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FAMIGLIA NEL BOSCO/ Ora la guerra dei “partiti” non perda di vista l’interesse del minore

Dopo che il tribunale dei minori ha mandato in una casa protetta i figli della coppia che vive nel bosco a Palmoli, è esploso il dibattito pubblico

È ormai al centro delle cronache nazionali la vicenda della famiglia anglo-australiana che vive in un bosco a Palmoli (Chieti), in una casa senza acqua corrente, gas ed elettricità. Nella famiglia oltre ai genitori ci sono tre figli: una bambina di 8 anni e due gemelli di 6, che non vanno nella scuola pubblica perché i genitori hanno scelto l’homeschooling (pare con il supporto di una docente privata).

L’autorità, in questo caso la Procura, ha deciso di sospendere la potestà genitoriale perché ritiene che il contesto in cui vivono i bambini possa creare un “grave pregiudizio” per la loro vita in relazione e per la loro incolumità.

Si parla di isolamento sociale, di scarsa integrazione con i coetanei, di condizioni abitative non idonee. Di conseguenza i bambini sono stati trasferiti, non da soli ma con la madre, in una struttura protetta.

L’opinione pubblica si è immediatamente spaccata in due, con una contrapposizione chiara e netta tra gli schieramenti. C’è una grande mobilitazione popolare a favore della famiglia e molte persone sostengono che questa scelta di vita alternativa deve essere rispettata.

I genitori, dal punto di vista legale, dicono di garantire istruzione e sanità, e che i bambini sostengono ogni anno un test in una struttura pubblica. Alcuni esperti, tra cui avvocati, pedagogisti, psicologi, ritengono che la decisione di allontanare i bimbi è di fatto “eccessiva”, perché il diritto dei genitori all’educazione alternativa esiste, anche se non è assoluto.

Una prima lettura dei fatti

Il primo problema riguarda la libertà educativa dei genitori: vero e proprio diritto riconosciuto anche dalla Costituzione, che in questo caso però sembrerebbe pregiudicare il diritto dei minori ad un loro pieno sviluppo. I genitori hanno il diritto di scegliere un determinato stile di vita per educare i figli secondo convinzioni proprie, alternative a quelle della maggioranza.

In un’epoca in cui si cerca di diffondere sempre più una green-culture, non è certo negativo desiderare che i bambini crescano a contatto con la natura, educandoli con metodi non convenzionali. Ma bisogna anche assicurarsi che i bambini abbiano le basi per vivere una vita sana, una istruzione adeguata alle sfide contemporanee e tutte le opportunità sociali proprie della loro età.

Vivere isolati può essere un grosso problema: la socializzazione con i propri coetanei è un aspetto importante per lo sviluppo emotivo e cognitivo. I giudici hanno citato proprio la “lesione del diritto alle relazioni” come motivo per intervenire.

Ma anche le condizioni abitative hanno una loro importanza: non avere acqua corrente, gas o elettricità può essere una scelta, ma solleva importanti questioni pratiche di igiene, di sicurezza e quindi di salute. Se le condizioni sono davvero precarie, può non essere solo “uno stile alternativo”, ma un rischio reale per i bambini.

Al tempo stesso, tuttavia, c’è anche il trauma potenziale dell’allontanamento e togliere i bambini da una famiglia, anche se “non convenzionale”, può causare effetti che si prolungano a lungo termine. Bisogna valutare attentamente cosa è davvero più conveniente o almeno meno dannoso per loro, ma non possiamo ignorare il fatto che in questo caso sono in gioco la legge e gli interessi superiori dei minori.

Il fatto che migliaia di persone sostengano la famiglia dimostra che molte persone vedono in questa vicenda un simbolo più grande: libertà, scelta educativa, non conformismo. Ma la popolarità di una causa non basta da sola per decidere su una questione così delicata: serve un bilanciamento con gli obblighi legali.

Se davvero le condizioni sono rischiose – igiene, mancanza di socialità, protezione sanitaria –, non basta avere un ideale per giustificare tutto. Serve una mediazione: un possibile compromesso. Per esempio migliorare le condizioni della casa, a cominciare dai servizi igienici e dall’elettricità, garantire momenti di socializzazione per i bambini, estendendo l’esperienza nei boschi anche ai loro coetanei che frequentano la scuola di prossimità; integrare l’istruzione parentale con il contributo di professori esperti mano a mano che i programmi si fanno più complessi e garantire controlli regolari per assicurare che i bambini stiano crescendo bene.

Libertà vs. autorità?

Il punto fondamentale della questione non è uno scontro tra “libertà” e “autorità”, ma tra diverse concezioni di libertà e diversi livelli di autorità, che operano su piani differenti.

I genitori, ad esempio rivendicano almeno tre livelli di libertà: la libertà educativa, la libertà di scelta dello stile di vita e perfino la libertà di vivere fuori dal sistema (off-grid). La libertà dei bambini è la libertà di istruirsi, di sviluppare relazioni, di avere condizioni di vita adeguate e di poter scegliere un futuro aperto. È una libertà personale, tutelata dallo Stato quando i minori non possono ancora autodeterminarsi pienamente.

Di qui può nascere una certa tensione e i diritti dei genitori possono confliggere con quelli dei figli. L’autorità dei genitori è un’autorità naturale, primaria, ma non assoluta. Per questo c’è un’autorità dello Stato che deve intervenire per garantire tutela dei minori, obbligo scolastico, standard minimi di vita e salute, prevenzione del pregiudizio educativo o sociale. C’è poi un’opinione pubblica che difende la famiglia e rivendica un’altra forma di autorità: l’autorità del modello alternativo.

Sono tre livelli di autorità che non parlano la stessa lingua. Il conflitto non nasce “nel bosco” in senso geografico, ma in uno spazio giuridico e simbolico che comincia con la definizione del cosiddetto “interesse superiore del minore”.

È un concetto complesso che va interpretato, tenendo conto di chi decide cosa sia meglio per un bambino: i genitori secondo i loro valori? il giudice secondo la legge? la società secondo la norma dominante? Questo è il vero campo di battaglia.

Da un lato c’è la definizione di normalità, dall’altro quella dell’accettabilità sociale; da un lato c’è la libertà di scelta educativa e dall’altro l’omissione educativa. Il ruolo dello Stato si affaccia come “supplente” della famiglia quando afferma che “i genitori non garantiscono condizioni sufficienti per lo sviluppo”.

In sintesi

Il conflitto reale nasce nella competizione tra diversi portatori di diritti, diversi modelli di libertà e diverse autorità che non riconoscono la legittimità completa l’una dell’altra. E nasce dove il concetto di “benessere del minore” perde la sua ovvietà ed entra nella sfera delle interpretazioni. È una vicenda che durerà ancora molto a lungo e attraverserà diverse fasi, con molteplici contrapposizioni.

L’importante è che non si perda di vista che il vero punto di equilibrio resta il supremo interesse del bambino, che va comunque e sempre perseguito nonostante i dubbi, evitando di scivolare in posizioni ideologiche che, per sostenere una tesi, potrebbero rischiare, paradossalmente, di compromettere i princìpi che intendono difendere.

 

Fonte: Paola Binetti | IlSussidiario.net

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