Il 42% dei ragazzi tra 15 e 19 anni chiede aiuto all’AI in momenti di tristezza, solitudine, ansia, o consigli su scelte, relazioni, sentimenti (dati appena presentati da Save the children nella XVI edizione dell’Atlante dell’Infanzia a rischio in Italia).
Che cosa dicono queste statistiche? Che l’educazione artificiale ha rimpiazzato quella sentimentale. Ricordate l’educazione civica, confinata nell’ora di storia? Data l’ignoranza sul tema, da qualche anno è diventata trasversale a tutte le discipline con un suo monte ore e un voto. La insegniamo tutti perché non è una materia come le altre, le precede: il «civico» (diritti e doveri) abbraccia tutta la vita di un «animale politico». E anche se si riceve un voto a parte in civica, la vera qualifica è il «comportamento» (un tempo «condotta», nella pagella elementare di mia madre addirittura «gentilezza», a ogni epoca le sue sfumature): come ti rapporti con il mondo? Se non raggiungi la sufficienza non passi, anche se eccelli nel resto. La chiamiamo «educazione» perché coinvolge tutta la persona: sta alla vita come il respiro. Le educazioni (logico-matematica, linguistica, artistica, motoria…) sono infatti forme culturali permanenti e necessarie a proteggere la vita e a permetterle di svilupparsi. L’uomo non è solo animale «politico» ma anche «prolifico», ha e dà la vita, necessita quindi di un’educazione sessuale e affettiva. Quale aspetto totale della vita protegge e sviluppa questa educazione? E la scuola che fa?
L’uomo «culturalizza» gli istinti. Noi non mangiamo solo per nutrirci, ma per stare a tavola mentre ci nutriamo: trasformiamo in relazioni e arte un bisogno primario. Lo stesso accade con la vita. Non ci accoppiamo solo per riprodurci, ma per amarci, conoscerci, gioire. Abbiamo la vita sessuale più sorprendente del mondo: a differenza di un cane facciamo l’amore viso a viso, quando ci pare, anche nei periodi infecondi o non più fertili, tendenzialmente non in pubblico… Insomma siamo una curiosa eccezione che richiede attenzioni speciali. L’educazione sessuale-affettiva dovrebbe essere quindi una festa celebrata attorno alla cosa più bella: affidarsi l’uno all’altro per darsi e dare la vita, e invece oggi è ridotta a paure e indicazioni sanitarie, necessarie di certo ma che non possono esaurire l’argomento se non al prezzo di far coincidere il sesso con una cosa pericolosa. Così un adolescente nel pieno del passaggio esaltante e tremebondo della pubertà, perde il gusto dell’eros: paura e confusione, per poi dover chiedere aiuto al Confidente Artificiale.
L’Occidente ha scelto l’antica radice gen- per il mistero della vita: generare, geniale, genitali, generoso, genuino, genitori, gentile, gente… Che cosa serve quindi per coltivare una «radice» così feconda? Educare alla relazione. E cioè? Sesso viene forse da secare, tagliare: due elementi tra loro morfologicamente implicati a vicenda per generare effetti — beni relazionali — materiali o immateriali, necessari a (sopra-)vivere. Il rapporto genitore-figlio genera protezione, educazione, continuità. Il rapporto docente-studente genera cultura, crescita, libertà. Il rapporto tra amici genera fiducia, aiuto, confidenza. Il rapporto affettivo-sessuale genera unione, gioia, conoscenza, altra vita. Le relazioni sono i riti che danno possibilità alla vita di essere tale.
Questo significa che «educazione affettivo-sessuale» a scuola non può essere il nome di poche ore condotte da esperti, perché è di fatto l’unica materia — la materia prima — di tutta la settimana: siamo immersi nelle relazioni come nell’aria ma solo quando l’aria è cattiva ci accorgiamo che esiste. Ed è quello che sta accadendo, allora bisogna «cambiare» l’aria. Come? Non bastano gli esperti che a scuola ci sono già: docenti e psicologo. Di certo l’insegnante di scienze spiega l’apparato riproduttivo, quello di inglese la fenomenologia amorosa adolescenziale di Romeo e Giulietta, quello di chimica le dinamiche ormonali, quello di latino le poesie erotiche di Catullo e lo psicologo è disponibile per i ragazzi… ma l’aspetto trasversale che coinvolge tutte le discipline e in tutte si manifesta a diverso titolo non è la somma di questi contenuti, ma è un vissuto unitario: la modalità in cui si realizza la vita delle relazioni incarnate, come i docenti si relazionano tra loro e con gli studenti. Un bambino impara a relazionarsi dal modo in cui gli adulti (genitori, parenti, docenti, educatori…) lo fanno tra loro e con lui. A differenza degli animali che si accoppiano, noi «facciamo l’amore», cioè creiamo la relazione, amiamo come siamo «educati» ad amare.
