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Coronavirus. Che cosa non sta funzionando nelle App per il tracciamento

Non hanno funzionato come ci si aspettava le famose App per il tracciamento, cioè il supporto digitale per individuare ed isolare gli infettati dal nuovo coronavirus: è ormai evidente in molti paesi occidentali. Un esito deludente generalizzato, che fa pensare a cause che vanno oltre eventuali inadeguatezze dei singoli paesi. E’ quindi importante cercare di comprenderne il perché, sia per evitare di ripetere errori fatti, sia per capire come ottimizzare le strategie di sorveglianza in emergenza pandemica. Dobbiamo per questo fare un passo indietro, e tornare allo scopo per cui si è investito in questa direzione.

Isolare gli infetti e diminuire le occasioni di contagio è l’unica strada per fermare un’epidemia quando non ci sono vaccini o cure efficaci: è una tecnica antica e universalmente nota e nel pianeta, come ci ha ben descritto anche David Quammen nel suo Spillover, quando parlando delle pratiche tradizionali in queste circostanze, in remoti villaggi del Gabon, in Africa, racconta che ‘era imposto l’isolamento dei pazienti in una casa speciale e distinta dalle altre; i guariti (se ce ne sono) dovevano curare gli ammalati; gli spostamenti fra un villaggio colpito e gli altri erano limitati, erano sospese le tradizionali pratiche funebri, pure le danze erano proibite».

Il problema diventa quindi individuare i possibili contagiati per isolarli e impedire al virus che portano con sé di diffondersi ulteriormente. Il rischio maggiore di contagio è ovviamente a carico di chi è stato vicino alle persone infette: è questa la ratio del Contact Tracing (CT), il tracciamento dei contatti, cioè risalire a tutti quelli che sono stati in prossimità della persona contagiata (il “caso indice”). Fra questi vanno individuati quelli che sono stati infettati, per isolarli a loro volta: qui iniziano i problemi specifici di Covid-19, che sappiamo diffondersi anche da persone che non mostreranno mai sintomi della malattia (asintomatici), che ne mostrano pochi (paucisintomatici), o che li svilupperanno successivamente (pre-sintomatici).

A complicare il tutto, i sintomi, quando ci sono, possono confondersi con quelli della comune influenza: per sapere se una persona è contagiata dal SARS-CoV2 bisogna quindi fare un test specifico, e per precauzione il “contatto” va messo in quarantena. Insomma: l’attuazione del CT è complessa e dipende da molti fattori, a partire dalla capacità del personale sanitario di interrogare gli infetti per risalire alla rete dei contatti nei giorni in cui si presuppone possano essere stati contagiosi. Il secondo fattore è l’isolamento dei contagiati (e la quarantena per quelli potenziali, fino all’accertamento del loro stato): devono poter essere nelle condizioni di non aver contatti con nessuno per il tempo necessario a non essere più contagiosi. Ad es. bisogna trovare un altro alloggio se isolarli in casa non è possibile, e va comunque assistito nelle necessità base chi vive solo, mentre servono soluzioni ad hoc se la persona da isolare ha familiari da accudire. Il terzo fattore è la velocità nel fare i test, per evitare inutili quarantene. Su tutto, l’organizzazione del Sistema Sanitario nel mettere a punto la filiera di azioni che abbiamo sintetizzato.

Il CT quindi è non è “semplicemente” fare la lista delle persone entrate in contatto con un infetto, ma un intervento estremamente complesso di sorveglianza della salute pubblica, dove il Sistema Sanitario si fa carico di persone malate e non, in tutti i loro molteplici bisogni, al fine di isolare i contagiati, e curarli se necessario. Il primo equivoco da chiarire, quindi, è che le App per CT non possono sostituire una azione tanto articolata, ma possono solamente supportarne una minima parte: non è cioè pensabile eliminare l’intervista dell’operatore alla persona contagiata e ai suoi contatti, mentre è possibile velocizzarla, se abbiamo la possibilità di integrare le informazioni necessarie utilizzando risorse tecnologiche

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Un suggerimento dell’Iss è di non utilizzare gli smartphone per le applicazioni, ma di prevedere dispositivi fisici dedicati esclusivamente al ‘contact tracing’ per superare le preoccupazioni legate alla privacy Il paradigma cinese e quello occidentale sono sostanzialmente differenti, e non è possibile trasferire pezzi di uno nell’altro


