvenuto per decenni, o di Charlie Kirk oggi, come si legge da tanti resoconti di questi giorni, significa avere superato un confine.
Oltre quel confine c’è soltanto la guerra. Una guerra terribile, non solo per bande come ai tempi di Ramelli, o per iniziativa di singoli assassini in un campus universitario, ma la guerra vera e terribile, come quella dell’esercito russo in Ucraina, a cui ci stiamo abituando senza esserci mai nemmeno indignati per un giorno. Siamo vicini alla guerra civile in Usa? Che fine farà Taiwan di fronte alla violenta pretesa cinese di annettere l’isola come è stato fatto per Hong Kong? L’odio sembra dominare la politica internazionale, la volontà di conquistare territori altrui e di negare la libertà degli altri popoli sembrano essere il motivo dominante della sfida all’Occidente lanciata da Pechino poche settimane fa.
Alla base di questa volontà di conquista c’è soprattutto l’odio. Se non si rinuncia all’odio, se ne rimane vittime. Infatti, l’odio produce le guerre, ma distrugge anche chi lo pratica, che viene consumato dal rancore che si porta dentro.
Noi possiamo solo indicare la strada e pregare perché la via della conversione e dell’amore venga intrapresa da chi oggi è immerso nell’odio. Il sacrificio di Kirk, allora, non sarebbe stato vano.
Fonte: Marco Invernizzi | AlleanzaCattolica.org