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Ebraismo e cristianesimo adesso: le domande non eludibili da farci

Quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza, con l’esercito israeliano impegnato in una sistematica distruzione di un intero popolo come risposta al barbaro attentato compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023, sta producendo una crescita esponenziale dell’antisemitismo in ogni parte del mondo, in particolare nella nostra Europa. L’attacco poi alla Chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, con la morte di alcune persone e il ferimento di altre, fra cui il parroco Gabriel Romanelli, evidenzia ancor più l’assurdità di quanto sta avvenendo. Ha affermato il patriarca di Gerusalemme dei latini, cardinale Pierbattista Pizzaballa: « È ora di fermare questa guerra che è sempre stata assurda e ora è ancora più insensata. Oggi hanno colpito i cristiani, ma ogni giorno muoiono ancora decine di persone nella Striscia». In conseguenza di tutto questo, anni di dialogo ebraico-cristiano sembrano compromessi e le pur tante voci che si levano dal mondo ebraico, critiche verso le scelte del premier Netanyahu, sembrano ignorate nel generale dissenso nei confronti dell’azione dell’esercito israeliano.

Tutto questo pone domande gravi alla coscienza cristiana, consapevole che il raduno escatologico d’Israele è – secondo diversi esegeti – la causa per la quale Gesù, ebreo ed ebreo per sempre, ha speso la Sua vita e non ignara dell’enorme apporto che l’ebraismo ha dato alla formazione della coscienza europea e della civiltà in generale. Radicati nella tradizione ebraica sono alcuni dei paradigmi di fondo dell’ethos dell’Occidente, come il senso di una storia orientata all’éschaton e la relazione al Dio unico e personale. Innumerevoli sono i protagonisti della nostra crescita culturale, morale e sociale, che vengono dall’ebraismo, quali – per fare solo qualche nome del nostro tempo – Sigmund Freud, Martin Buber, Franz Rosenzweig, Emmanuel Lévinas, Zygmunt Bauman…

Come concepire e vivere il rapporto fra ebraismo e cristianesimo in quest’ora drammatica della storia? È ancora possibile sperare che la probabile maggioranza silenziosa che anche in Israele è contraria alla politica del suo governo riesca a incidere perché si compiano scelte in grado di arrivare a patti di pace nella verità e nella giustizia? La differenza di posizioni fra il presidente Herzog, favorevole a una tregua con Hamas, e il primo ministro Netanyahu è di per sé uno spiraglio verso una lettura più articolata e complessa di quanto sta avvenendo: il sogno di due popoli – due Stati che vivano in armonia sullo stesso territorio non può, né deve considerarsi fallito e impossibile. Ed è qui che il ruolo dei cristiani in Terra Santa e nel mondo può risultare rilevante: se è chiaro che Israele e la Chiesa non possono essere in alcun modo confusi, non è meno evidente alla fede cristiana che sono inseparabili. Gli accorati appelli di papa Leone XIV a una pace «disarmata e disarmante », da realizzare dovunque, si muovono in questa direzione. Le presenze cristiane in Terra Santa concordano con questa posizione. Quello che allora è necessario promuovere nel modo più ampio possibile è un movimento di opinione che abbracci arabi e israeliani, ebrei, cristiani e musulmani in ogni parte del mondo, e che spinga i responsabili delle forze in gioco a cercare vie di dialogo e di collaborazione per il bene di tutti.

Certamente non potrà esserci un cammino di riconciliazione senza il riconoscimento del pieno diritto di Israele alla sua esistenza nella pace. Non di meno, risulterà chiaro che la presenza araba in Terra Santa dovrà prendere sempre più le distanze dalla sua identificazione con Hamas, gruppo terroristico costruito solo sull’odio e la volontà di vendetta, e perciò del tutto incapace di candidarsi ad esprimere i diritti della popolazione araba nel suo insieme. Proprio qui può collocarsi un ruolo significativo delle presenze cristiane, che pur nella loro varietà e diversità riconoscono i diritti inalienabili sopra accennati sia d’Israele, che delle diverse componenti arabe presenti in Terra Santa.

Coglie precisamente questa prospettiva la Dichiarazione Tra Gerusalemme e Roma, pubblicata in occasione del cinquantesimo anniversario di Nostra Aetate, la dichiarazione del Vaticano II, che ha trasformato l’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni del mondo, in particolare l’ebraismo. Datato Rosh Chodesh Adar I, 5776 (10 febbraio 2016), il testo è stato adottato nel marzo 2016 dalla Conferenza dei Rabbini europei e dal Comitato Esecutivo del Consiglio rabbinico d’America e presentato a papa Francesco il 31 agosto 2017.

Proprio a partire da questo testo le domande che dobbiamo porci non sono eludibili: quale valore ha per i discepoli di Cristo l’esistenza del popolo ebraico? Come definire e riconoscere con onestà la responsabilità dei cristiani nei confronti dell’antisemitismo? Come coniugare l’amore alla “santa radice”, che è Israele, alla novità rappresentata dal Signore Gesù e all’amore che essa richiede verso ogni popolo e nazione, a cominciare dalla presenza sia ebraica, che araba nella terra promessa? Come una più profonda conoscenza dell’ebraismo vivente, come dei vari volti dell’islam, potrà favorire un cammino di riconciliazione fra musulmani, cristiani ed ebrei, nell’attesa dello “ shalom” finale da tutti atteso e sperato? Anche all’interlocutore ebraico i cristiani dovranno porre domande, incoraggiati a farlo da alcune voci particolarmente incisive provenienti dallo stesso Israele odierno, che sperimenta la condizione del tutto nuova dopo duemila anni di essere maggioranza forte in un Paese libero: che cosa è possibile ed è giusto chiedere ai nostri fratelli ebrei perché questo cammino sia più facile e spedito per tutti? In che senso e in quali forme la conversione (in ebraico “ teshuva”) può riguardare anche loro, ad esempio nei confronti della minoranza araba, islamica e cristiana, presente in Israele?

Come tutti potremo collaborare alla ricerca di patti di pace ispirati a verità e giustizia? A queste domande – rilanciate anche da figure significative della presenza ebraica in Italia, come Liliana Segre o Edith Bruck – è urgente che tutti diano una risposta. Frédéric Manns, biblista di fama mondiale, che ha vissuto a Gerusalemme fino alla morte amando immensamente la Terra Santa, ha affermato una volta: « La riconciliazione sarà possibile solo se ognuno perdonerà le offese ricevute e abbandonerà la pretesa di essere l’unico che ami Gerusalemme. Questo è il prezzo da pagare per la pace. Non si tratta di elaborare nuove ideologie, ma di accogliere Dio che bussa alla porta. Il Dio dell’Alleanza ha sempre chiesto a Israele di rispettare lo straniero che vive nel suo seno. Fin quando non ci sarà pace nelle religioni non ci sarà pace a Gerusalemme». Un compito, una sfida, una promessa…

Fonte: Bruno Forte | Avvenire.it

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