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ULTIMO BANCO – 36. L’arte di naufragare

Per le fredde strade di Milano un ragazzo rivolge a tutti i passanti un sonoro: «Buongiorno!». La gente, di fretta, lo ignora, finché a un tale, che gli chiede perché lo abbia salutato dato che non si conoscono, dice: «Per dirle veramente buongiorno». Per tutta risposta l’altro lo manda a quel paese. È una scena di Miracolo a Milano, bellissimo film di Vittorio De Sica del 1951. Tra il buongiorno del ragazzo e il vaffa del passante c’è il nostro Paese, esteriore e interiore: rendere agli altri la vita migliore o peggiore, con la nostra presenza. Privandoci delle cose superflue a cui ci aggrappavamo come fossero necessarie, la pandemia ci sta mostrando ciò che definisce il valore di una vita: la somma di amore che sa ricevere e dare. Possiamo fare a meno del calcio ma non delle madri, possiamo fare a meno delle cene fuori ma non degli infermieri, possiamo fare a meno delle aule ma non degli insegnanti… È necessario chi fa spazio dentro di sé all’altro e gli permette di esistere un po’ di più: con un buongiorno, una telefonata, un «come stai» sincero (che significa dire, dopo aver ascoltato la risposta: «Raccontami perché»). Come fare ad avere, per persone e situazioni, questa apertura che libera le energie creative imprigionate dall’indifferenza, dall’abitudine o dalla tristezza?

C’è uno strano romanzo del 1912 che lo racconta: Uomovivo (Manalive) dello scrittore inglese G.K.Chesterton. Innocent Smith, il protagonista, è un uomo che ha il potere di risvegliare tutti dai grandi nemici della vita (noia, tristezza, abitudine, pigrizia, paura…), perché sono la morte in vita. Lui invece è follemente «vivo», perché sa godere di tutte le cose per cui molti hanno smesso di gioire, non riuscendo più a riconoscerle come fonte di felicità «a portata di mano». E come ci riesce? Facendo, in ogni situazione, la parte del naufrago: «Solo quando si naufraga davvero, si trova ciò che si vuole davvero. Quando ci si trova davvero su un’isola deserta, ci si accorge che non è affatto deserta. Se ci trovassimo nel nostro giardino, sotto assedio, scopriremmo centinaia di specie di uccelli e di bacche di cui non ci siamo mai accorti. E se fossimo barricati in stanza a causa della neve, ci precipiteremmo a leggere i libri che stanno sugli scaffali e di cui non c’eravamo accorti». Grazie all’arte di naufragare, Innocent, ogni giorno, si innamora della moglie e si stupisce di tutto quello che ha e gli capita. Il suo segreto è «ricevere» (dal latino: prendere di nuovo, cioè come nuovo) tutto, come un regalo o, come diceva mia nonna, un «presente». Ma per ricevere il «presente» bisogna accettarlo: a scatola chiusa. A renderci vivi è l’apertura rischiosa e fiduciosa a persone e situazioni, perché la vita sgorga e si libera solo quando la scegliamo senza limitarci a subirla. Innocent lo scopre a 18 anni ribellandosi al suo amato professore di filosofia che, in una lezione, aveva detto che la morte è la liberazione da questa vita così infelice. Il ragazzo capisce che, se è vero, dovrà per coerenza suicidarsi: se la vita è infelicità perché continuare a vivere? Allora decide di mettere alla prova il suo maestro. Lo porta alla finestra e lo costringe a scegliere: saltar giù, coerentemente con quanto ha affermato, o fare un atto di fede nella vita, comprese le tende a pois che il professore riteneva l’evidenza della bruttezza della vita. Messo alle strette, egli sceglie di vivere: rispetto al nulla tutto diventa bello e, se non lo è, tocca a noi cambiare occhi e far qualcosa: magari anche solo cambiar le tende… La ricetta di Innocent tiene al riparo dal pessimismo (andrà tutto male) e dall’ottimismo (andrà tutto bene), che offuscano la vista e paralizzano l’azione. Non è un ingenuo, sa che la vita è anche fatica e angoscia, ma invece di scappare, ribellarsi a parole o lamentarsi invano, Innocent re-agisce, cioè agisce creativamente: lotta per ricevere e riparare il mondo anche in modo folle, come quando punta la pistola contro un uomo disilluso, che non vuole più festeggiare il proprio compleanno. Per Innocent quell’uomo è già morto e sparargli potrebbe avere l’effetto contrario: aprirgli gli occhi su ciò che non vede più e, quindi, riportarlo in vita…

Il virus sta facendo la parte dell’Uomovivo: è il naufragio che ci ha aperto gli occhi su balconi, cucine, riti e relazioni quotidiane, mostrandoceli come un approdo. Solo se mi ci aggrappo come un naufrago, il presente diventa, da isola deserta, luogo delle concrete possibilità date alla vita per fiorire. Non è un illusorio «penso positivo», ma un coraggioso «prendo posizione»: le potenzialità delle situazioni si scoprono solo se le «riceviamo» come si fa con i regali. Dire e dare il buongiorno a tutto è un rischio capace di trasformare il quotidiano in «presente», come fa il ragazzo del film, come faceva il maestro Bosso, che conosceva bene l’arte di naufragare, il segreto per essere vivo.

Fonte: Corriere.it

 

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