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LETTURE/ Chiesa e modernità, il vero “rivoluzionario” è Leone XIII

intervista John W. O’Malley

Uno dei più autorevoli studiosi della storia e della cultura del cattolicesimo moderno rilegge le consuete analisi su Chiesa, modernità e rottura

Uno degli studiosi della storia e della cultura del cattolicesimo moderno tra i più noti e autorevoli a livello internazionale: così può essere tranquillamente definito il gesuita nordamericano John W. O’Malley. Alcune sue opere sono state tradotte in moltissimi paesi. Ama i grandi quadri di sintesi così come gli scavi su argomenti specifici. Le sue idee si sono fatte strada ovunque, aprendo nuove prospettive sul Rinascimento, sul mondo dell’umanesimo cristiano, sulla nascita e lo sviluppo dei gesuiti, sui grandi concili degli ultimi secoli. Negli Stati Uniti ha da pochissimo pubblicato When bishops meet: an essay comparing Trent, Vatican I and Vatican II (Belknap Press, 2019). Gli abbiamo sottoposto alcune domande sul senso che può avere oggi guardare alla storia della tradizione religiosa per comprendere meglio le radici del nostro presente.

Nella realtà di oggi sembra tornato evidente che per capire cosa è l’Occidente contemporaneo non si possa prescindere da uno scavo sulle sue radici religiose, spesso dimenticate ma tuttora influenti. Condivide questo giudizio?

Sono molto d’accordo. Noi siamo quello che siamo in conseguenza del nostro passato, il che significa che non possiamo capire il mondo di oggi senza riconoscere quanto profondamente il cristianesimo abbia influenzato il corso della storia dell’Occidente. Ignorare il ruolo del cristianesimo in questa storia porta a una visione fortemente distorta di ciò che siamo e di cosa sta realmente accadendo nel mondo. Il concetto di “storia della Chiesa” è però esso stesso parte del problema, in quanto suggerisce l’idea di una sfera autosufficiente e separata della storia, come se la Chiesa non fosse stata sempre un fattore vitale nello sviluppo della cultura. Per questo preferisco definirmi uno “storico della cultura religiosa” piuttosto che uno storico della Chiesa. Ho insistito, per esempio, perché il mio libro The First Jesuits (I primi gesuiti) fosse pubblicato da una casa editrice laica e non cattolica. Volevo rendere chiaro che la storia della Compagnia di Gesù è inseparabile dalla storia più ampia dell’Occidente.

D’altra parte l’interesse si è molto concentrato sugli aspetti più problematici: la persecuzione delle diversità, la lotta contro le eresie, la violenza e la guerra per scopi religiosi, l’Inquisizione, la censura… Come mai si fa sentire questa attrazione del “negativo”? Non si rischia di scivolare in una visione deformata, unilaterale?

Sì. Una prospettiva di taglio negativo e acida domina oggi i media ed è diffusa perfino nel modo in cui la storia viene scritta e insegnata. Questa visione della storia e degli avvenimenti contemporanei smorza le nostre speranze e le nostre buone aspirazioni, facendo sembrare destinato al fallimento ogni sforzo per migliorare la situazione: “tutto è corrotto!”. Ma a parte i suoi deleteri effetti psicologici, questa mentalità ci rende ciechi di fronte al fatto che la larga maggioranza degli esseri umani è rispettabile e onesta e vive all’insegna dell’amore. L’interpretazione in negativo (l’“ermeneutica del sospetto”) ha preso il sopravvento sia nella cultura accademica, sia in quella popolare. In essa è implicito il presupposto che la frode, o quantomeno l’interesse personale, siano alla base di quelli che sembrerebbero gli atti più onesti. Nel mio lavoro di storico, cerco di bilanciare l’ermeneutica del sospetto con quella che io chiamo l’ermeneutica della compassione. Sì, noi esseri umani agiamo in base a motivi anche contrastanti, ma ciò non significa che i nostri atti siano un imbroglio. Nella stragrande maggioranza dei casi compiamo l’azione  giusta per la giusta ragione, anche se siamo tentati dal male e disorientati. Sono convinto, perciò, che un’ermeneutica della compassione sia essenziale per una buona analisi storica.

Le lacerazioni prodotte dalla spaccatura confessionale del Cinquecento e il venir meno della chiarezza intorno ai contenuti della verità cristiana sono letti da diversi interpreti come una delle cause che hanno portato allo svuotamento della credibilità delle Chiese e aperto la strada alla secolarizzazione. Le sembra plausibile questa tesi? Le lotte per la riforma del cristianesimo hanno avuto solo effetti corrosivi?

