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Occhipinti: per gestire team e talenti ai manager servono soft skill

L’emergenza Covid ha prodotto volatilità, incertezza, complessità e ambiguità. Ecco perché i manager non possono focalizzarsi solo sulle competenze tecniche.

Oggi più che mai, le doti manageriali sono importanti per affrontare un futuro dai tratti decisamente incerti. Frutto dell’innovazione e del momento storico particolare che stiamo vivendo, l’approccio al lavoro richiede lo sviluppo di nuove competenze e visioni. La formazione stessa dei manager, pertanto, in questa situazione di crisi e di forte cambiamento non può più focalizzarsi solo su competenze tecniche, ma necessita di sviluppare soft skills o human skills per essere efficace.

Ce lo spiega in questa intervista il dottor Elio Occhipinti, psicoterapeuta umanista e life mentor, che dedica percorsi specifici al supporto proprio delle figure manageriali. In ambito aziendale, ci dice, il life mentoring contribuisce infatti a sviluppare nel migliore dei modi la gestione delle risorse umane, in particolare la gestione dei talenti, delle prestazioni e dei cambiamenti organizzativi, attraverso un accrescimento non solo professionale, ma della persona nel suo complesso.

Da anni si occupa di dare sostegno psicologico a lavoratori e imprenditori in difficoltà. Quali sono i meccanismi psicologici più toccati in particolare dalla situazione socio-economica attuale? In che modo intervenite?

Non ne siamo ancora fuori, ma possiamo già vedere le conseguenze presenti e future che la pandemia di Covid-19 ha causato e causerà alla sfera socio-economica mondiale, oltreché a quella della sanità pubblica, naturalmente. Siamo in un periodo di grande volatilità, incertezza, complessità e ambiguità – le organizzazioni statunitensi usano l’acronimo Vuca per indicare questi quattro concetti – e in un tale ambiente le emozioni, nell’accezione positiva, e le tensioni, in quella negativa, invadono e pervadono la nostra vita lavorativa, sociale e affettiva. Stress, ansia, depressione e disturbi psicosomatici appartengono alla nostra quotidianità, ma in questi anni la loro insorgenza si è accresciuta a dismisura. Così, anche in ambito aziendale lo stress negativo (distress) produce sintomi organizzativi quali: scarso impegno (withdrawal), mancanza di motivazione, non identificazione con gli obiettivi aziendali, critica diffusa, difficoltà interpersonali, performance scadenti, tutti eventi che provocano concrete perdite economiche e di risorse.

Il suo compito?

In queste situazioni il mio compito, sia a livello individuale che di gruppo, è quello di insegnare la prima e basilare regola della resilienza: l’ascolto, cioè saper ascoltare e riconoscere le proprie manifestazioni di stress, ma anche saper ascoltare e riconoscere lo stress nelle persone che ci stanno vicine.

Con la sua attività di life mentoring lei si occupi in particolare delle figure manageriali. Di che tipo di supporto hanno bisogno i manager oggi in un mondo del lavoro che è sempre più complesso e mutevole?

Credo che la formazione di un manager in situazioni di crisi non possa e non debba focalizzarsi solo sulle competenze tecniche. È infatti essenziale fare affidamento e sviluppare le soft skills, o human skills. Sono abilità, tutt’altro che secondarie, poste alla base di tutto ciò che si fa e si applicano a tutti gli aspetti della nostra vita. Basti pensare al continuo lavoro di autocoscienza – il socratico “conosci te stesso” -, all’empatia, al saper uscire dagli schemi, all’imparare a imparare, e altre ancora. In tal senso il life mentoring si propone essenzialmente come un’azione di guida, consiglio e supporto nell’individuazione dei punti di forza attuali e potenziali di un manager, nonché come una modalità per svilupparli e tradurli, attraverso un processo socio-emotivo di scoperta di sé, non soltanto per lo sviluppo professionale, ma della persona nel suo complesso.

Che vantaggi può dare un percorso di mentoring di questo tipo?

