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Genitori di stelle, oltre il dolore più grande

“C’è una Chiesa nascosta, silenziosa, che vive nel dolore e che nessuno comprende se non chi è accomunato dalla stessa sofferenza della perdita prematura di un figlio. Ma occorre sempre chinarsi sul dolore e così ho pensato di dare vita ad un piccolo gruppo per sperimentare la bellezza dello stare insieme, che lenisce la solitudine”.

Dalla fitta boscaglia di montagna ai fertili campi della piana del Fucino, dalla zona archeologica e artigianale a quella industriale. Siamo nella terra dei Marsi, a ridosso del parco nazionale d’Abruzzo, Molise e Lazio. Ad Ortucchio (AQ), padre Riziero Cerchi, figlio di Maria Immacolata ma parroco per la diocesi di Avezzano, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Capodacqua ha dato vita, nel 2006, all’Associazione Genitori di Stelle Figli della Speranza.

Una Chiesa nascosta e silenziosa

L’idea era nata da un incidente sulla neve, l’8 dicembre 2003 – spiega padre Riziero, classe 1970 originario di Tivoli e fiero del raro nome che porta, quello del Beato che accolse l’ultimo respiro del Santo d’Assisi -. Quel giorno il piccolo Michele, 8 anni, aveva perso la vita a Venere dei Marsi, frazione di Pescina. Mi resi conto, inviato ad Ortucchio, che anche altre famiglie avevano subito il dramma della perdita di un figlio: è quella Chiesa nascosta, silenziosa, che vive nel dolore e che nessuno comprende se non chi è accomunato dalla stessa sofferenza. Ma occorre sempre chinarsi sul dolore e così ho pensato di dare vita ad un piccolo gruppo per sperimentare la bellezza dello stare insieme, che lenisce la solitudine, professando la fede in Cristo che è Vita eterna. L’associazione ufficialmente si è data una sua organizzazione ecclesiale nel 2008 continua padre Riziero – e ha fatto della preghiera il perno, il cuore dell’esperienza ecclesiale. Questi giovani e giovanissimi che ci hanno lasciato tanto presto in una condizione traumatica, ci legano ancor più strettamente a Cristo e i loro genitori trasmettono speranza. Ogni terza domenica del mese, quindi, celebriamo una Messa comunitaria. Siamo presenti in 4 distaccamenti nella diocesi di Avezzano e in altre 4 diocesi: Sulmona, Sora (4 sedi), Roma (2) e Viterbo”.

Le mamme e i papà

Anna, 77 anni, di Ortucchio, è la mamma di Giovanni e Rita, già saliti in cielo. “La mia bambina è morta dopo 3 giorni dalla nascita – racconta con la voce spezzata, come se fosse accaduto ieri –. Mio figlio invece ci ha lasciati a 22 anni, dopo una lunga malattia della pelle rara. Padre Riziero aveva chiesto a me di trovare tutti i genitori con figli deceduti, proprio una domenica dopo la Messa. Inizialmente eravamo solo in 13: oggi siamo un gruppo più nutrito e assortito. Siamo diventati tutti amici. Il nostro segreto? Capacità di accoglienza e delicatezza nell’offrirsi all’altro. In tanti momenti anche il rapporto con la fede vacilla, ed è allora che bisogna aggrapparsi all’àncora”.

Angela, 79 anni, è invece mamma di Davide, che ha perso la vita in un incidente stradale a soli 22 anni. “Avevo completamente smarrito la fede – ricorda – e padre Riziero mi ha riportato in chiesa. Incontrare genitori con lo stesso dolore mi ha aiutata, siamo diventati una grande famiglia. Per ironia della sorte, dopo 14 anni ho perso pure mio marito in un incidente stradale a Udine. Lavoravo in un’azienda agricola, i primi tempi non riuscivo più ad entrare nel magazzino di raccolta. L’aver condiviso il dolore con altri genitori di tutte le età ci ha sostenuto nel vivere la stessa tragedia”.