Le origini della secolarizzazione che stiamo sperimentando oggi sono così numerose e diverse che esito a puntare un dito accusatore sul Cinquecento come se fosse il principale colpevole. Io penso che la fondazione delle Università nel Duecento, molto prima del Cinquecento, sia stato uno dei fattori. La persecuzione delle minoranze religiose, allora e in seguito, e la pesante attività censoria sono state un altro fattore che ha reso molte persone scettiche nei confronti delle Chiese. I rimedi della medicina moderna sembrano più efficaci della preghiera nel combattere le malattie. Quindi, perché pregare? Certamente, le guerre di religione del Cinquecento, nel corso delle quali i cristiani si sono ammazzati a vicenda in nome del Dio dell’amore, hanno molto contribuito alla sfiducia odierna nella religione, ma ciò è ben lontano dall’essere stato la sola causa dell’odierna società secolarizzata.

Lei studia da molti anni l’evoluzione del cattolicesimo dei tempi moderni fino all’ultimo concilio Vaticano II. In questa lunga parabola di sviluppo, quali sono stati (se ci sono stati) gli elementi di tenuta, di continuità sotterranea e più ancora di vitalità creativa che il popolo cristiano ha tenuto vivi, pur facendo i conti con una situazione diventata spesso ostile?

Noi storici abbiamo un pregiudizio a favore dei cambiamenti che avvengono nelle istituzioni e culture. Quando ci poniamo la domanda: “Cosa è successo?”, supponiamo che un cambiamento abbia avuto luogo e il cambiamento è ciò di cui scriviamo… Se non è cambiato niente, tendiamo a pensare di non aver niente da dire. Con il tempo, tuttavia, sono rimasto sempre più colpito dalle continuità profonde nel flusso storico o, come dicono i francesi, dalla longue durée. Perfino dopo il cataclisma della Rivoluzione francese, la vita e la cultura francesi rimasero inconfondibilmente tali. Se questo è vero per le realtà secolari, è tanto più vero per la Chiesa, che è per definizione un’istituzione conservatrice. La Chiesa non ha altra missione al di fuori del proclamare il messaggio dell’amore di Dio, che ha ricevuto da Cristo e dagli apostoli parecchi secoli fa. La continuità fondamentale, perciò, è la fedeltà della Chiesa nel proclamare questo messaggio. Ma vi sono stati altri elementi basilari di continuità, come il ruolo di guida attribuito ai vescovi nelle comunità locali: un dato istituzionale che è venuto alla luce non più tardi degli inizi del II secolo, ed è pienamente in vigore ancora oggi. Tra i vescovi, rimane saldo il ruolo speciale del vescovo di Roma, anche se la funzione precisa di questo ruolo è stata contestata con veemenza. E potrei continuare su questa scia.

Molto chiaro. Ma in mezzo a queste fondamentali continuità?

Vi sono stati anche i cambiamenti notevoli. Lasciatemi citare, semplicemente, l’“apertura al mondo” avviata da papa Leone XIII nel 1891 con l’enciclica Rerum Novarum, “Sul capitale e il lavoro”. L’impatto di questa enciclica ha raggiunto il suo apice nel Vaticano II con la costituzione pastorale Gaudium et spes, “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”. Papa Leone fu aspramente avversato per la sua enciclica perché, secondo i suoi critici, non era affare della Chiesa occuparsi di temi come il capitale, il lavoro e il diritto dei lavoratori di organizzarsi. Con il tempo, tuttavia, il diritto e il dovere della Chiesa di parlare al mondo su questioni apparentemente solo mondane sono stati accettati, e l’esito di questo sono le ultime encicliche come la Laudato si’. Inoltre, la dichiarazione del Vaticano II Dignitatis humanae, “Sulla libertà religiosa”, ha avuto come conseguenza che i papi sono diventati nella realtà di oggi le voci più significative e rispettate nella difesa dei diritti umani. Un cambiamento ancora più marcato è avvenuto con la dichiarazione conciliare Nostra aetate, “Sulle religioni non cristiane”. La dichiarazione ha affidato a ciascuno di noi, ma in particolare ai papi, una nuova missione: essere voci della riconciliazione tra le religioni del mondo. Questa è una novità nella storia della Chiesa. Nel mondo attuale, vi è forse una missione più necessaria di questa?

Fonte: Danilo Zardin | IlSussidiario.net

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