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Cosa vuol dire avere un Papa matematico

Capita di chiedersi quali siano i possibili sbocchi lavorativi per un laureato in matematica. Insegnante, impiegato d’azienda, analista, ricercatore. Di solito la risposta non è Vicario di Gesù Cristo e Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, eppure questo è quanto accaduto pochi mesi fa a seguito di un inusuale colloquio di lavoro tra le michelangiolesche pareti della Cappella Sistina. Nel 1977, infatti, Robert Francis Prevost, oggi Papa Leone XIV, si laureò in scienze matematiche presso l’università di Villanova in Pennsylvania, diplomandosi contemporaneamente anche in filosofia.

Emblematica la correlazione tra queste due discipline, così intrecciate tra loro fin dalle origini del pensiero umano: furono filosofi e matematici Euclide, Pitagora, Pascal. Non per ultimo Cartesio, colui che definì il concetto moderno di equazione, è lo stesso che, di fronte alla tentazione di porre in dubbio ogni principio o percezione, comprese che esistono verità incontrovertibili, che fanno da fondamento a qualsiasi tipo di conoscenza e danno quindi anche una solidità esistenziale all’uomo. Tanto che al famoso “cogito ergo sum” seguì “ex nihilo nihil fit” (“nulla viene dal nulla”) con cui Cartesio sostenne la razionalità della sua fede in un Dio creatore. Il legame tra matematica e fede non è però così scontato: l’ambito accademico contemporaneo risente di una forte tendenza materialista, che non sempre straborda nel cinismo, che è però contrassegnato da una riluttanza nei confronti di quanto non è dimostrabile.

Basti pensare alla famosa lettera, gonfia di critiche e osservazioni pungenti riguardo al Credo cattolico, che il matematico piemontese Piergiorgio Odifreddi scrisse a Papa Benedetto XVI (“Caro Papa, ti scrivo”, 2011), alla quale il pontefice trovò poi il tempo di rispondere, dopo la rinuncia al ministero, in modo, tra l’altro, schiacciante da un punto di vista logico-matematico, oltreché teologico. Anche se scettica o ribelle, rimane evidente la connessione forte tra la matematica e la metafisica, tra razionalità e fede. I matematici sono persone abituate a sondare ogni dettaglio, nulla viene accettato se non è costruito in modo inattaccabile, il matematico non guarda in faccia a nessuno: non esiste “ex cathedra” in matematica, esistono solo ragionamenti corretti o ragionamenti fallaci. Il matematico, di fronte al mistero della vita, non accetta risposte opache né per sentito dire.

Questo sembra in contrasto col dogmatismo che sta alla base della dottrina della Chiesa, ma, grattando la superficie, troviamo molte più analogie che differenze. All’inizio del ‘900, uno dei matematici più autorevoli del tempo, Daivd Hilbert, spinse la comunità dei matematici a consolidare le fondamenta della disciplina che, in quegli anni, vedeva emergere vari paradossi e criticità. Il “Programma di Hilbert” fu un ambizioso progetto che puntava a uniformare l’intero sapere matematico, il fine ultimo era provare che i sistemi formali complessi, come possono essere la geometria o l’aritmetica, sono intrinsecamente completi, ovvero auto sussistenti sulla base dei propri postulati.

Il sogno di Hilbert fu spezzato nel 1931: il logico austriaco Kurt Gödel pubblicò infatti la dimostrazione dei due “Teoremi di Incompletezza”, risultati divenuti subito celebri, che ebbero un impatto smisurato in matematica, in filosofia, ma anche in epistemologia e, appunto, in teologia. Il primo teorema asserisce che in ogni sistema esiste almeno un’affermazione vera ma non dimostrabile. Questo creò, in matematica e per riflesso in filosofia, una spaccatura tra verità e dimostrabilità. È come se la Verità non accettasse di essere imbrigliata in categorie logiche o strutture pensate dall’uomo.

Il secondo teorema, poi, afferma che la consistenza (cioè la non contraddizione) di un sistema non è dimostrabile all’interno di esso. Anche questo ha riflessi considerevoli in filosofia: il senso e la logica dell’esistenza e di ciò che ci circonda potrebbero non essere spiegabili dall’interno. Non potendo uscire dall’Universo, le sue verità ultime ci sono celate. Il contenuto non può comprendere il contenitore. In parole povere, le stesse fallacie che alcuni matematici attribuivano al dogmatismo della fede, fecero capolino ironicamente proprio nel cuore dei fondamenti della matematica e questa scomoda presenza non può essere ignorata, essendo dimostrata rigorosamente.

I due teoremi di incompletezza fungeranno in eterno da pietre di inciampo per quel ramo della scienza che più si avvicina all’assoluto, e che tentò anche di raggiungerlo con Hilbert, senza successo. Un po’ come Icaro, o forse come Babele. Non stupirà a questo punto sapere che Gödel fosse credente, tanto che arrivò a pubblicare, nel 1970, una dimostrazione ontologica dell’esistenza di Dio. La matematica, come la fede, può sembrare un costrutto scollegato dalla realtà, arbitrario. La matematica, come la fede, può sembrare un castello di carte, in equilibrio solo per la testardaggine di chi ne fa uso, tanto da portare i profani a pensare, maliziosamente, che in fondo si tratti di un imbroglio, protratto unicamente per questioni di business. Eppure, per entrambe, i frutti sono largamente diffusi.

La matematica ha contribuito all’avanzamento della tecnica in modo straripante e trasversale: i fondamenti teorici dell’informatica (della quale oggi facciamo costante uso) furono posti, negli anni ’50, dal matematico Alan Turing, i cui studi sulla crittografia portarono a vantaggi strategici importanti degli alleati durante la Seconda guerra mondiale. I principali progressi della fisica degli ultimi quattrocento anni, da Newton a Stephen Hawking, sono nati su un foglio di carta con equazioni e passaggi matematici. Medicina, ingegneria, finanza e marketing trovano la loro solidità negli studi statistici e il loro fondamento nelle funzioni matematiche che ne modellizzano i processi.

Allo stesso modo, la fede ha irrigato l’Occidente di una linfa che è difficile nascondere, nonostante i solerti tentativi del pensiero globalista. Avere un Papa matematico significa essere guidati da una persona che certamente non confonde la fede con la magia, né i dogmi con formule vuote. Si può avere il timore che il rigore matematico porti ad un eccessivo distacco o freddezza, ma quando coniugato con una fede viva acquisisce un orientamento eterno. Citando il matematico Blaise Pascal: “Il Dio dei Cristiani non è un Dio semplicemente autore delle verità geometriche e dell’ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l’anima e il cuore di cui Egli si è impossessato”.

Fonte: Michele Dionedi | IlTimone.org

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