In ambito aziendale il life mentoring contribuisce a sviluppare nel migliore dei modi la gestione delle risorse umane, in particolare la gestione dei talenti, delle prestazioni e dei cambiamenti organizzativi, tutti aspetti che hanno un effetto positivo sui risultati economici, riducono il tasso di turnover e stabilizzano il clima aziendale.

Può citare qualche esempio?

Se ci si sposta sul particolare, per fare solo alcuni esempi, il life mentoring può dare un forte impulso alla performance: conferire maggiore capacità di navigare il cambiamento anche in nuovi contesti sociali e culturali, ad esempio, nelle missioni all’estero; determinare “reverse leadership” nelle relazioni verticali e favorire il team work e la collaborazione; ma anche imparare a delegare e dare feedback, gestire in modo costruttivo le situazioni, prevenire situazioni di conflittualità e di burnout e facilitare l’integrazione nell’organizzazione di soggetti che provengono da altre culture.

Verso temi come work life-balance, healthy routine, c’è oggi una sensibilità maggiore, anche se non sempre le aspirazioni si traducono nei fatti in realtà. Come si può stimolare il work-life balance nel contesto aziendale?

È proprio il management che deve prendere consapevolezza dell’importanza del work-life balance. Oggi è indubbio che bisogna ripensare il lavoro e gli spazi in cui esso si svolge, così come è necessario ritarare le regole, per allineare la modalità del work life-balance con gli obiettivi aziendali. A mio parere, sarà necessario puntare, come dicevo prima, su quelle soft skills che saranno indispensabili per affrontare le sfide di un prossimo futuro incerto e problematico. In azienda spesso si sottovaluta che il work-life balance è la prima ragione, dopo lo stipendio, per restare nell’azienda dove si lavora e che può divenire un elemento distintivo nel sistema di employer branding, aumentando la motivazione, evitando il burnout e facilitando la retention. Ulteriore fattore che aiuta un manager a trovare un buon equilibrio tra la sua vita lavorativa e quella personale è una corretta healthy routine. È di grande importanza per il proprio benessere psicofisico dedicare tempo all’esercizio fisico, a una buona alimentazione, a una delle tante pratiche di rilassamento o meditazione, tutte azioni che, integrate nel proprio stile di vita, inducono un atteggiamento positivo, aumentano la sicurezza interiore e creano dei buoni presupposti per affrontare sfide difficili.

Tra le soft skills più richieste dal mercato, problem solving, capacità decisionale, oltre che relazionale, stanno assumendo un peso sempre più rilevante. Ci si può quindi allenare a prendere le giuste decisioni?

La pandemia non ha solo cambiato il mondo, ma ha anche cambiato in molti modi l’ecosistema del posto di lavoro. Oggi più che mai le doti manageriali sono importanti per affrontare un futuro decisamente incerto. In questo contesto, bisogna accettare l’idea che la sperimentazione e la creatività sono tra le competenze di chiunque occupi posti di comando. Accanto alle capacità di problem solving analitico, visione strategica e capacità di decidere in tempi brevi, è richiesta la capacità di un “pensiero laterale”, un saper uscire dagli schemi abitudinari. Non a caso, per raggiungere tali obiettivi, un manager efficace/resiliente deve sapere far affidamento anche sulle sue abilità umane (human skills).

Le più importanti?

Tra le più importanti ritengo ci siano la capacità di ascolto, l’empatia, l’adattabilità, la flessibilità, il rispetto e la chiarezza. Solo così un manager avrà la possibilità di convogliare le energie realizzative individuali, e quelle del proprio team, in funzione dell’obiettivo organizzativo con la minor dispersione possibile di energie. Senza dimenticare che in futuro le figure manageriali dovranno necessariamente evolvere e modificarsi per poter essere sempre più delle guide affidabili e adeguate ad affrontare qualsiasi nuova sfida dovesse presentarsi.

Fonte: Paolo Ferrarese int. Elio Occhipinti | IlSussidiario.net

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