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Un’opera per tutti

Uno studente di architettura alle prese con la figura del servo di Dio Antoni Gaudí si interroga sul contributo della Sagrada Família alla fede del popolo catalano. E scopre una proposta per sé.

In occasione del Mud (Milano University District), un evento organizzato a fine marzo dagli universitari di CL di Milano che ha avuto come titolo “La speranza non delude”, è stata allestita la mostra “Gaudí: architetto di cose sperate”. La mostra è stata un tentativo di guardare alla figura di Antoni Gaudí e alle vicende del cantiere della Sagrada Família mettendo davanti le domande che ognuno di noi ha rispetto alla speranza.

Pochi giorni dopo il Mud, ad aprile, papa Francesco ha proclamato l’architetto catalano venerabile servo di Dio, primo passaggio del lungo processo di beatificazione e canonizzazione con cui la Chiesa istituisce nuovi santi. Ma cosa hanno da dire un architetto e la sua chiesa alla nostra speranza?

L’idea di fare questa mostra è partita dallo stupore davanti ad alcuni fatti. Gaudì nel 1914, all’apice della sua carriera, lascia ogni altro incarico per dedicarsi esclusivamente al cantiere della Sagrada Família che stava andando avanti da circa trent’anni, ma che in nessun modo poteva essere finito prima della morte dell’architetto perché sostenuto esclusivamente da donazioni. Oggi la chiesa è ancora in costruzione: il suo è il cantiere attivo più longevo al mondo e una delle mete più visitate di sempre.

Gaudí si dedica a quest’opera quando Barcellona è considerata la capitale anarchica d’Europa. Perché costruire una chiesa nella città in cui si bruciano?

Se pensiamo che Gaudí si dedica a quest’opera in un momento storico in cui Barcellona è considerata la capitale anarchica d’Europa, una città in cui le chiese si bruciavano, non si costruivano, quello che ha fatto quest’architetto ci costringe a porci una domanda: perché? Chi gliel’ha fatto fare? E, usando le parole di Cormac McCarthy in Non è un paese per vecchi, l’unica risposta che riusciamo a darci è che Gaudí «doveva avere una specie di promessa nel cuore». Ma non bisogna per forza voler fare cattedrali o essere architetti per rimanere provocati dalla sua vita: ognuno di noi, penso, desidererebbe essere capace di fare questo tipo di promessa.

Nei mesi di preparazione della mostra è stato meraviglioso familiarizzare sempre di più, a poco a poco, con la speranza che permea la storia della Sagrada: una speranza che nasce da una bellezza ed è sostenuta da un popolo. Due fatti sono esemplificativi. Il primo riguarda la facciata della Natività. Sono impressionanti le foto del cantiere risalenti al 1926, anno della morte di Gaudí. L’architetto lascia un cantiere stranissimo: oltre alla cripta e all’abside c’è solo quella facciata, altissima, con una distesa di fango intorno: «Abbiamo realizzato una facciata completa della chiesa perché la sua importanza renda impossibile abbandonare i lavori», scrive prima di morire. Gaudí sceglie di non costruire la chiesa uniformemente dalle fondamenta, come sembrerebbe più logico, ma di portare a compimento prima un’intera facciata, quella della Natività, in modo che essa sia un particolare finito di bellezza capace di sostenere la fatica di un cantiere che sarebbe durato ancora più di cento anni.

La Sagrada Família in costruzione

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Il secondo fatto riguarda un piccolo edificio in mattoni dalle forme sinuose che si trova subito fuori dalla chiesa e che viene ignorato dalla maggior parte dei visitatori. Si tratta di un asilo. Nel luglio del 1909 uno sciopero generale sfocia in una ribellione anarchica a cui aderiscono molti membri della classe operaia e per una settimana i rivoltosi danno alle fiamme diversi edifici religiosi. Gaudí capisce che anche la Sagrada Família corre questo rischio, ma il suo pensiero principale è per gli operai, in quanto teme che possa nascere in loro un odio per il frutto del loro stesso lavoro. Per questo l’architetto decide di costruire a sue spese una scuola per i loro figli. La Sagrada si trasforma così in un nuovo centro, formato dalle comunità delle famiglie, intorno alla chiesa e al lavoro.

L’opera di Gaudí e le vicende di questa chiesa rappresentano una proposta di vita totalmente nuova. Se si torna al proprio studio e lavoro avendo impressi negli occhi questi fatti, allora l’attesa davanti a quello che si sta facendo si allarga a dismisura! Lavorare a questa mostra e guardare a questo architetto è stato come costruire una piccola facciata della Natività: fissare un punto di bellezza capace di rilanciare nella noia e nella fatica del quotidiano. E il Mud è stato l’occasione di sperimentare la stessa dimensione di popolo che ha sostenuto la Sagrada Família: con tutti quelli che si sono implicati si è formata una comunione nuova, tesa a costruire un’opera fondata su una promessa da proporre a tutti.

Fonte: Paolo D’Errico | ClOnline.it

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