Una riflessione sulla violenza che ha colpito il ministro Eugenia Roccella
I fatti sono noti, anche se avrebbero meritato maggiore attenzione dai media. A Torino, durante il Salone del libro, al ministro Eugenia Roccella è stato impedito di presentare un suo libro da parte di alcuni attivisti ambientalisti e da femministe. Il motivo riguarda le posizioni del ministro della famiglia, delle pari opportunità e della natalità a proposito di aborto e di sostegno al diritto alla vita in ogni sua fase, dal concepimento alla morte naturale.
Il fatto in sé è incredibile. Un ministro dello Stato non riesce a presentare un suo libro che, tra l’altro, tratta della sua famiglia, non di temi eticamente sensibili e non riesce a farlo perché un piccolo gruppo di violenti le impedisce di parlare. Di fronte a questa violenza, il ministro decide di non fare sgomberare la sala dalla polizia perché non vuole usare questi metodi. E così la libertà di parola viene negata a una autorità dello Stato.
C’è una riflessione fra tante che merita attenzione. Per tutte le forze contrarie alla vita e alla famiglia Roccella rappresenta una sconfitta perché, figlia di un fondatore del partito radicale di Marco Pannella, è diventata un punto di riferimento del mondo pro-life e pro-family, partecipando come portavoce al primo Family day nel 2007 e oggi diventando addirittura ministro della famiglia di un governo conservatore. Ella racconta con molta delicatezza e profondità questa conversione nel libro che avrebbe dovuto presentare a Torino (Storia di una famiglia radicale, Rubbettino) ed è perciò la dimostrazione che si può cambiare, che si può uscire dal mondo triste e disperato voluto dalla rivoluzione antropologica che porta il nome di Sessantotto, che si può approdare a tutt’altra visione della vita.
Non solo, ma Roccella ha deciso di privilegiare nell’attività del suo ministero il tema della maternità, cioè di toccare il cuore della deriva antropologica in atto. Infatti, è sulla generazione di bambini attraverso il rapporto di amore fra un uomo e una donna che si gioca oggi la battaglia più importante e profonda, di fronte a una rivoluzione culturale che vuole utilizzare la tecnica non come supporto alle persone, ma come strumento di sostituzione dell’umano. Se ne è accorto Ernesto Galli della Loggia in un importante editoriale del Corriere della Sera di alcuni giorni fa, del 13 maggio.
L’uomo e la donna uniti in un atto d’amore non sono più necessari, ma possono essere sostituiti per trasmettere la vita. Questa è la tesi su cui insistono i fautori della più grande rivoluzione antropologica della storia, che colpisce l’uomo come creatura divina, creato maschio e femmina, e che del maschio e della femmina ha bisogno per trasmettere la vita in modo umano, cioè secondo la natura umana.
Un ministro della famiglia come Eugenia Roccella rappresenta un ostacolo. Ecco perché viene attaccata così violentemente. In tutto questo però c’è un aspetto positivo. Le forze politiche progressiste, che in qualche modo hanno giustificato la violenza contro il ministro, sembrano in grave difficoltà. Quando Elly Schlein dice che il governo non vuole il confronto, sembra veramente essere fuori dal mondo e credo se ne siano accorti anche i suoi stessi compagni di partito. Queste affermazioni così lontane dalla realtà potrebbero andare bene in un sistema totalitario, nella vecchia Unione sovietica o nella Cina odierna, ma l’Italia non è ancora messa così male.
E allora sosteniamo il lavoro di Eugenia Roccella e manifestiamole tutta la solidarietà possibile perché la sua battaglia è anche la nostra. Alle fine, è una battaglia per la verità sull’uomo, ma anche per mantenere la libertà di potere credere ed esternare pubblicamente la verità.
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