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Il potere della libertà. Un invito

I due termini sono percepiti in contrapposizione. Ma la verità è che la seconda senza il primo non esiste. La domanda allora è dove la libertà trova il potere che la origina e la compie

Il titolo di questa rubrica è lo stesso del raduno annuale della associazione culturale Esserci, che mi permetto di presentare qui: si terrà da mercoledì 16 a sabato 19 settembre, in parte a distanza e in parte in presenza presso il Centro Rosetum di Milano. Quali sono le ragioni che ci hanno spinto a scegliere il contenuto proposto? Potere e libertà sono i due termini di una questione scottante, personale e collettiva. Per il primo aspetto si pensi al desiderio di protagonismo, che oggi caratterizza potentemente la ricerca di espressione individuale, che, se non riesce nella normalità quotidiana, si sfoga sui social.

Per il secondo aspetto si consideri come l’esigenza di veder valorizzato il sentimento soggettivo – per esempio a riguardo della sessualità o del gruppo di appartenenza – si sia armata dell’affermazione di nuovi diritti e di identità, vedi Black Lives Matter, che negano persino dignità alla storia di generazioni precedenti. Tutto ciò costituisce il politicamente corretto, che vuole regolare il pensiero e la sua espressione secondo gli indirizzi di un consenso intellettuale maggioritario, fino al punto di essere imposto come vero dalla legge. La confusione è grande e sempre più fonte di violenza, psicologica e fisica.

Normalmente i due termini, potere e libertà, vengono percepiti in contrapposizione. La lotta per la libertà è sempre giustificata dall’essere contro un potere o, addirittura, “il” potere. Per essere liberi non solo bisogna abbattere, bisogna rinunciare al potere che corrode e inquina l’animo umano. Monocordi sono i richiami e gli appelli in tal senso, nel mondo cosiddetto laico, ma anche in quello cattolico, che, pur riconoscendo all’impegno politico una forma di carità, non riesce a non sentirlo come qualcosa di ultimamente sporco e indicibile. L’opzione politica è raramente confessata e certamente non può essere proposta come fattore di azione unitaria. Allargando il campo, anche l’educazione, se è decisa e determinata nei princìpi, è accusata di violare prepotentemente la coscienza e la libertà altrui, adulto o bambino che sia. Ognuno deve poter fare quello che vuole.

Appunto, “fare quello che vuole”, che è sinonimo di libertà, è preceduto da “potere”, che non è solo un verbo, è l’indicazione di un patrimonio di capacità e volontà da cui la libertà è alimentata. Se è vero che il potere tende a sopprimere la libertà, è altrettanto vero che questa senza quello non esiste. Non si capiscono altrimenti le lotte delle persone e dei popoli, rinchiuse in uno schematismo ideologico in cui da una parte sta il giusto, che non vuole il potere, e dall’altra lo sbagliato che lo vuole compulsivamente. In realtà, tutti vogliono il potere perché l’aspirazione alla libertà si realizza come possesso di cose e persone. Il problema è come questo possesso si costituisce e si esprime. Domanda fondamentale è dove la libertà trova il potere che la origina e la compie.

A noi sembra, giustamente, che tutto quanto esiste è fatto per noi, così ci sentiamo giustificati a prendere e usare come fosse nostro, o meglio, secondo un nostro criterio come se la fonte del potere fosse in noi. Il limite al possesso, in particolare di ciò che è ritenuto essenziale – il lavoro, la casa, un reddito – ci indigna, così come ci indigna la malasorte per cui si deve trovare necessariamente un colpevole. Chi appare in vario modo ricco, in particolare se con un ruolo pubblico, è indicato a dito, sottoposto al sospetto di aver accumulato indebitamente un superfluo che andrebbe redistribuito. I media, mentre incitano normalmente all’invidia sociale, sono pieni di propaganda, più o meno pubblicitaria, di articoli di lusso che invogliano al consumo, indicatore di benessere di cui la società evoluta non può fare a meno.

Qualcosa che sfugge

E non ci sono solo questi atteggiamenti, a pensarci bene, un po’ infantili, ci sono anche quelli più pensosamente fondati, per cui “la scienza – cioè l’uomo intelligente e progredito – ci salverà”. Porre dubbi in tal senso è oscurantismo da cancellare. D’altra parte non bastassero i limiti normali, la stupidità, la cattiveria, la malattia e la morte, ogni tanto compaiono limiti più acuti e generali, potenzialmente catastrofici, come terremoti, alluvioni, lo stesso Covid e i danni ambientali, che a detta di molti mettono in crisi il pianeta. L’uomo vuole il potere, ma di suo non l’ha.

