Al Forum di Cernobbio presentata un’analisi sui benefici della riduzione della dispersione scolastica. Il ministro Valditara rivendica: «Effetti positivi dal decreto Caivano»
L’Italia sta pagando un prezzo altissimo per la povertà educativa, un costo che non è solo sociale ma anche economico. Oltre 1,3 milioni di minori vivono oggi in condizioni di povertà assoluta, quasi un giovane su dieci abbandona prematuramente gli studi e il Paese registra uno dei tassi di Neet – giovani che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione – più alti d’Europa. A Cernobbio, la fotografia scattata da uno studio realizzato da The European House – Ambrosetti (Teha) insieme alla Fondazione CRT e presentata ieri nell’ultimo giorno del Forum sulle rive del lago di Como è chiara: se l’Italia riuscisse a colmare i divari educativi e a ridurre il fenomeno della dispersione scolastica, il ritorno sarebbe enorme: 48 miliardi di euro di Pil aggiuntivi, pari al 2% della ricchezza nazionale. Numeri che, tradotti in termini sociali, significherebbero due milioni di persone in meno a rischio di esclusione.
A presentare l’analisi a Villa d’Este è stata l’ex ministra dell’Università Maria Chiara Carrozza, che ha posto l’accento sulla stretta correlazione fra istruzione e crescita. La ricerca mostra infatti come l’accesso equo e diffuso all’istruzione non rappresenti solo un diritto fondamentale, ma una leva decisiva di sviluppo: ogni anno di scuola in più aumenta in modo sensibile le prospettive di occupazione e di reddito, e quindi anche la capacità del Paese di competere sul piano internazionale. In sala, al Forum di Cernobbio, era presente anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Il ministro ha difeso la qualità del sistema scolastico italiano, ricordando che nelle prove Pisa in matematica il Nord Italia ha risultati che superano Paesi come Olanda, Finlandia e Germania. Ma ha riconosciuto la presenza di divari strutturali: quello storico tra Nord e Sud e quello crescente tra centri urbani e periferie. “Non è l’Italia intera a essere carente – ha spiegato Valditara – ma esistono sacche di svantaggio che riflettono anche un problema sociale di lunga durata”.
Il ministro dell’Istruzione ha poi rivendicato l’impatto positivo del cosiddetto decreto Caivano, che prevede sanzioni severe per chi non assicura la frequenza scolastica dei figli. In provincia di Napoli, le segnalazioni di abbandono al termine del ciclo scolastico sono scese da oltre 7.300 a poco più di 1.800. “Gli abbandoni in Italia sono oggi all’8,3%, meglio della Germania e di altri Paesi Ue, e già sotto l’obiettivo del 9% fissato per il 2030”, ha sottolineato. Eppure, i dati raccontano anche un’altra faccia della medaglia: la dispersione “implicita”, cioè la distanza tra anni di frequenza e competenze effettive acquisite. “Martedì mattina mi collegherò con Parigi con l’Ocse per raccontare l’esperienza di agenda Sud che ha dato straordinari risultati, con un incremento degli apprendimenti nelle scuole che è più del doppio rispetto agli altri – ha detto ancora Valditara -. Abbiamo individuato una strada giusta per combattere la dispersione implicita. Sono risultati oggettivi e indiscutibili”.
Già venerdì scorso, all’apertura del Forum, Valerio De Molli, managing partner di Teha Group e ad di The European House – Ambrosetti, aveva rivolto un appello diretto alla platea di imprenditori e manager: “Siate architetti di un futuro più promettente per i nostri giovani. Fate presto!”. I Neet, giovani che non lavorano e non seguono corsi di formazione, in Italia sono ancora 1,4 milioni, pari al 15,2% dei giovani tra i 15 e i 29 anni, contro l’11% della media Ue e il 9% fissato come target europeo al 2030. In termini economici, il costo sociale del fenomeno – calcolato da Eurofound – è stimato in 24,5 miliardi di euro l’anno solo per l’Italia, l’equivalente dell’1,23% del Pil nazionale. Praticamente lo stesso ammontare della manovra finanziaria 2025. “Investire nella formazione e nel capitale umano –aveva ricordato De Molli – non è un’opzione ma una necessità vitale per la stabilità economica del Paese”.
Un richiamo che suona ancora più urgente se si guarda al quadro internazionale: l’Italia è ottava in Europa per dispersione scolastica (9,8%), con oltre 400mila giovani che hanno lasciato gli studi prima del diploma. Ancora più critico è il dato dei laureati: appena il 31,6% dei giovani ha un titolo universitario, contro una media europea del 44,1% e punte del 65% in Irlanda. A pesare è anche la componente straniera, con un tasso di laureati fermo al 13,4% contro il 37,9% della media Ue. Un gap che penalizza l’intero sistema e riduce la capacità del Paese di attrarre talenti dall’estero.
L’allarme riguarda anche il lavoro: l’Italia è l’unico Paese Ocse in cui i salari reali medi sono diminuiti negli ultimi vent’anni, con una riduzione del 3,5% dal 2000 al 2023, mentre nel resto dell’Ocse sono cresciuti in media del 17,8% e negli Stati Uniti addirittura del 27,4%. Un quadro che spinge molti giovani laureati a emigrare, aggravando la fuga di cervelli e impoverendo ulteriormente il tessuto produttivo. Il messaggio che arriva da Cernobbio è dunque duplice: colmare la povertà educativa significa liberare risorse, far crescere il Pil e ridurre le disuguaglianze sociali; ma serve anche ridare fiducia e prospettive concrete alle nuove generazioni, frenando la spirale che porta tanti giovani a restare intrappolati nell’inattività o a lasciare il Paese.
Fonte: Paolo M. Alfieri | Avvenire.it