Annarita, 61 anni, è la mamma di Vincenzo. Aveva 24 anni quando lo ha dato alla luce sano. “Poi a 5 mesi – prosegue – a seguito di un delicato intervento, è stato 20 giorni in coma. Si è risvegliato con una grave tetraparesi spastica ed è come se l’avessi dovuto l’ho dovuto “ripartorire” a nuova vita. Aveva perso la vista e la parola, non ha mai pronunciato la parola mamma, nonostante la riabilitazione. Ha ricevuto le migliori cure anche all’estero per accrescere la qualità della vita. Vincenzo ci ha lasciati nel 1998, a 10 anni. Oggi io sono separata: il dolore della perdita di un figlio non si elabora mai, s’impara solo a sopravvivere. L’altro mio figlio ha 42 anni e vive a Roma, sono nonna  di 2 nipoti. Vivo a Venere, la frazione in cui era avvenuto l’incidente sulla neve, anche mio figlio è morto il giorno dell’Immacolata. Lavoro in una casa famiglia ANFASS, accogliamo i ragazzi disabili che perdono i genitori, in ciascuno di loro rivedo mio figlio. Con gli altri genitori del gruppo è bello anche condividere la convivialità della tavola: padre Riziero ha reindirizzato il nostro vivere, che era allo sbando”.

Infine Maria Luisa, 65 anni e Antonio, 69. Sono sposati da 47 anni, erano molto giovani e dopo un anno era nato Pierluigi, con una distrofia muscolare progressiva. “Anche mio fratello – precisa Maria Luisa ha la stessa malattia, io ne sono portatrice sana. Pierluigi aveva solo 13 anni quando è deceduto, abbiamo cercato di assicurargli una vita più normale possibile. A scuola ha dovuto superare molti ostacoli, l’inserimento allora era molto difficile. Ci siamo avvicinati a questa associazione grazie ad Annarita che ci ha invitati alla Santa Messa comunitaria, pur avendo conosciuto padre Riziero durante un pellegrinaggio a Lourdes”.

Antonio aggiunge, senza timore: “Siamo pochi uomini in questa associazione perché ci sono tante vedove. I pochi uomini per ritrosia o viltà non vogliono aderire, non accettano questo limite e spesso abbandonano pure le mogli. Dopo la morte di un figlio si aggiunge anche il dramma della separazione coniugale. Invece lo scambio tra chi è accomunato dalla stessa sorte della perdita è fondamentale anche per ricominciare la vita matrimoniale che è fragilissima. La nostra percezione del mondo è diversa, la perdita di un figlio è innaturale, bisogna rimboccarsi le maniche per sopravvivere al lutto con una fatica enorme e la linfa vitale si trae proprio all’interno della coppia. Quel sì che abbiamo pronunciato nel bene e nel male sull’altare viene messo a dura prova. La fede mi rassicura che mio figlio sta bene in un’altra dimensione e  per questo riesco a trasmettere serenità. È la nostra identità cristiana. Dobbiamo far conoscere la nostra realtà e divulgare il nostro impegno a favore della vita e della pace”.

Ne è convinto don Riziero che ogni goccia fa il mare. Lui si è formato alla scuola di Giosy Cento e vive la musica come un canale privilegiato di dialogo e di evangelizzazione, di aggregazione sociale, che può diventare davvero una porta aperta sul mistero di Dio soprattutto per i più giovani, che spesso cercano senza saperlo un linguaggio che parli loro di amore vero, di senso e di eternità. Tanto che promuove serate e concerti per far conoscere il suo nuovo disco “Comunque vada Tu Sei”, realizzato e prodotto con don Giosy Cento, e sostenere progetti anche nelle missioni. Avvicinarsi al mondo dei giovani è la missione personale di don Cerchi. “I nostri figli – conclude – sono vivi, anche se non possiamo più abbracciarli in terra, perché Cristo è vivo. Tutti i  miei brani nascono dalla quotidianità  per arrivare al cuore dell’umanità”.

Fonte:  Sabina Leonetti | Unitineldono.it

La testimonianza di padre Riziero Cerchi e di alcuni genitori.

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