Pier Giorgio Frassati è stato esempio di come i santi non siano superuomini ma persone che vivono la vita fino in fondo. In questo ragazzo piemontese del secolo scorso convivevano unite come in una cosa sola la fede, l’impegno sociale e l’attività politica, nel breve dispiegarsi di un’esistenza integrale che ancora oggi mantiene la forza della sua testimonianza. “Da laico, Frassati ha vissuto la straordinarietà nell’ordinarietà di tutti i giorni”, dice a Interris.it il presidente del Centro culturale Pier Giorgio Frassati di Torino Marco Giorgio, “perché i santi sono certi di quello che hanno incontrato”.
L’intervista
Presidente, che santità è stata quella di Frassati?
“Non è stato un martire, né un missionario né ha fondato un ordine, ma ha dimostrato, da laico, che si può essere santi vivendo la straordinarietà nell’ordinarietà di tutti i giorni, con i suoi aspetti piacevoli e non. In lui erano unite la fede, l’impegno sociale e l’attività politica. Ha vissuto la sua vita cristianamente in maniera intensa, fino in fondo. E come hanno detto don Luigi Giussani e papa Benedetto XIV, la santità non è essere superuomini ma essere uomini fino in fondo”.
E’ noto quanto si dedicasse ai bisognosi, ai poveri, agli “ultimi”. Che concezione della carità aveva?
“Portava sempre con sé la prima lettera di san Paolo ai Corinzi, l’‘inno alla carità’. Frassati aveva capito che non basta risolvere il bisogno momentaneo, bensì queste persone avevano bisogno di conforto, condivisione e compagnia. Pregava per loro e le andava a trovare, portandogli aiuto, nelle loro case, donandogli quello che aveva”.

Ci racconta un aneddoto per conoscere meglio questo ragazzo del secolo scorso?
“In anni tumultuosi a cavallo tra le due guerre mondiali, una volta affisse nella bacheca dell’università un volantino per invitare a un evento della federazione degli universitari cattolici e gli universitari anticattolici volevano strapparlo. Lui difese il manifesto e ogni volta che lo danneggiavano lo riscriveva per rivendicare il diritto di manifestare la propria opinione”.
Sottolineava il fatto che fosse un fedele laico. Vuole approfondire questo aspetto?
“Nella Chiesa preconciliare di inizio Novecento il ruolo dei laici era circoscritto alle associazioni, Frassati è stata la prima testimonianza di un laico integrale che ha vissuto come si riteneva potesse vivere un religioso. Quando gli veniva chiesto perché non si facesse prete, rispondeva che volevo testimoniare nel mondo. Aveva scelto di studiare ingegneria mineraria al Politecnico di Torino per potersi dedicare poi a migliorare le condizioni dei minatori. Forse oggi il ruolo dei laici deve cambiare, se il numero dei cattolici nel mondo è raddoppiato rispetto ai tempi di Frassati ma il numero dei sacerdoti è rimasto pressoché lo stesso. Lo Spirito Santo non sbaglia e se non suscita un numero maggiore di vocazioni forse ci vuole dire qualcosa”.
Frassati teneva in gran considerazione l’amicizia e la relazione autentica, mentre oggi siamo tutti più soli dietro gli schermi. Il santo giovane parla ai suoi coetanei d’oggi?
“Parla dell’amicizia in molte lettere, la riteneva un dono di Dio che permetteva di vivere pienamente. I suoi amici dicevano che era felice e un giovane di oggi può chiedersi come facesse ad esserlo e decidere di esserlo a sua volta. I santi testimoniano sia in vita che dopo e ci danno la possibilità di vivere come loro”.
In conclusione, vuole tirare le somme di questo anno frassatiano per il Centro?
“Dal luglio dell’anno scorso abbiamo parlato di Frassati in tutta Italia, insieme ad altre realtà cattoliche torinesi che partecipano al Comitato del centenario. Recentemente siamo stati ospiti del Meeting di Rimini e saremo alla canonizzazione in piazza San Pietro”.
Fonte: Lorenzo Cipolla | Interris.it