Posso ricevere «istruzione» fisio-psico-sanitaria, ma sono «educato» all’affettività e alla sessualità dalla qualità delle relazioni attorno a me. Lo spiego con la storia del poeta che non aveva mai visto il mare. Abitando nel cuore della sua regione ne aveva solo sentito parlare. Un giorno riuscì a raccogliere il denaro per il viaggio verso il Mediterraneo. Arrivato in albergo, l’oste gli indicò la strada. Egli andò e si sedette a riva, rimanendo in silenzio a guardare sino a sera. Quando tornò l’oste gli chiese come era andata. Il poeta rispose: «Non l’ho visto», lasciando perplesso l’interlocutore. La stessa scena si ripeté per sei giorni, fino alla sera del settimo, quando tornò raggiante urlando all’oste: «Ce l’ho fatta!». Raccontò che aveva visto tornare una barca, da cui erano scesi dei marinai: «Ho visto il mare negli occhi di coloro che fanno il mare e dal mare sono fatti». Verità incarnata: lo stesso vale per chi fa ed è fatto dall’amore, gli umani. Quello che serve è un’educazione che attraverso relazioni sane (lo è quella in cui uno dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno) faccia venir voglia di incarnarle a propria volta, di ri-fare l’amore ricevuto, continuarlo o migliorarlo, dopo aver vissuto e compreso perché funziona o meno. Poi chiaramente sta a ciascuno elaborare, anche con fatica, che cosa far proprio e cosa cambiare di ciò che ci è stato trasmesso, per avere una vita di relazioni più vera e gioiosa di quella ricevuta e perché ogni rapporto ha fragilità e unicità che nessuna «istruzione» può esaurire.
La scuola degli amanti (titolo alternativo del Così fan tutte di Mozart e Da Ponte) non chiude mai, dura tutta la vita. In questa scuola può dirsi «educato», affettivamente e sessualmente, chi sente la vita altrui in modo tale che ferirla o accarezzarla è ferire o accarezzare la propria. Nel recente fatto di cronaca milanese i magistrati hanno evidenziato la «disumana indifferenza» dei giovanissimi accoltellatori: non sentono la vita ma la morte, che li eccita più della vita, tipico delle culture esangui. Manca loro l’educazione che si vede/vive, come il poeta con i marinai, negli adulti di riferimento. E la scuola che può fare? In una temperie culturale narcisistica, individualistica e consumistica, alimentata dalla virtualità digitale, l’educazione alle relazioni potrebbe partire a scuola approfondendo con i ragazzi le origini culturali e i limiti di questi «visori» e di queste «visioni» del mondo, per restituire poi loro l’alfabeto dell’intelligenza emotiva, proprio come si insegna quello per scrivere: occorre prima scardinare l’idea oggi dominante che per avere vita bisogna prendersela o comprarla, cioè che il controllo è relazione quando è invece la sua consumazione, e poi educare la capacità di riconoscere e dare nome a emozioni, gesti e sentimenti (è per esempio dimostrato che chi non legge fatica a riconoscere i sentimenti altrui).
Perché i ragazzi ignorano le infinite sfumature dell’amore e non quelle dei siti porno? Perché abbiamo lasciato che li educhi chi capita, e non noi e la cultura vera. E così molte adolescenti raccontano che il primo rapporto è di fatto una violenza, perché i ragazzi «imitano» ciò che vedono fare a quelli che hanno scambiato per marinai, ma erano solo pirati. La scuola può fare un lavoro culturale più serio dell’attuale querelle elettorale, sul modello dell’educazione civica, affidando degli approfondimenti a noi docenti, con eventuali esperti, scelti in base alle necessità e alla maturità dei ragazzi. Se chiedono a un chatbot e non a noi, non è perché l’IA è cattiva ma perché noi abbiamo una cultura delle relazioni povera e un progetto culturale esangue.
Anni fa in una scatola nascosta trovammo le lettere di corteggiamento dei miei genitori. Le abbiamo catalogate per data in un volume che abbiamo regalato loro in un anniversario. C’è stata per me più educazione sessual-affettiva in quella scatola che in mille istruzioni ricevute, magari da loro stessi. Tutto comincia dal raccontare ai figli come ci si è conosciuti, scelti, amati, e continua con il tenersi per mano, un biglietto affettuoso, chiedere scusa, una carezza, un complimento, una foto, una parola di incoraggiamento, una passeggiata, un regalo, una telefonata… Questa è la scuola degli amanti, la guidano coloro che «generano» vita e vite, educatori a ogni titolo, e hanno, come quei marinai con il mare, l’amore negli occhi: lì è l’educazione sessuale e affettiva di un ragazzo, che allora, come il poeta, a quegli occhi domanderà il mistero della vita, e non, perché disperato, a ChatGPT.
Fonte: Alessandro D’Avenia | Corriere.it