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Per capire il silenzio di Pio XII sulla Shoah non basta l’ultimo documento

Il dibattito storiografico non parte da zero: un’ampia documentazione dimostra che almeno 4 mila ebrei furono salvati da conventi e altre istituzioni cattoliche su disposizione del Papa. Ma perché il Pontefice non si pronunciò sullo sterminio in atto? Le ragioni per cui non lo fece sono molto complesse.

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’articolo di Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, sul Vaticano e i cosiddetti “silenzi” sull’Olocausto, pubblicato sulla versione digitale di “Vita e pensiero”

I media hanno presentato come “scoop” il ritrovamento di due documenti – che sembrerebbero spingere verso giudizi opposti su Pio XII – proprio alla vigilia del Convegno che si terrà presso l’Università Gregoriana dal 9 all’11 ottobre su “Nuovi documenti del pontificato di Pio XII”. Si tratta di un elenco di circa 3200 ebrei romani salvati in strutture ecclesiastiche di Roma tra il 1943 e il 1944 e di una lettera del 14 dicembre 1942 del gesuita tedesco Lothar König al segretario particolare del Papa, Robert Leiber, in cui si parla del forno crematorio delle SS nel lager di Bełzec.Trovare nuovi documenti è sempre importante per la ricerca storica. Ma su Pio XII e gli ebrei oggi più che nuovi documenti servono soprattutto interpretazioni rigorose, profonde e convincenti, capaci di tener conto della mole impressionante di informazioni oggi disponibile e di una molteplicità di problemi da considerare contemporaneamente.

Che le cose stiano in questo modo è controintuitivo: davanti a questioni controverse, è istintivo pensare che solo trovando il documento che ancora manca si possano sciogliere definitivamente tutti i “misteri”. Cerchiamo, insomma, la classica “pistola fumante”. Diffidiamo, viceversa, di interpretazioni capaci di spiegare questioni complesse: sospettiamo per principio che esprimano visioni di parte. È la classica fiducia nel “visto con i miei occhi” contro il “sentito dire”. Ma nel caso di questioni complesse non è possibile prescindere dal “sentirsi dire” da qualcuno a che punto siamo arrivati, anche se ovviamente non tutti i “sentito dire” hanno lo stesso valore. L’esaltazione unilaterale di un nuovo documento rischia infatti di far dimenticare le puntate precedenti e cioè gli elementi di verità che altri sono riusciti a identificare e le ipotesi fantasiose che altri sono riusciti ad escludere. È il problema dei cosiddetti misteri italiani, dalla strage di Bologna alla tragedia di Ustica. Ma vale anche per Pio XII. Molti documenti relativi a Pacelli e la Shoah erano già stati pubblicati dalla S. Sede a partire dal 1965 nella serie Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la période de la Seconde Guerre Mondiale e una documentazione pubblica e privata sempre più abbondante è diventata disponibile negli anni. Tutto ciò ha permesso che si sviluppasse una discussione intensissima e a tratti molto accesa, in corso ormai da sessant’anni, a partire dalla rappresentazione de Il Vicario di Hochhuth del 1963. Una discussione che non deve essere azzerata dall’apertura degli archivi vaticani né, tantomeno, da uno o più documenti “nuovi” che escono da questi o da altri archivi.

L’elenco dei circa 3200 ebrei nascosti in 155 conventi romani, peraltro, non è nuovo: lo aveva già visto Renzo de Felice. Lo compilò tra il 1944 e il 1945 il gesuita Gozzolino Birolo su indicazione di padre Agostino Bea, rettore dell’Istituto Biblico. Dopo De Felice non era stato più consultato, ma la cifra di circa 4000 ebrei salvati nei conventi è stata citata dai più autorevoli studi su questa ospitalità sulla base anche di molti altri documenti. Oggi, insomma, l’elenco del Biblico non aggiunge molto ad una certezza ormai acquisita: tra ’43 e ’44 gran parte del mondo ecclesiastico e cattolico romano più vicino al papa – e, anche se manca il documento che lo dimostri inequivocabilmente, tutto fa pensare che lo abbia sollecitato lo stesso Pio XII – si mobilitò largamente per salvare gli ebrei. Non è un’acquisizione da poco. Ma sbaglierebbe chi usasse questo elenco per chiudere definitivamente la questione dell’atteggiamento di Pio XII verso gli ebrei.

Il problema del “silenzio”, infatti, non può essere rimosso. Emerge anche dalla lettera del gesuita Lothar König al segretario particolare del Papa, meritoriamente ritrovata dall’archivista vaticano Giovanni Coco. Se il segretario di Pio XII sapeva di forni crematori, è fondato presumere che lo sapesse anche il Papa: perché dunque ha taciuto? Un giudizio storico negativo sembra inevitabile. Ma sarebbe il risultato sbagliato di un “azzeramento” provocato anche in questo caso da un eccesso di enfasi sul documento “nuovo”. Non si deve guardare all’albero dimenticando il bosco: ci sono altri documenti che vanno nella stessa direzione. Il primo a porsi il problema del suo silenzio fu lo stesso Pio XII, parlando con Roncalli nel 1942: lo sappiamo dagli Actes et documents du Saint-Siège pubblicati molti anni fa. Gli studi più seri hanno riconosciuto che Pio XII non ha “pubblicamente” condannato la Shoah: il punto, dunque, non è se c’è stato un “silenzio” ma perché c’è stato. È una questione molto complessa su cui però sono stati raggiunti nel tempo risultati importanti, che non vanno dimenticati nella corsa alla “pistola fumante”.

Un esempio tra i più rilevanti in questo senso è costituito da La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei, pubblicato da Andrea Riccardi con Laterza nel 2022 e frutto di un lavoro iniziato cinquant’anni fa. Ne scaturisce una ricostruzione a 360 gradi: leggendolo si ha la sensazione di entrare quasi fisicamente nel Vaticano di quegli anni e di immergersi in un’Europa sconvolta dalla guerra. Anche Riccardi ha utilizzato numerosi documenti vaticani recentemente resi disponibili, ma già in precedenza ne aveva visti molti altri – ad esempio la relazione di don Pirro Scavizzi che già nel gennaio 1942, prima cioè della lettera di König, parlava dell’uccisione di due milioni di ebrei in Polonia – giungendo alla conclusione che “alla fine del 1942, la dirigenza vaticana percepisce la crescente marea antiebraica […] Si delineano le dimensioni della strage”. Questa percezione si diffuse tra gli uomini del Papa non a seguito di una singola lettera, ma di un insieme di informazioni che giungevano, con diverse attendibilità e autorevolezza, da fonti differenti e con crescente insistenza. È una percezione che ebbe effetti diversi, investendo uomini e donne condizionati dal contesto in cui vivevano, dalla loro cultura e dalla loro mentalità, oltre che dalla loro differente sensibilità umana e inserendosi in una situazione molto difficile che lasciava loro poco spazio di azione. Insomma, il silenzio, anzi come nota Riccardi i “silenzi” di Pio XII – il Papa fu accusato anche di aver taciuto sull’oppressione nazista della “cattolica” Polonia – non vanno solo denunciati: vanno soprattutto storicizzati.

Fonte:  Agostino Giovagnoli | FamigliaCristina.it

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