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Che cosa vuole davvero Sam Altman, il visionario che sta dietro a ChatGPT?

Il 37enne punta alla “intelligenza generale artificiale”, macchine capaci di funzionare come il cervello umano. E paragona il suo lavoro a quello di Oppenheimer, il “padre” della bomba atomica

Nessun’altra autorità di garanzia della privacy, al momento, ha sospeso l’attività di ChatGPT come invece è avvenuto in Italia. Il sito del conversatore basato sull’intelligenza artificiale da venerdì notte su ordine del Garante della Privacy resta inaccessibile per gli utenti che accedono a Internet con indirizzi IP localizzati in Italia: il Garante si è mosso per l’assenza di tutela dei dati personali degli utenti. OpenAI, che non ha una sede nell’Unione Europea ma ha designato un rappresentante nello Spazio economico europeo, deve comunicare entro 20 giorni le misure intraprese in attuazione di quanto richiesto dal Garante, pena una sanzione fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato globale annuo.

Sam Altman, ceo di OpenAI, non sembra intenzionato a mettere in pausa lo sviluppo di GPT-4, come invece gli hanno chiesto in una lettera aperta alcuni dei massimi esperti di intelligenza artificiale, compreso il suo vecchio socio Elon Musk. «Mi piace Elon, presto attenzione a quello che ha da dire», si limita a dire questo manager 37enne ai giornalisti del Wall Street Journal e del New York Times, che oggi gli hanno dedicato due ampi profili.

In quella lettera aperta, pubblicata dal Future of Life Institute, studiosi e imprenditori avvertono che sistemi intelligenza artificiale così potenti rischiano di provocare danni devastanti, fino a farci perdere il controllo della nostra civiltà. Non è niente che Altman non sapesse già: «L’intelligenza artificiale – spiega –, è qualcosa di potenzialmente molto buono e al tempo stesso potenzialmente molto terribile». Sicuramente lui è determinato a vedere come andrà a finire e non esita a fare un parallelo tra la sua OpenAI e il progetto che ha portato allo sviluppo della bomba atomica. «La tecnologia avviene perché è possibile» dice il manager ai giornalisti, richiamandosi esplicitamente a un famoso discorso di J. Robert Oppenheimer, il direttore del laboratorio di Los Alamos dove fu sviluppata la bomba atomica. Altman scherza ricordando che lui e Oppenheimer hanno lo stesso compleanno e, con il senno di poi, forse non è un caso che la pronuncia inglese di OpenAI ricordi molto quella del cognome Oppenheimer. Altman si conferma un personalità complessa e contraddittoria. Un vegano che alleva bovini nella sua tenuta nella Napa Valley perché la carne piace al suo compagno. Un milionario (con un patrimonio di almeno 300 milioni di dollari) che si accontenta di uno stipendio attorno ai 65mila dollari per guidare OpenAI. Un visionario che vuole mettere la tecnologia al servizio dell’uomo ma non si fa troppi scrupoli su come riuscirci.

Sicuramente un genio, che a due anni sa usare il videoregistratore dei genitori e a otto risolve i guasti informatici degli insegnanti a scuola. Si iscrive a Stanford ma esce dopo un anno per fondare la sua startup (si chiamava Loopt e faceva servizi social basati sulla localizzazione), venduta in pochi anni per 43,4 milioni di dollari. Entra nella squadra dell’acceleratore di startup Y Combinator, dove il fondatore Peter Graham gli cede le redini in un paio d’anni. Alla guida di Y Combinator, Altman investe in anticipo su società tecnologiche di enorme successo e arriva presto ad avere «una quantità di soldi superiori a quella di cui potrei mai avere bisogno».

A quel punto si concentra sull’intelligenza artificiale. Insieme a Musk fonda OpenAI come società non profit con l’obiettivo di fare la ricerca sugli usi positivi dell’AI. In poco tempo la società si accorge che i fondi donati dai sostenitori (che pure avevano promesso fino a un miliardo di dollari) comunque non basteranno: lo sviluppo dei modelli linguistici richiede enormi quantità di denaro. Nasce da qui l’idea di creare una società “for profit” controllata da OpenAI ed è su questo che avviene lo scontro con Musk, che abbandona Altman nel febbraio del 2018. Le risorse arriveranno da Microsoft: Altman incontra il ceo Satya Nadella a una conferenza e ne nasce un’alleanza che porterà Microsoft a investire più di 13 miliardi di dollari su ChatGPT. È con quei fondi che il chatbot ha raggiunto la potenza oggi visibile a tutti.

L’obiettivo finale di Altman è essere il primo ad arrivare alla cosiddetta “a.g.i”, l’intelligenza generale artificiale, cioè creare una macchina capace di comportarsi esattamente come il cervello umano. Il suo obiettivo, spiega ai giornalisti, è creare un nuovo ordine mondiale in cui le macchine liberano le persone dai lavori ripetitivi per valorizzare la loro creatività. Parla di un salario di base per tutti, così da compensare le centinaia di milioni di mestieri che rischiano di andare perduti. Dice che potenzialmente OpenAI potrebbe “catturare” con la sua tecnologia migliaia di miliardi di dollari della ricchezza prodotta nel mondo, per poi ridistribuirla alle persone con regole definite dalla stessa intelligenza artificiale, in uno scenario distopico più realistico che mai.

DA SAPERE Il perché dello stop

Stop a ChatGPT finché non rispetterà la disciplina privacy. Nel provvedimento, il Garante rileva la mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma.

Fonte: Pietro Saccò | Avvenire.it

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