Al Salone del libro di Torino, presentato con monsignor Camisasca e lo psicologo Lancini L’incontro che accende la speranza di don Giussani. Centoquaranta pagine che aiutano a «riscoprire le fonti luminose della nostra esistenza»
«Incontro» e «avvenimento», «limite (paura)» ed «esigenza di infinito». Sono tra le parole che ricorrono e dettano il cammino incalzante de L’incontro che accende la speranza, gli Esercizi spirituali, fino ad ora inediti, che don Luigi Giussani tenne nel 1985 agli universitari di CL, pubblicato dalla Lev, con prefazione del cardinale Pietro Parolin, in occasione del Giubileo della speranza. Centoquaranta pagine dove emerge in modo dirompente e affascinante la passione educativa di don Giussani per i ragazzi che aveva di fronte, la stessa passione che aveva per la sua vita. Ne hanno parlato all’incontro di presentazione al Salone del libro di Torino, monsignor Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia e fondatore della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo e Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e docente alla Cattolica e alla Bicocca. E quelle parole, come frecce che “puntano” all’umano e indicano la strada, ritornano nel dialogo in tutta la loro attualità.
Citando Giovanni Paolo II, Giussani dice: «Non abbiate paura della vostra giovinezza e di quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di durevole amore. Niente paura di non farcela». Dal suo osservatorio privilegiato, sempre a contatto con il mondo giovanile, Lancini parte da qui: «Molto interessante. Oggi questo appello lo girerei agli adulti: non abbiate paura di tollerare che figli, studenti, sperimentino emozioni che disturbano, come la tristezza e la rabbia». In una società del godimento (enjoyment), che non consente di accedere a una profondità, l’adolescente ha un vuoto identitario dato dal fatto che ha dovuto «intercettare i bisogni di genitori, insegnanti, adulti che oltretutto gli hanno ripetuto che facevano ogni cosa per lui. E spesso cade nella disperazione».
Riprendendo il tema, Camisasca racconta che a 15 anni, durante un ritiro spirituale di Gioventù Studentesca a Varigotti, don Giussani aveva parlato della comunione fra le cose e le persone. «La cosa mi coinvolse così tanto che piansi per tutto il viaggio di ritorno». Perché? «Avevo paura che qualcuno potesse rapire quella meraviglia che mi era stata improvvisamente svelata. Ma, prima della paura, c’è un’attrattiva. Era l’esperienza che avevo fatto. E che vale oggi che sono un po’ più maturo. Dobbiamo aiutarci a riscoprire le fonti luminose della nostra esistenza. Questo vale anche per i ragazzi». Fonti luminose che si svelano in incontri che danno spazio a quella voce che chiede l’infinito e permette di non scivolare nella «bancarotta dell’umano» come dice Giussani.
«Ognuno cerca di realizzare se stesso attraverso la ricerca della propria vocazione, che in parte sente e che in parte si costruisce nell’incontro con l’altro», continua Lancini. «Credo che oggi il tema centrale, in una società poco autentica, sia dare questa voce ai ragazzi. Quello di cui hanno bisogno è avere qualcuno che, invece di fornire una serie di nozioni, di sistemi di valori, gli chieda: ma tu chi sei? Domanda che non fa più nessuno. E ascoltare ciò che hanno da dire, anche se a volte è molto disturbante. Sempre più spesso gli diciamo cosa devono provare. Gli adolescenti non incontrano adulti significativi e navigano su Internet, dove si sentono meno soli che con i loro adulti».
Ma per poter chiedere con verità a un giovane «chi sei?», prima «bisogna rispondere alla domanda: chi sono io? Qual è il mio tesoro?», interviene monsignor Camisasca. «Un tesoro, che sia una pepita o un lingotto, che mi è stato dato. Cioè quegli incontri che mi hanno permesso di crescere, di maturare. La proposta di Giussani è stata quella di un luogo, una compagnia in cui trovare quel tesoro da scoprire personalmente. Ma il più grande regalo che ha fatto alla mia vita è stato di aprirmi a una infinità di altri incontri. Come dice Dante: “L’eterno amore si perse in altri amori”».
L’incontro che accende la speranza
di Luigi Giussani, a cura di Davide Prosperi e con la prefazione del cardinale Pietro Parolin. Libreria Editrice Vaticana
Sui banchi del liceo classico Berchet, a Milano, Camisasca conosce don Giussani, suo professore di religione. Frequentava già la comunità di GS, ma l’incontro con lui «mi ha fatto scoprire ciò che li teneva insieme, ciò che li entusiasmava e li lanciava nella società», racconta: «Era la persona di Cristo. Non ho mai potuto separare il suo dialogo sull’uomo da quello su Cristo e viceversa». Qualche secondo di silenzio e poi riprende con un accenno di commozione: «Ecco, oggi posso dire questo: Giussani è colui che ha spalancato la mia vita all’infinito, cioè ha aperto la mia personalità, un po’ accartocciata, ancora vittima di un cristianesimo individualistico. Non immaginavo che cosa fosse veramente il cristianesimo vissuto». Il dialogo volge al termine, ma c’è un accento di Giussani che Camisasca riporta: «Era un “divoratore” dell’umano. Ho assistito a un’infinità di occasioni – dal taxista al compagno di viaggio in aereo – in cui lui “attaccava bottone”. Era appassionato dell’umano».
Fonte: Margherita Battilani | Clonline.org