Un libro sulla Apple in Cina svela che l’azienda USA ha investito più del piano Marshall. Anche per questo Trump vede Xi Jinping come il suo vero nemico
Trump vuole parlare con Xi Jinping e sistemare tutto, ma la realtà dei rapporti fra USA e Cina è molto complicata. E, al di là dei dazi, il presidente americano vede il Dragone come il suo vero nemico sulla scena mondiale. Il dossier tariffe, sul quale Washington e Pechino stanno litigando, rinfacciandosi violazioni degli accordi sulle terre rare o sulla fornitura di componenti tecnologiche, è intrecciato con altre questioni fondamentali, commenta Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, come l’annessione di Taiwan alla Cina Popolare, che potrebbe cambiare le carte in tavola.
Dopo l’accordo di Ginevra il clima sembrava un po’ più disteso, ora invece i rapporti USA-Cina appaiono ancora incagliati. A che punto sono?
Credo che in questo momento ci siano due diversi problemi sul tappeto: uno, ovviamente, è quello dei dazi; l’altro è Taiwan. Le dichiarazioni di Hegseth su un possibile attacco di Pechino sono state immediatamente condannate dalla portavoce del ministero degli Esteri cinese. Non sono state smentite, ma non si può smentire un piano di annessione che, dal 1949, fa parte dei programmi del Partito Comunista Cinese.
Cosa c’è dietro le dichiarazioni del capo del Pentagono?
In Cina ci sono diverse interpretazioni. Una ricorda che Hegseth è stato responsabile di altre gaffes e sostiene che sia un dilettante allo sbaraglio, che ripete quello che legge sui blog MAGA. L’altra, invece, pensa che dietro ci sia una precisa strategia che si accompagna a esercitazioni di militari americani a Taiwan in queste settimane: ci sarebbe in atto, insomma, un tentativo di testare le reazioni cinesi e di vedere fino a dove si vogliono spingere. Ipotesi entrambe plausibili.
Sui dazi, comunque, si è riacceso lo scontro. Il motivo del contendere è il rallentamento delle forniture di terre rare da parte dei cinesi?
Sì, però i cinesi, a loro volta, imputano agli americani di avere bloccato la fornitura di componenti elettronici essenziali per una serie di produzioni, in particolare nel comparto aeronautico, senza le quali Pechino non può costruire aerei. Componenti di cui hanno bisogno per usi civili, anche se non c’è nessuna garanzia che non vengano utilizzati per usi militari. Sui dazi, la strategia degli stop and go di Trump ha suscitato reazioni negative negli uomini di business e nei mercati, e probabilmente confonde anche i cinesi.
Cos’ha in mente davvero Trump?
Credo che abbia sul comodino un libro appena uscito e diventato un bestseller. O almeno, conoscendo il tipo, un riassunto che si è fatto fare dall’intelligenza artificiale… Il volume, molto istruttivo, è Apple in China ed è stato scritto da un pluripremiato giornalista che si chiama Patrick McGee. Racconta che, dal 2016, la Apple ha investito in Cina 275 miliardi di dollari, più del piano Marshall. Se ne deducono due cose: la prima è che l’economia cinese è largamente finanziata dalle grandi imprese americane; la seconda è che una società come Apple è talmente legata a filo triplo alla Cina da aver fatto suoi anche gli schemi di produzione cinese, che non sono uguali a quelli occidentali.
Cosa ha significato tutto ciò dal punto di vista industriale?
L’azienda non ha esportato il modello americano, ma si è adattata a quello locale: questa è una delle ragioni per cui anche ai vertici di Apple ci sono state delle epurazioni. Non solo, la tecnologia targata USA, lo si spiega in un altro capitolo del libro di McGee, in barba ai contratti firmati, è passata a Huawei. Il che vuol dire che Huawei può vendere telefonini competitivi come quelli di Apple. Ci sono delle cause in Occidente sulla proprietà intellettuale, ma durano decenni.
Trump ha ben presente questa situazione?
Ha espresso concetti molto simili in un’intervista proprio su Apple, nella quale dice che imporrà tasse enormi se la produzione non verrà riportata negli USA. La prima reazione di Tim Cook è stata questa: se si vuole portare la produzione negli Stati Uniti, un americano dovrà pagare un iPhone 3.000 dollari e non 900.
Di fronte a questo scenario, però, l’approccio di Trump sembra all’insegna del “vorrei ma non posso”. Capisce la dipendenza dai cinesi, ma non riesce a scalfirla?
L’atteggiamento di Trump si esprime sempre nella strategia dello stop and go. Lo vediamo anche in relazione all’Ucraina, all’Europa, a Taiwan. Un sistema per le trattative commerciali che probabilmente ha imparato dal suo maestro, il per altri versi famigerato avvocato Roy Cohn, che è stato anche consigliere di Joe McCarthy, il senatore della caccia alle streghe contro i sospetti comunisti. Si tratta di una tattica per disorientare l’avversario cambiando continuamente posizione. Può funzionare se devi comprare un palazzo, ma molti analisti dubitano che sia un sistema che funzioni nella politica internazionale.
Perché?
In questo campo gli interlocutori, a differenza degli immobiliaristi, non ragionano solo in termini puramente economici, ma anche ideologici. Nella “follia” di Trump c’è un metodo, ma non è detto che sia quello giusto per l’occasione. Nel mondo degli affari è studiato e non privo di controversie, ma ha una sua tradizione e funziona. Non succede lo stesso con Hamas, gli ayatollah, Putin o Xi Jinping, perché non operano secondo le teorie per cui si persegue sempre l’interesse economico: qualche volta sono disposti ad agire in nome di un interesse ideologico.
A breve e a lungo termine che sviluppi dobbiamo attenderci? Trump e Xi Jinping si incontreranno? E a lungo andare, come saranno i rapporti fra i due Paesi?
Penso che tutti i dossier siano collegati: non si possono scindere i dazi da Taiwan. Se la Cina domani attacca Taipei, è chiaro che si rifletterà anche sui dazi. Vedo, tuttavia, un tentativo cinese di tenere distinti il sostegno di Pechino alla Russia, i dazi e Taiwan. Ma non sarà facile, anche perché bisogna tenere conto pure del Congresso USA e degli elettori americani, che dovranno esprimersi nelle elezioni di midterm.
La speranza di un’intesa, che si intravedeva dopo Ginevra, è già tramontata?
Credo che Trump voglia uscire dalla politica dei dazi, perché ha visto che le reazioni dei mercati e di Wall Street non sono favorevoli e perché è sottoposto a pressioni dai suoi stessi grandi elettori, le grandi aziende americane. Certo, se da parte della Cina ci fossero azioni particolarmente aggressive nei confronti di Taiwan, tutto cambierebbe.
Cosa aspetta USA e Cina, un futuro da nemici?
Trump, da una parte, vuole arrivare ad accordi di tipo commerciale, ma, dall’altra, a differenza di Putin, vede Xi Jinping come un nemico strategico. Se, dal punto di vista militare e politico, ci fossero momenti di forte contrapposizione, come l’invasione di Taiwan o l’occupazione di zone contese col Giappone o le Filippine, avrebbero dei riflessi sulle politiche commerciali. Trump e il mondo MAGA non vedono Putin come un nemico pericoloso per gli Stati Uniti. Forse lo sarà per la UE, ma all’amministrazione USA dell’Europa non importa nulla. Gli americani, invece, vedono Xi Jinping come pericoloso.
Fonte: Paolo Rossetti Int. Massimo Introvigne | IlSussidiario.net