Brevi riflessioni sul tempo liturgico e sulla speranza in un tempo migliore
La liturgia è solita legare la parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32) all’inizio del tempo di Quaresima.
Qual è il tema della parabola? Essa descrive l’itinerario della conversione di un uomo, un giovane, che abbandona il Padre per una scelta di vita apparentemente più entusiasmante, nella realtà dei fatti negativa, non offrendo quanto aveva promesso. Allora, di fronte alla sofferenza che sperimenta, il giovane uomo “rientra in sé stesso” e decide di cambiare strada, ritornando al Padre e chiedendogli perdono. Il Padre non aveva mai cessato di volergli bene e tutti i giorni lo attendeva, guardando all’orizzonte e sperando in un suo ritorno a casa. Quando lo vede arrivare si commuove (il Padre si commuove!) e gli corre incontro, non per giudicarlo ma, al contrario, per abbracciarlo e così manifestargli il suo amore immutato. Sempre il Padre ordina una grande festa per celebrare l’avvenimento, ma la gioia dell’evento non riesce a entrare nel cuore del fratello maggiore, che rimane amareggiato perché non capisce e ritiene ingiusta tanta felicità di fronte a un peccatore, per quanto pentito. In realtà, nel suo cuore, continua a giudicarlo e non riesce a commuoversi come aveva fatto il Padre.
La parabola è straordinaria e commovente, soprattutto per chi ha provato nella sua vita il dramma della conversione e del ritorno, con le gioie ma anche le amarezze, il dolore e gli scrupoli che inevitabilmente accompagnano qualunque “ritorno a casa”.
Essa non vale soltanto per i singoli, ma ancor di più per il nostro tempo e per il nostro mondo, quell’Occidente nato da un Padre buono che ha costruito per secoli una casa accogliente, abitazione che poi, nel tempo, è stata sconvolta e “rivoluzionata” dai suoi figli, non tutti, ma molti.
I pochi che sono rimasti a casa spesso assomigliano al fratello maggiore perché non desiderano veramente che i loro fratelli ritornino. Essi passano intere serate a giudicarli, a mettere in luce i loro errori, ma nel cuore non ne desiderano la conversione, non sperano e non pregano perché avvenga. Alla fine, si accontentano del mondo così com’è, anche se a parole ne parlano sempre male.
Fuor di metafora, facciamoci l’esame di coscienza. L’Occidente è la casa che il Padre comune di tutti gli uomini ha costruito per noi durante i secoli della prima evangelizzazione. Non è l’unica civiltà possibile e non è soprattutto la Gerusalemme celeste, ma è stata una civiltà cristiana, nonostante le tante macchie della sua storia. Essa è diventata ciò che vediamo, un insieme di persone senza identità e senza speranza, noi compresi: un mondo che muore. Tuttavia, misteriosamente, c’è ancora un Padre che ci aspetta, che prega e desidera il nostro ritorno a casa.
La Chiesa non può morire e continua misteriosamente a trasmettere la Grazia e la Verità di Cristo. Una nuova casa comune può essere ricostruita, ma soltanto dagli uomini che ci sono, non da altri. L’Occidente può rinascere grazie agli occidentali, non affidando le sue sorti ad altri, non a un Oriente interessato o a un Islam affamato di potere.
Tuttavia, questo presuppone che chi è rimasto a casa desideri veramente il ritorno di chi si è allontanato. I “lontani” sono i nostri vicini di casa che non credono più o che non hanno mai creduto. Che cosa facciamo per il loro ritorno? Quanto preghiamo per loro? Quando e quanto le nostre comunità li vanno a cercare?
E ancora, quanto vogliamo il loro bene, cioè il loro ritorno, avvicinandoli invece che giudicare i loro errori?
La lotta per un mondo migliore non può prescindere da un giudizio netto sul male che divora l’Occidente, ma non sarà questo giudizio che convertirà gli occidentali che hanno voltato le spalle alle loro radici o non le hanno mai conosciute. E’ il ricordo che un altro mondo è possibile, perché esiste realmente, che ha indotto il figlio prodigo a tornare sulla via di casa. Noi possiamo rendere visibile quel mondo costruendo delle oasi nel mezzo della barbarie, ricordando che una civiltà cristiana si ricostruisce giorno per giorno, partendo dalle nostre piccole comunità, cominciando da quello che c’è e da chi è rimasto nella casa, purché non diventi come il figlio maggiore, che non seppe rinunciare al suo rancore e alla sua amarezza di giudizio. Cominciare a costruire queste oasi di verità e di libertà, partendo da noi stessi, può essere un modo per vivere la Quaresima.
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