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Meloni e la guerra in Ucraina

Parole importanti, che sarebbe bene non cadessero nel vuoto

Sul Corriere della Sera del 5 giugno, Danilo Taino ha documentato l’incremento dal 2020 a oggi dell’alleanza fra Cina e Russia, soprattutto nel campo delle esercitazioni militari.

E’ paradossale, ma quella alleanza che non riuscì quando entrambi i Paesi erano comunisti (Kissinger negli Anni ‘70 riuscì a dividerli) sembra riuscire oggi, dopo il 1989, quando hanno seguito strade diverse dal punto di vista ideologico, la Cina massacrando gli studenti che chiedevano libertà in piazza Tienanmen, l’Unione Sovietica avviandosi, dopo la caduta del Muro di Berlino, verso la dissoluzione, avvenuta nel 1991.

Solo apparentemente, però. Se infatti la Cina è rimasta sotto il controllo del Partito comunista, che si identifica con lo Stato e controlla l’economia, la Russia erede dell’Urss, dopo un periodo di libertà (e purtroppo di anarchia) negli Anni ‘90, è ritornata a una forma di dispotismo di Stato, che ripudia la Rivoluzione leninista del 1917, ma riabilita Stalin in chiave nazionalista, anche usando la religione ortodossa al servizio dello Stato.

A questa alleanza occorre guardare, se si vuole analizzare la situazione politica internazionale. Un’alleanza fra Cina e Russia, alla quale bisogna aggiungere la Corea del Nord, la Bielorussia e l’Iran, e altri Stati minori ma significativi per l’orientamento ideologico, come il Nicaragua e il Venezuela.

Di fronte c’è l’Occidente. Un Occidente diviso, le cui classi dirigenti hanno per lo più rinnegato le sue radici religiose e culturali, un Occidente che conosce anche le ambiguità di un presidente americano che, da una parte, combatte l’ideologia woke e dall’altra si dimostra ambiguo di fronte alla minaccia militare russa (e cinese, oltre che coreana).

Quando sentiamo dire che si vuole creare un ordine mondiale multipolare e chiudere con l’egemonia occidentale, stiamo attenti a non lasciarci confondere, perché la posta in gioco è l’egemonia cinese con i suoi alleati, non un maggiore equilibrio internazionale.

In questo senso vorrei leggervi le parole di Giorgia Meloni, intervistata dal quotidiano La Verità (non certo un giornale favorevole a sostenere l’Ucraina nel conflitto con la Russia) il 6 giugno: «C’è stato per lungo tempo il dibattito su quali fossero le cause della guerra in Ucraina, se fosse una certa assertività americana durante l’amministrazione Biden. E quella che la Russia percepiva come minaccia riguardo all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. O piuttosto, come io ritengo, il fatto che Putin covasse un sogno di recupero delle vecchie arie di influenza russa. Purtroppo quello che accade in queste settimane racconta molto. Se la realtà fosse stata quella che hanno sostenuto alcuni, allora di fronte a un presidente americano che oggi dice che quell’opzione non è sul tavolo e la Russia deve essere reinserita nella Comunità internazionale, ci si aspetterebbe da parte di Mosca di fare chiari, repentini passi in avanti nella direzione di una pace. E invece questo non sta accadendo. E quindi temo che si torni alla vera ragione dell’invasione: le sfere di influenza. Quello che Putin racconta come il ritorno agli storici confini della Russia. Quali siano questi confini è difficile dirlo, ma quei confini potrebbero coinvolgere la Moldavia, la Polonia … I Baltici. Quando io ho deciso di sostenere l’Ucraina, e continuo a farlo, al di là del fatto che credo che un popolo sovrano debba potersi difendere da un’invasione, l’ho fatto anche per un’altra ragione. Se l’Ucraina fosse capitolata immediatamente noi avremmo rischiato di ritrovarci una guerra vicina a casa nostra. E poiché la pace è deterrenza, l’unica cosa che potevamo fare era rendere la guerra in Ucraina difficile, non conveniente. E se oggi si comincia a parlare di un tavolo negoziale, è perché è stata costruita quella deterrenza».

Dopo di che, continua la Presidente del Consiglio, facciamo di tutto per cercare la pace, ma anche qui ricordiamo che «l’Ucraina ha detto di sì a un cessate il fuoco, ha fatto tutto quello che doveva fare. Dall’altra parte, segnali non sono ancora arrivati!».

Sono parole molto importanti, a mio avviso, poco lette e meditate. Perché è da questa guerra in Ucraina, dopo l’invasione del febbraio 2022 (tenendo conto dell’occupazione russa della Crimea nel 2014), che dobbiamo partire per comprendere che cosa sta accadendo a livello internazionale. Putin vuole la pace? Adesso ne ha l’opportunità, dice Meloni: se non lo fa è perché ha altri progetti e, del resto, lui stesso ha dichiarato che la fine dell’Urss è stata la più grande tragedia del XX secolo.

Anche Papa Leone XIV ha chiesto a Putin un segno concreto di pace. Non una dichiarazione o una trattativa, che pure servirebbero, ma un segno concreto.

Una pace «autentica, giusta e duratura», ha chiesto Papa Leone XIV, che non può consistere nel dire al popolo ucraino di arrendersi, di fare finta che in questi tre anni non sia successo niente e di consegnarsi all’esercito russo. Pace giusta significa dare agli ucraini delle garanzie che non verranno trattati come nelle zone occupate dall’esercito russo.

E’ realistico ritenere che l’Ucraina debba fare dei sacrifici, ma non può sacrificare la propria indipendenza. Altrimenti continuerà a combattere.

Noi concretamente possiamo soltanto renderci conto della realtà, fare conoscere le parole sagge di un capo di governo come Meloni che è dentro le trattative, e sperare che queste parole autorevoli aprano gli occhi di tanti, che in buona fede non si sono sentiti chiamati a difendere le ragioni di un popolo che da tre anni combatte eroicamente per difendere il proprio diritto a scegliere liberamente il proprio destino.

Fonte: Marco Invernizzi | AlleanzaCattolica.org

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