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Esplorare sentieri di pace nella storia: una lezione per l’attualità

La complessità della storia ci conduce oggi ad attraversare molte contraddizioni: una delle più rilevanti nel nostro mondo contemporaneo è quella tra la diffusa aspirazione dei popoli alla pace, alla convivenza pacifica tra diversi – nei rapporti tra le persone e nella società, tra gli stati e le nazioni – e la drammatica e crescente esplosione dei conflitti che caratterizzano la nostra epoca contemporanea, sia all’interno delle singole società, sia nei rapporti internazionali, ciò che ha portato papa Francesco a definire questo nostro momento storico come il tempo della terza guerra mondiale a pezzi.

Nel Novecento la ripresa dell’utopia kantiana della “pace perpetua” ha portato, dopo i disastri di due guerre mondiali, ai tentativi di creare organizzazioni sovranazionali, dapprima la Società delle Nazioni e poi l’ONU, che fossero capaci di delimitare i conflitti internazionali già in atto e di spegnere l’insorgere di quelli emergenti.

Contemporaneamente si è assistito, in connessione con la crescita del potenziale distruttivo delle armi ABC – atomiche o nucleari, batteriologiche, chimiche – a un interessante cammino nella riflessione e nell’azione di personalità della cultura e della politica volto al superamento della stessa concezione della “guerra giusta” con l’individuazione di nuove forme di “lotta per la pace”: dall’obiezione di coscienza, alla teoria e alla pratica della nonviolenza, fino alle più recenti modalità di riconciliazione e di perdono dopo drammatici conflitti etnici, sociali e nazionali.

Tale cammino ha innescato rilevanti esperienze di impegno etico e culturale, prima che strettamente politico, nella direzione di un superamento della perdurante influenza della mentalità ideologica, che vive e si riproduce a partire dalla logica di contrapposizione manichea amico/nemico, laddove il “nemico”, reale o rappresentato che sia, è concepito come nemico totale, incapace di processi di cambiamento.

Una simile logica non può che portare alla riproduzione automatica dei meccanismi del conflitto, anche qualora non vi fossero più le ragioni oggettive di un suo perdurare.

Le nuove prospettive di “lotta per la pace”, capaci di far emergere il primato del valore di ogni uomo e del rispetto dell’umanità dell’altro a fronte alla violenza e alla capacità di manipolazione delle ideologie, hanno visto come battistrada alcune forti personalità religiose come Gandhi, Franz Jägerstätter, Martin Luther King, Desmond Tutu, e personalità laiche come Aldo Capitini e Nelson Mandela.

Nel secondo dopoguerra, all’interno del mondo cattolico, a partire in particolare dal magistero dei papi, queste esperienze sono state valorizzate e ampliate in un orizzonte universalistico che è culminato nell’enciclica Pacem in terris, promulgata da Giovanni XXIII pochi mesi prima della sua morte, e di cui si celebra quest’anno il sessantesimo.

Il papa del Concilio Vaticano II ha voluto profeticamente additare i «quattro pilastri della pace»: verità, giustizia, libertà, amore (che si declina in solidarietà e perdono), senza i quali ogni pace sarebbe fittizia e comunque non duratura, perché riprodurrebbe in poco tempo le cause stesse del conflitto.

Tuttavia proprio questa prospettiva di dialogo e riconciliazione tra i popoli e i diversi gruppi sociali appare oggi drammaticamente contestata da una globalizzazione che dopo la fine della Guerra fredda ha condotto ad una progressiva frammentazione delle società, alla diffusione di una mentalità individualistica sempre più radicale in Occidente, e a forme di radicalizzazione identitaria e di fondamentalismi religiosi nel mondo islamico e in Medio Oriente, fino alla rinascita della “politica di potenza” di molti soggetti politici, piccoli e grandi, che rivendicano forme di egemonia mondiale o regionale: l’esempio più evidente è la recente aggressione russa all’Ucraina, ma non è il solo, se si guarda a quanto negli ultimi decenni è accaduto in tante parti del mondo, in un contesto in cui ogni nuova crisi rischia di saldare i tanti pezzi della presente terza guerra mondiale strisciante.

Senza entrare nel merito dei conflitti in corso, anche per non sconfinare in parziali analisi geopolitiche, con questo dossier desideriamo perlustrare, in prospettiva storica, alcuni percorsi di riflessione e/o di azione tesi al superamento dei diversi tipi di conflittualità dalla seconda metà del Novecento agli albori del nuovo secolo.

La prospettiva storica che innerva tutti i contributi che presentiamo (che sono solo un piccolo florilegio delle tante altre esperienze significative ed esemplari che qui, per ragioni di spazio, non potevamo documentare) è una precisa scelta sul piano culturale, perché la storia è una risorsa per vivere in profondità il presente, come ci ricorda Kierkegaard, secondo il quale il nesso con il passato è decisivo per la maturazione di un’autocoscienza realistica dell’uomo, perché la vita è vissuta in avanti ma è compresa all’indietro.

Il riferimento ad una serie di esperienze storiche non è quindi un alibi per non affrontare la drammaticità delle crisi presenti, ma costituisce, a nostro avviso, una fondamentale risorsa di esempi e testimonianze utili per scuotere le nostre coscienze, spesso rassegnate al male apparentemente dilagante nella storia.

Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo, rimarcava spesso un nostro grande amico, e perciò è prezioso, a nostro avviso, riflettere sugli “artigiani della pace” e sulle visioni della pace più realistiche del nostro passato prossimo, perché il nostro cuore, dall’impatto col senso e la forza di quell’imprevedibilità del bene mostrata nei diversi sentieri di pace qui presentati, possa (ri)trovare la fiducia e la speranza per avviare ragionevoli sentieri di pace personali e sociali adeguati a questo periodo.

Abbiamo scelto di presentare alcuni tentativi di pacificazione, non tutti coronati dal successo (e qui pensiamo, oltre che all’opera di Paolo VI, anche ai tentativi profetici di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI di opporsi alla nuova ideologia occidentalista o ai fondamentalismi religiosi, rimasti per gran parte infruttuosi), ma tutti esemplari di un realismo di pace, testimonianze vive dell’impegno volto a considerare tutti i fattori in campo, profezie di pace che non accontentandosi di un facile e semplificatorio pacifismo utopistico, astrattamente proclamato, sono state capaci di vivere la pace – e/o il perdono –pur nel permanere delle contraddizioni della storia, facendosene carico e attraversandole come portatori di speranza di una vera fratellanza tra gli uomini.

Un’ultima notazione: abbiamo dedicato volutamente diversi contributi ad approfondire il senso del magistero di papa Francesco per comprendere meglio sia il senso della sua prospettiva di fraternità e di pace universale, sia il senso della sua fattiva opera di mediazione e riconciliazione, nella convinzione che il suo pensiero dischiuda un orizzonte fecondo (la Fratelli tutti va letta come una nuova Pacem in terris) nella direzione di un sentiero di pace per il mondo intero.

Ci sembra un’esemplare forma di accoglimento di questa prospettiva quanto viene poi descritto nell’ultimo intervento di questo dossier, in cui il patriarca Pierbattista Pizzaballa ci offre una bella testimonianza dei tentativi di costruzione di sentieri di pace nella complessa e paradigmatica conflittualità in Terra Santa, aprendoci alla speranza personale con il suo conclusivo appello: “L’unico modo per insegnare il perdono è sperimentarlo e farlo sperimentare”.

Fonte: Andrea Caspani – Giorgio Cavalli | LineadelTempo.net

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