Grazia Ofelia Cesaro, esperta in diritto di famiglia, ha scritto un romanzo autobiografico: racconta la separazione dei suoi genitori da un punto di vista privilegiato, quello dei ragazzi coinvolti
Anna ha 21 anni, Bruno 18, Tina 13. Hanno appena perso la mamma, il padre c’è, un avvocato importante, ma non abita con loro. La separazione dei genitori, una decina d’anni prima, tra gli altri effetti disastrosi, ha avuto quello di spezzare quasi definitivamente i rapporti. I due ragazzi più grandi vanno all’università, lei giurisprudenza, lui economia, ma sono costretti anche a fare qualche lavoretto per tirare avanti. Nessuno li aiuta. Accanto a loro, in modo più o meno saltuario, c’è rimasta la nonna materna, personaggio originale che ignora la parola generosità. Quando va a trovare i nipoti e porta loro qualcosa da mangiare, non dimentica mai di lasciare sul tavolo lo scontrino della spesa. E ritira i soldi corrispondenti. Così i tre fratelli hanno imparato a fare il giro dei banchi al mercato del sabato in piazzale Lagosta, zona Nord di Milano. Contano sul buon cuore di un ambulante di frutta e verdura che, al termine del mercato, lascia loro qualche cassetta di merce invenduta e troppo matura per poterla rivendere in altre occasioni. È una vita di stenti, ma i tre fratelli sono giovani, intelligenti e hanno una gran voglia di farcela da soli.
Non è un romanzo strappalacrime quello scritto da Grazia Ofelia Cesaro. Ballare sotto la pioggia. Famiglie, separazioni e rinascite, (Feltrinelli, pagg.184, euro 18), è invece una cronaca asciutta e coinvolgente di una storia vera. Quella vissuta dalla famiglia stessa dell’autrice che oggi è avvocata specializzata in diritto di famiglia e tutela dei minori, con una lunga esperienza alle spalle. Chi si chiedeva da dove nascesse la sua sensibilità nell’affrontare vicende strazianti di minori segnati dall’abbandono e dalla sofferenza, adesso ha una risposta chiara. Grazia Ofelia ha imparato – oltre che dagli studi e dalla lunga carriera – dalla sua stessa vita. O meglio, da quella ragazza protagonista del racconto, Anna. La sua alter ego. E come Anna è stata una ragazza tenace e perseverante. Capace di prendere ottimi voti ad ogni esame, ma anche di affrontare e vincere un confronto con il padre davanti al tribunale per i minorenni, insieme al fratello, per ottenere la tutela della sorellina tredicenne. Una libertà di pensiero e di azione da parte dei giudici minorili che potrebbe sorprendere. Ma andò proprio così. “La storia è vera – conferma l’avvocato Cesaro – ma è storia narrata, pertanto ci sono stati degli accomodamenti narrativi, devo dire limitati. Ma posso assicurare che gli aspetti che appaiono più inverosimili sono certo veri”. E, nel racconto, le vicende inverosimili non mancano. Come quando Anna, nel desiderio di liberarsi dei tanti medicinali assunti dalla mamma, butta nella spazzatura anche le scatole in cui aveva nascosto due preziosi anelli con brillanti. O come quando i fratelli, sempre bisognosi di soldi per far quadrare il magro bilancio familiare, vendono il vecchio divano e si accontentano dei cuscini.
Inutile, e anche sbagliato, valutare con i criteri di oggi: “Ho cercato di valorizzare il mio punto di vista di allora – aggiunge l’autrice – da bambina prima e ragazza poi, esercizio non facile, ma al quale sono restata fedele”. È anche grazie al pensiero di quella ragazza che oggi Grazia Ofelia Cesaro ha imparato ad affrontare anche le situazioni più scomode e difficili. Ma, come nella maggior parte delle cose della vita, non si è trattato di un percorso lineare. La scelta di diventare avvocato di famiglia è certamente legata alla sua storia, ma con qualche variazione sul tema. “Può sembrare strano, ma proprio perché la storia è stata impegnativa – rivela – ho avuto anche il desiderio di allontanarmi subito dopo la laurea affrontando il concorso per giornalista in Rai che, per fortuna, non ho vinto”. E quindi cosa ha fatto? “Sono invece passata al concorso per entrare nella specialistica di Medicina in criminologia clinica con indirizzo psico-sociale, dove mi sono da subito appassionata alle perizie sui minori coinvolti in procedimenti civili o penali. A quel punto ho fatto anche la pratica legale e il lavoro è diventato come una calamita. Non ho più smesso e sono felice perché faccio il lavoro più bello del mondo”.
Il libro, come detto, è un romanzo autobiografico ma non solo. Il racconto è intervallato da alcuni approfondimenti giuridici che spiegano situazioni appena accennate nel testo narrativo, come la figura dell’avvocato del minore, o curatore speciale, la mediazione, il problema del rifiuto da parte del minore di incontrare un genitore, soprattutto dopo una separazione conflittuale
Nel racconto Il tribunale per i minorenni ne esce benissimo, un comportamento esemplare anche grazie alla presenza dei giudici onorari. “Ricordo bene la giudice con i capelli rossi che cito, era Anita Pavesi – dice ancora Grazia Ofelia Cesaro – un giudice onorario davvero molto bravo. In generale credo che il loro apporto nella giustizia minorile sia fondamentale, in linea anche con tutte le raccomandazioni internazionali, e sono contraria a riforme che vorrebbero limitarne l’intervento nella giustizia minorile, poiché certo i minori ne farebbero le spese. Ma qui inizio con la mia parte da saggista e divento noiosa, però vorrei che si pensasse a quanto il loro punto di vista può essere prezioso al momento della decisione e nell’ascolto dei minori e spero di averlo reso efficacemente nel romanzo”.
Rimane da capire da dove nasce l’esigenza da parte di un avvocato affermato di narrare una vicenda personale così tormentata. “Ho chiarito nel libro da cosa nasce questa esigenza. Abbiamo deciso in famiglia di divulgare questa storia perché crediamo possa servire a molti ragazzi e ragazze ma anche ai loro genitori. Il commento più bello? Mi è arrivato da una giornalista che, dopo un’intervista mi ha detto che ha imposto la lettura del libro a tutta la famiglia, marito e figli, e poi discussione serale sulle potenzialità dei ragazzi (voi cosa fareste?) e sugli errori da non fare nel caso di problemi. In pratica ha usato il libro come manuale per “unità di crisi”, come nelle aziende che si preparano in anticipo alle varie emergenze. Ma l’unità è in famiglia. Direi geniale”.
Fonte: Luciano Moia | Avvenire.it