Trump: negoziati Russia-Ucraina in Vaticano, già sede di altri incontri fra parti in conflitto. Il Papa conferma la disponiblità alla Meloni.
In Vaticano hanno trattato la ripresa delle relazioni USA e Cuba, e anche la Colombia vorrebbe che diventasse sede di negoziati per risolvere le sue vicende interne. La storia della Santa Sede, insomma, certifica che l’attività di facilitatore per risolvere controversie è nelle sue corde. Ecco che allora, osserva Vincenzo Buonomo, professore di diritto internazionale all’Università Lateranense, non è così strano che si pensi di far incontrare russi e ucraini proprio lì, come ipotizzato dal presidente americano Donald Trump.
La Chiesa cattolica, d’altra parte, è stata l’unica voce che ha chiesto con continuità la fine delle ostilità in Ucraina, come in altri teatri, costruendosi anche per questo una credibilità che ora può mettere a frutto per convincere Mosca e Kiev a un cessate il fuoco.
Intanto la possibilità di un negoziato si fa sempre più concreta. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo aver parlato con Trump e altri leader europei, ha chiesto al papa la disponibilità ad accogliere le trattative, ricevendone una risposta positiva.
Ucraini e russi possono davvero incontrarsi in Vaticano?
La Santa Sede da sempre è stata luogo in cui si sono tenuti negoziati che sono giunti anche a delle soluzioni. Basta ricordare la ripresa dei rapporti diplomatici tra Cuba e Stati Uniti nel 2014. La trattativa si svolse in Vaticano, anche se, in quel caso, non era noto. Si seppe tutto soltanto alla fine del negoziato stesso. Insomma, non sarebbe una novità. Tenendo conto dell’impegno della Santa Sede in relazione alla vicenda del conflitto ucraino, potrebbe essere il luogo per propiziare almeno un cessate il fuoco, grazie al quale costruire una pace giusta e duratura allo stesso tempo.
Il Vaticano potrebbe avere un ruolo attivo o si limiterebbe a mettere a disposizione gli spazi?
Che nell’attività internazionale della Santa Sede sia presente anche la mediazione è un dato noto. Partendo da un altro presupposto: molto spesso il negoziato è legato non alla segretezza, ma piuttosto a un lavoro discreto. Anzi, si dice che, quando il negoziato è aperto, probabilmente non arriva a nessun tipo di conclusione.
Troviamo esempi di questa attività nel passato e nel presente: anche la Colombia, secondo il suo presidente, avrebbe chiesto alla Santa Sede lo spazio per un negoziato con l’Esercito di Liberazione Nazionale. La notizia è di queste ore. Insomma, c’è un fermento intorno a un’idea che prende atto di quello che la Chiesa ha sempre fatto. Lo stesso Leone XIII va ricordato per diverse mediazioni svolte durante il suo pontificato.
Fino a un certo punto, la Santa Sede è stata l’unica che ha cercato di tenere aperta la porta con russi e ucraini, coltivando i rapporti diplomatici con loro e allargandoli anche ad altri interlocutori come la Cina. Che risultati ha dato questo lavoro?
Se volessimo vedere i risultati evidenti, dovremmo fare riferimento allo scambio di prigionieri e al ritorno dei bambini che erano stati sottratti all’Ucraina e portati in Russia. Poi, non bisogna mai dimenticare che l’azione diplomatica della Santa Sede non tende a sostenere interessi particolari o a seguire linee politiche specifiche, come può avvenire per gli Stati: il riferimento della sua attività è anzitutto la protezione dei credenti, delle comunità dei credenti e, quindi, delle persone e dei loro diritti.
Un’azione diplomatica che ha il carattere della continuità. Gli appelli fatti in diverse occasioni dal Papa per l’Ucraina, come per l’area mediorientale o per altri conflitti, molto spesso sono le uniche voci che si alzano di fronte a situazioni in cui la vita umana, a tutti i livelli, viene in qualche modo cancellata.
Papa Francesco ha spesso fatto sentire la sua voce invocando la pace in diverse situazioni, ma anche Leone XIV nei suoi primi discorsi lo ha indicato come tema fondamentale. Non per niente, nelle ore successive al suo insediamento, ha voluto incontrare Zelensky e Vance. La linea è sempre la stessa?
C’è una cosa interessante da sottolineare: nei testi del Papa si declina la pace senza mai nominare la guerra, utilizza il termine conflitto. Credo si tratti di quella purificazione del linguaggio di cui ha parlato anche con i giornalisti, della necessità di disarmare il linguaggio come strumento per creare condizioni di pace. Ritroviamo il metodo che è stato anche di Francesco: non sottolineare le differenze, ma cercare, se possibile, i punti di incontro, partendo dall’idea che la pace si fa col nemico. Un refrain che abbiamo ascoltato tante volte, perché tutte le parti devono essere poste intorno al tavolo del negoziato; escludere significa già non poter parlare di una pace duratura e giusta.
Nella sostanza è possibile che il Vaticano faccia da mediatore o comunque si metta a disposizione per far incontrare Ucraina e Russia?
Ci sono delle dichiarazioni in questo senso, anche se l’ipotesi non si è ancora concretizzata. L’idea, comunque, è quella del negoziato piuttosto che della mediazione. Se ho un’arancia e la divido in due, mediare significa metà te e metà a me. Negoziare, invece, è capire che c’è qualcuno cui interessa la buccia per fare i canditi o qualcun altro che vuole il succo: ci sono diversi aspetti da considerare.
La Santa Sede si propone come luogo di negoziato, per poter poi garantire una mediazione. Quest’ultima, altrimenti, diventa tagliare in due qualcosa e accontentare tutti. Nel caso dell’Ucraina, non è possibile, tenuto conto che c’è un problema di svuotamento, di smembramento di un territorio, che è pericoloso per le persone che vi abitano, oltre che per il principio di per sé.
Fonte: Paolo Rossetti Int. Vincenzo Buonomo | IlSussidiario.net