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La condanna della giornalista Zhang Zhan in Cina ci riguarda tutti
— 30 Dicembre 2020— pubblicato da Redazione. —
La donna di 37 anni, in sciopero della fame da settembre e torturata in cella, dovrà passare in carcere quattro anni per aver cercato di dire la verità sul coronavirus
«Zhang Zhan sembrava devastata quando hanno annunciato la sentenza». E chi non lo sarebbe? L’avvocato cinese di 37 anni, che da febbraio a maggio ha svolto il lavoro di giornalista in Cina per raccontare l’epidemia di coronavirus da Wuhan, pubblicando 122 video, è stata condannata ieri a quattro anni di carcere per aver «turbato la stabilità sociale e creato problemi di ordine pubblico». In particolare, i giudici della Corte distrettuale di Pudong non le hanno perdonato di aver diffuso presunte «false informazioni» attraverso «articoli, video e altri mezzi su internet e piattaforme come Wechat, Twitter e Youtube».
SCIOPERO DELLA FAME E TORTURE
Zhang ha assistito al verdetto su una sedia a rotella, visibilmente debilitata. Il suo legale, Zhang Keke, ha confermato infatti che è stata torturata in cella dopo essere stata arrestata il 15 maggio e detenuta senza processo in un carcere di Shanghai. Come gesto estremo per respingere le accuse, la reporter ha iniziato a settembre in prigione uno sciopero della fame ma le guardie l’hanno nutrita a forza con un sondino gastrico. E per impedire che si strappasse i tubi, è stata incatenata mani e piedi e legata al letto 24 ore al giorno.
Zhang ha iniziato lo sciopero della fame anche per attirare l’attenzione dei media. Purtroppo troppi giornali, specialmente quelli italiani, non sembrano dare troppa enfasi alla notizia. Parlano in modo piatto e senza aggettivi dell’arresto di Zhang, come se la notizia non fosse sconvolgente, della sua sparizione come se fosse normale, delle torture subite come se non fossero inaccettabili.
ALTRI GIORNALISTI ARRESTATI
Su 387 giornalisti arrestati in tutto il mondo, 117 si trovano dietro le sbarre proprio in Cina, il paese che più perseguita la libertà di informazione. E il risultato di questo comportamento viene pagato da tutti: se il regime non avesse censurato le prime persone che si erano accorte dell’epidemia a Wuhan, forse il virus non si sarebbe diffuso in tutto il mondo in modo così letale e devastante. Ma nessuno sembra voler criticare il paese che entro il 2028 diventerà la prima economia al mondo, superando gli Stati Uniti.
Zhang non è l’unica giornalista a essere stata arrestata per aver cercato di raccontare che cosa stava davvero succedendo in Cina. Chen Qiushi è stato detenuto a gennaio ed è ricomparso soltanto a settembre. Si trova attualmente sotto costante sorveglianza governativa a Qingdao, nello Shandong. Li Zehua, che si era recato a Wuhan per rintracciare Chen dopo la sua scomparsa, è stato arrestato a febbraio e rilasciato ad aprile. Di Fang Bin, invece, non si sa nulla.
«Non so se il governo deciderà di punirmi severamente, o fino a quando questi attacchi violenti continueranno, non so se potrò continuare a pubblicare le mie opere e se dopo la pubblicazione all’estero del Diario di Wuhan i funzionari stabiliranno che sono una “traditrice”. Chissà che in futuro non arrivino perfino a togliermi la pensione, a colpirmi con attacchi “patriottici” quando uscirò di casa, magari l’estrema sinistra inciterà qualcuno ad assaltare casa mia. Non so se i professori e studiosi rimasti implicati nella vicenda saranno puniti dalle loro università eccetera. La vita tranquilla che immaginavo d’un tratto è divenuta così instabile e turbolenta».
ZHANG ZHAN RACCONTA IL SUO CALVARIO
Nel documentario sulla giornalista che riportiamo di seguito, pubblicato da China Change e realizzato da un regista che vuole restare anonimo, Zhang Zhan spiega perché ha deciso di raccontare al mondo che cosa stava succedendo e come la polizia l’ha perseguitata fino ad arrestarla e farla sparire.
La condanna di Zhang Zhan dimostra fino a che punto è arrivata la repressione in Cina. Come ha scritto ancora per Tempi Fang Fang: «A rattristarmi più di tutto è il futuro della Cina. Non so se si ritornerà alla Rivoluzione culturale, se il controllo della libertà di espressione diventerà ancora più soffocante, se il paese in cui vivo andrà nella direzione opposta rispetto a una società civilizzata. Quando ho visto tutte quelle minacce malvagie dirette contro di me ho capito che l’agio e la pace che mi aspettavo erano finiti. L’epidemia ha cambiato tutto. Ha cambiato il mondo, ha cambiato la Cina e ha cambiato ogni singolo individuo fra noi».
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