L’obiettivo delle App è quindi limitato a memorizzare elettronicamente i potenziali contatti a rischio di tutti (per Covid-19 sono le persone avvicinate per almeno un quarto d’ora e a meno di un metro di distanza) per poterli allertare più facilmente, qualora fossero stati effettivamente esposti a un contagio, integrando con queste informazioni le interviste dei tracciatori. Le App si possono disegnare in moltissimi modi diversi, ma – e qui il secondo equivoco da chiarire – la scelta non è “tecnica”, quanto, piuttosto, culturale. Non si tratta, infatti, di trasferire in sistema digitale dati già esistenti, ma di creare un nuovo set di informazioni riguardo i comportamenti delle persone: il disegno dipende dallo scopo prefissato.

Se l’obiettivo è controllare che la popolazione rispetti le leggi dell’emergenza pandemica, come ad esempio in Cina, il disegno delle App seguirà criteri di controllo della popolazione, e sarà radicalmente diverso da quello dei paesi occidentali dove lo scopo, invece, è sanitario, cioè prendersi carico di contagiati e potenziali tali per interrompere la catena del contagio. Il paradigma cinese e quello occidentale sono sostanzialmente differenti, e non è possibile trasferire pezzi di uno nell’altro: non è possibile cioè prendere ad esempio le App cinesi e cercare di “adattarle” alle consuetudini e alle norme della privacy occidentale, “ripulendole” dagli aspetti coercitivi. Analoghe considerazioni valgono anche per altri paesi dell’Est Asiatico nei quali, pur non vigendo una dittatura come quella cinese, c’è comunque un rapporto stato-cittadini diverso dal nostro: basti pensare ad es. alla Corea del Sud dove le App per CT usano la geolocalizzazione senza chiedere il consenso, e sono integrate con dati dalle telecamere di videosorveglianza e dalle carte di credito.

E soprattutto, va ricordato che l’investimento planetario sulle App è stato fatto a scatola chiusa: nessuno ha valutato la loro reale efficacia prima di introdurle. Lo ha messo nero su bianco la Commissione Europea, nella Raccomandazione dell’8 aprile 2020, dove specifica che «in generale l’efficacia di tali applicazioni non e` stata valutata», così come l’OMS, in un suo documento del 28 maggio «Ethical considerations to guide the use of digital proximity tracking technologies for Covid-19 contact tracing» quando commenta «attualmente non ci sono metodi stabiliti per valutare l’efficacia del tracciamento digitale di prossimità. E’ necessaria più ricerca per valutarne l’efficacia e, infine, è necessario sviluppare metodologie robuste a questo scopo». Analogamente in “Digital Contact Tracing for Pandemic Response” , pubblicato dalla Johns Hopkins University Press leggiamo: «I governi non dovrebbero richiedere un uso obbligatorio del CT digitale, data l’incertezza sui potenziali rischi e benefici» e ancora «l’uso del CT digitale è essenzialmente un esperimento», il tutto accompagnato da raccomandazioni di testare queste tecnologie nel mondo reale.

È quindi necessario un ripensamento della implementazione digitale del CT, perché sia adatto al nostro contesto culturale. A questo proposito, un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità «Supporto digitale al tracciamento dei contatti (contact tracing) in pandemia: considerazioni di etica e di governance» ha ribadito innanzitutto la necessità di una valutazione dell’implementazione digitale al CT «in analogia a una ricerca sperimentale» e prevedendo «percorsi valutativi interdisciplinari». Si suggerisce poi di non utilizzare gli smartphone per le App, ma di «prevedere dispositivi dedicati esclusivamente al CT digitale – come i token, ad esempio, cioe` dispositivi fisici dedicati usualmente alla identificazione dell’utente, per esempio per l’accesso ai servizi di banca online: una scelta di questo tipo comporterebbe la radicale separazione dei dati personali dall’ambiente informatico specificatamente legato all’implementazione del CT, limitando ipso facto la potenziale pervasivita` della tecnologia digitale nella sfera personale, e contribuendo ad alimentare la fiducia nei suoi confronti».

Fonte: Assuntina MORRESI | Avvenire.it

 

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