Intelligenza e volontà sono certamente importanti per allargare lo spazio della libertà. Tuttavia si impiantano su un potere che è espresso e svolto dalla persona, ma è precedente a essa e alle circostanze in cui essa agisce. Intelligenza e volontà sono doti native e coltivate dall’educazione: il successo può essere conquistato dalla bravura, nonostante circostanze sfavorevoli, o attribuito alla mediocrità da un ambiente compiacente. Senza nulla togliere alla meritocrazia, bisogna ammettere che essa proviene dalla messa a frutto di talenti e occasioni date. Per il fatto stesso che uno respira deve riconoscere di essere dipendente da qualcun altro, in cui stanno originariamente e quindi ultimamente potere e libertà: dio, destino, fato, “qualcosa” che è presente e domina, ma sfugge.

La carne cardine della salvezza

Chi, come me, si è accostato al cristianesimo, lo ha fatto perché questo qualcosa è uscito dalla intuizione soggettiva e astratta di un assoluto per rivelarsi in un incontro umano. «Caro cardo salutis», la carne è cardine della salvezza, ripete con Tertulliano, autore cristiano del III secolo, Julián Carrón nel terzo capitolo del suo bellissimo libretto, Il brillìo degli occhi, offerto alla meditazione della Fraternità di Cl, data l’impossibilità degli esercizi spirituali a causa del Covid. Se la carne, ovvero la vita concreta, gioiosa e tormentata, è tramite essenziale per la salvezza, per il cammino verso la felicità, ciò significa che è attraverso di essa che si rende possibile l’esperienza della libertà e del suo potere. Nietzsche accusava i cristiani di essere dei salvati senza averne la faccia, senza avere l’impeto che deriva dall’aver scoperto il segreto del mondo. Può succedere così, ma sicuramente ci sono eccezioni, e molte.

Amare la libertà significa amare gli uomini che aderendo a Dio, il vero potere, si sono resi liberi, capaci di possedere senza essere schiavi di ciò che possiedono. Anche i politici, ritenuti la categoria più a rischio di autoreferenzialità, possono essere guardati e stimati come fattori di libertà per il potere che, di fatto, è loro concesso. San Paolo nella lettera ai Romani (13,1) dice: «Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio». Rispettare l’autorità non è adorarla acriticamente, ma stimarne la funzione fino al punto di contestarla lealmente, perché autonoma, non dipendente dall’ideale più grande che dice di servire. Non è necessario che i politici e gli altri, che hanno un ruolo di comando, siano perfettamente consapevoli e attivi in questa loro dipendenza. È sufficiente che siano disposti a correggersi e a servire la verità, l’ideale più grande di loro, che è l’attrattiva evocatrice della libertà per tutti.

Una coscienza umile

Purtroppo, in questi tempi di spinto personalismo, chi guida cade facilmente nella tentazione di esaurire in sé la novità e il progetto di un futuro migliore. Nonostante le dichiarazioni di dedizione e l’evidenza di un impegno totalizzante non c’è vero sacrificio, cioè amore alla verità più che a se stessi, che non è masochismo ma coscienza che senza verità non si vive, non si è liberi e non si sostiene la libertà di tutti. Così molti sono facilmente indotti a sentirsi se non oppressi, inutili e quindi ad astenersi dalla partecipazione alla convivenza civile.

Bisogna riscoprire che la libertà trova la sua sorgente nell’appartenenza ad ambiti in cui si impari a giudicare e possedere non arbitrariamente, ma secondo il criterio di una verità che ci fa capire che le cose possono essere modificate da noi, nella misura in cui accettiamo che non stanno come vogliamo noi. Tutta la vita in fondo è per imparare a riconoscere la nostra impotenza e quindi la potenza di chi ci ha fatti. Il dolore e la sofferenza, la mancanza della libertà sono per un richiamo a questa coscienza, la cui umiltà è l’unica ad aver paradossalmente dimostrato di poter cambiare pezzi di mondo e luoghi di vita.

Su questi argomenti dibatteremo nelle date indicate di settembre. Ci avventureremo in un itinerario per riflettere sul rapporto tra libertà e potere: nell’esperienza cristiana, nella globalizzazione tecnologica, nella politica, nella comunicazione e nell’educazione.

Siete tutti invitati.

Fonte: | Tempi.it

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